martedì 25 febbraio 2020

Sicurezza sul lavoro e responsabilità amministrativa da reato dell'ente: la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui criteri di imputazione oggettiva dell'ente nell'ipotesi di commissione di reati colposi in violazione della normativa antinfortunistica.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 49775, pronunciata all'udienza del 27 novembre 2019 (deposito motivazioni in data 9 dicembre 2019), ha preso in esame, in tema di responsabilità amministrativa da reato degli enti, la questione relativa ai criteri di imputazione oggettiva dell'ente, ex art. 5 D. Lgs. 231/01, nell'ipotesi di commissione di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica.

Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da una società avverso la Sentenza con cui la Corte d'Appello di Trieste aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Gorizia, con la quale si era ritenuta la medesima società responsabile in relazione al delitto di lesioni personali colpose commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi dell'art. 25 septies comma 3 D. Lgs. 231/01.

L'infortunio oggetto del processo era occorso ad un lavoratore, autotrasportatore dipendente di altra ditta. Egli aveva condotto il proprio autocarro all'interno di un impianto gestito dalla società ricorrente, al fine di effettuare un carico di conglomerato bituminoso destinato ad un'altra impresa. Il lavoratore, mentre era intento alla bagnatura del cassone dell'autocarro, al fine di impedire che il conglomerato bituminoso aderisse al fondo del cassone, era stato investito da una "bennata" di conglomerato bituminoso, riportando gravissime ustioni su varie parti del corpo.

Al delegato per la sicurezza all'interno della società ricorrente era stato contestato di aver omesso di fornire alle ditte degli autotrasportatori idonee informazioni sui rischi specifici dell'ambiente di lavoro e, in particolare, sulle modalità di effettuazione del carico; in particolare, era stato rilevato come la procedura per l'effettuazione del carico mediante benna, invece che accostando gli autocarri al silos - da considerarsi scorretta - era tuttavia talvolta osservata presso la società ricorrente.
A quest'ultima era stato quindi contestato il predetto illecito amministrativo, in quanto aveva agito in assenza di un modello di organizzazione per la prevenzione di delitti del genere di quello commesso; ciò al fine di conseguire un vantaggio rappresentato da una più rapida immissione nel circuito produttivo del materiale bituminoso ed evitare di porre in essere un procedimento più costoso.

Con uno dei motivi di ricorso, la società lamentava violazione di legge, in relazione all'art. 5 comma 2 D. Lgs. 231/01, nel quale si afferma che la responsabilità da illecito amministrativo dell'ente si riferisce a reati commessi nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo, e da parte di soggetti in posizione apicale o sottoposti alla direzione od alla vigilanza di quest'ultimi. La società ricorrente sosteneva come nella sentenza impugnata non vi fosse alcuna motivazione circa la sussistenza di tali requisiti, ma si facesse esclusivamente riferimento a dichiarazioni testimoniali in base alle quali non risultava che il caricamento mediante pala costituisse una modalità nota, servendo la pala meccanica per riempire il silos e non gli autocarri. Al contrario - sosteneva la ricorrente - l'iniziativa di effettuare il carico mediante pala meccanica era stata del tutto estemporanea.

La Corte di Cassazione ha ritenuto di accogliere tale motivo di ricorso proposto dalla società, osservando come nella sentenza impugnata non vi sia stata alcuna argomentazione con riguardo all'interesse o al vantaggio perseguito dalla società mediante la condotta criminosa. Rinviando invece, in maniera sommaria, alla sentenza di primo grado, la Corte d'Appello si era limitata ad operare un breve accenno ad un non meglio precisato "risparmio sui tempi di lavoro e sulle spese di smaltimento del bitume non conforme all'ordine".
I giudici di legittimità hanno quindi preso in esame i criteri di imputazione oggettiva costituiti dall'interesse e dal vantaggio, menzionati dall'art. 5 D. Lgs. 231/01. Ribadendo quanto affermato, riguardo a questo tema, dall'importante sentenza n. 38363/18 della stessa Quarta Sezione della Suprema Corte, essi hanno affermato come tali criteri debbano essere entrambi riferiti "alla condotta del soggetto agente e non all'evento"; essi, inoltre, ricorrono, rispettivamente, il primo "quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento"; il secondo, invece, ricorre "qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso".

La Corte ha quindi rilevato come, nel caso di specie, non siano stati osservati nè l'uno nè l'altro criterio di imputazione, non essendo stata inoltre fornita dai giudici di merito adeguata motivazione circa la contestata violazione sistematica di norme antinfortunistiche, con specifico riferimento al presunto instaurarsi presso la società ricorrente della prassi contra legem nelle modalità di carico del conglomerato bituminoso.
Il Collegio ha quindi accolto tale motivo di ricorso proposto dalla società, annullando con rinvio la Sentenza della Corte d'Appello di Trieste.