lunedì 8 giugno 2020

Colpa medica: la responsabilità del primario ospedaliero.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 50619, pronunciata all'udienza del 10 dicembre 2019 (deposito motivazioni in data 16 dicembre 2019), ha preso in esame, in tema di colpa medica, la questione relativa alla responsabilità ed agli obblighi di garanzia del primario ospedaliero.

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da una persona sottoposta ad indagini avverso l'Ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria aveva parzialmente accolto l'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso il provvedimento, emesso dal G.I.P. di Locri, di rigetto della richiesta di misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio.
Al ricorrente, Direttore della SOC di pneumologia di una struttura ospedaliera, era contestato il delitto di omicidio colposo, commesso in cooperazione con altri soggetti sottoposti ad indagini. Nell'imputazione preliminare elevata a suo carico, si ipotizzava la realizzazione di un contributo eziologicamente rilevante al decesso di un paziente per shock settico, e correlato a svariati errori diagnostici e terapeutici posti in essere da quattro dirigenti medici, assegnati alla medesima struttura, nella gestione del paziente medesimo, il quale era affetto da broncopolmonite.
La condotta omissiva colposa rimproverata all'indagato consisteva, più in particolare, nel non aver esercitato le proprie funzioni di indirizzo e di vigilanza sulle prestazioni dei medici da lui dipendenti, omettendo di impartire direttive ed istruzioni terapeutiche adeguate al caso concreto e non controllando l'attuazione delle stesse. Tale omissione non avrebbe impedito che venissero posti in essere i predetti errori diagnostico-terapeutici, determinando pertanto un effetto concausale nella produzione dell'evento fatale.

Con uno dei motivi di ricorso, la persona sottoposta ad indagini lamentava violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza. Ella sosteneva come la sua presenza in reparto per soli tre giorni non le avesse permesso di verificare le condizioni del paziente, non avendole nessuno dei medici coinvolti riferito della situazione critica relativa al ricovero della vittima; d'altra parte, il ricorrente non era neppure mai entrato in contatto con il paziente.
Inoltre, si contestava nel ricorso il richiamo, operato dal Tribunale nell'Ordinanza impugnata, ad una pronuncia della Quarta Sezione della Suprema Corte (n. 18334/18) in tema di responsabilità del primario. In tale occasione, infatti, la Corte di Cassazione aveva escluso tale responsabilità, in una vicenda analoga a quella oggetto della fattispecie in discorso. In particolare, si era accertato come il sanitario avesse affidato il paziente alle cure dei medici subordinati, senza mai visitarlo e senza essere mai coinvolto nella gestione del caso clinico, ed il Collegio aveva escluso qualunque ipotesi di culpa in vigilando.
Anche alla luce di tale precedente giurisprudenziale, il ricorrente sosteneva l'impossibilità di esigere dal primario ospedaliero la presa in carico della cura di tutti i malati e la necessità di escludere la sussistenza di un obbligo di controllo, da parte del medesimo, dei medici subordinati, tale da non far residuare alcun margine di affidamento sulla correttezza del loro operato. 

La Corte di Cassazione ha innanzitutto osservato come sia stato accertato, nel corso del giudizio cautelare, che il primario non aveva adeguatamente programmato il lavoro dei collaboratori, né controllato l'ottemperanza ai criteri di organizzazione e di assegnazione a sé o ad altri medici dei pazienti ricoverati. Egli aveva pertanto omesso di adempiere ai propri obblighi, sia di indirizzo terapeutico sia di verifica e vigilanza sulle prestazioni di diagnosi e cura affidate ai medici da lui delegati. Nel corso dei tre giorni, infatti, in cui era stato presente in reparto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, egli avrebbe potuto e dovuto ottemperare ai propri compiti di verifica e vigilanza.

Soffermandosi sul precedente giurisprudenziale sopra menzionato, il Collegio ha rilevato come in esso si sia affermato che "il medico in posizione apicale con l'assegnazione dei pazienti opera una vera e propria "delega di funzioni impeditive dell'evento" in capo al medico in posizione subalterna".
Un'ulteriore, più risalente, sentenza della Quarta Sezione della Suprema Corte (n. 39609/2007)  aveva invece stabilito che "gli obblighi di garanzia connessi all'esercizio della organizzazione ospedaliera consentono al medico in posizione apicale di trasferire al medico subordinato funzioni mediche di alta specializzazione o la direzione di intere strutture semplici (con riferimento al medico in posizione intermedia) oppure la cura di singoli pazienti ricoverati nella struttura (con riferimento al medico in posizione iniziale)".
Tuttavia, se è indiscusso che il medico in posizione apicale possa operare una vera e propria delega di funzioni al collega in posizione subalterna, non si può in alcun modo ritenere - hanno osservato i giudici di legittimità - che tale delega liberi completamente il medesimo dalla propria, originaria, posizione di garanzia. Egli conserva, invece, una posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull'operato dei soggetti delegati, ed il suo obbligo di garanzia consiste "nella verifica del corretto espletamento delle funzioni delegate e nella facoltà di esercitare il residuale potere di avocazione alla propria diretta responsabilità di uno specifico caso clinico".
D'altra parte, è vero che la Sentenza n. 18334/18 aveva escluso la responsabilità del primario ospedaliero, ma solo allorché il medico in posizione apicale abbia "correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria struttura". Nell'ipotesi, dunque, in cui egli non abbia adeguatamente adempiuto a tali obblighi, è ipotizzabile, argomentando a contrario, una sua responsabilità. 

Tale posizione di garanzia del primario ospedaliero era stata in precedenza già individuata anche dalla Sentenza della Quarta Sezione della Suprema Corte n. 47145, pronunciata il 29 settembre 2005. In essa si era affermato come il dirigente medico ospedaliero sia, in effetti, titolare di una posizione di garanzia a tutela della salute dei pazienti affidati alla struttura; i D. Lgs. 502/92 e 229/99, modificando l'ordinamento interno dei servizi ospedalieri, avevano sì attenuato la forza del vincolo gerarchico con i medici che con il medesimo collaborano; al contempo, tuttavia, tali riforme non avevano certamente eliminato il potere-dovere, in capo al dirigente medico in posizione apicale, di "dettare direttive generiche e specifiche, di vigilare e di verificare l'attività autonoma e delegata dei medici addetti alla struttura, ed infine il potere residuale di avocare a sé la gestione dei singoli pazienti".

Sulla base di tali motivazioni, la Corte ha ritenuto pertanto infondato il motivo di ricorso proposto dalla persona sottoposta ad indagini, ed invece sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in capo alla medesima; il Collegio ha tuttavia annullato l'Ordinanza impugnata, stante l'impossibilità di fondare l'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato sulla sola base degli elementi a tal fine valorizzati dal Tribunale del Riesame.