sabato 25 settembre 2021

Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale commesso in presenza di altri pubblici ufficiali.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 30136, pronunciata all'udienza del 9 giugno 2021 (deposito motivazioni in data 2 agosto 2021), ha preso in esame la fattispecie di reato di oltraggio a pubblico ufficiale prevista dall'art. 341 bis c.p..

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Catanzaro ne aveva confermato la penale responsabilità per i reati di cui agli artt. 336 e 341 bis c.p.. 

I giudici di merito avevano disatteso l'eccezione avanzata dall'appellante con riguardo al difetto del requisito della pubblicità della condotta, richiesto dalla norma incriminatrice di oltraggio a pubblico ufficiale; si era infatti osservato come, nella specie, fosse risultata la presenza, al momento dei fatti, di due agenti della Polizia di Stato, intervenuti sul posto in ausilio ad un finanziere. Pertanto, il fatto doveva considerarsi come svolto "in presenza di più persone", come richiesto dall'art. 341 bis c.p.. 

La sussistenza del reato non poteva quindi essere esclusa, stante il fatto che, tra le persone da considerarsi "presenti" ai fini dell'integrazione della fattispecie, pur non potendo ricomprendersi i pubblici ufficiali destinatari dell'offesa, possono, invece, essere annoverati gli altri pubblici ufficiali cui non siano state rivolte le frasi oltraggiose, atteso che la norma non richiede che le persone presenti siano dei civili.


La Corte ha innanzitutto osservato come - fermo restando che, ai fini della configurabilità del delitto de quo, è necessaria la presenza di almeno due persone, requisito minimo affinché possano considerarsi presenti "più persone" - la questione controversa sia costituita dall'individuazione dei soggetti che possono essere ricompresi fra tali persone.

Ripercorrendo la storia recente della fattispecie incriminatrice in oggetto, i giudici di legittimità hanno rilevato come il legislatore, nel reintrodurre la medesima con l. 15 luglio 2009, n. 94, abbia modificato la condotta tipica del delitto: pur mantenendo, infatti, la necessaria correlazione fra l'offesa e lo svolgimento delle funzioni del  pubblico ufficiale, ha previsto che la frase ingiuriosa al  medesimo rivolta ne offenda congiuntamente, e non più, pertanto, alternativamente, l'onore ed il prestigio; in secondo luogo, deve sussistere il requisito della "pubblicità", con ciò intendendosi lo svolgimento dell'azione "in luogo pubblico o aperto al pubblico" e "in presenza di più persone" (quest'ultimo elemento era considerato, in precedenza una circostanza aggravante). Si è voluto in tal modo escludere dall'area del penalmente rilevante - ha osservato il Collegio - le condotte costituenti una mera ingiuria, nel rispetto del principio di proporzionalità e dell'assetto liberal-democratico nei rapporti tra Stato e cittadino, prevenendo in tal modo possibili censure d'incostituzionalità.

Un'importante pronuncia sul punto emessa alcuni anni fa dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte (n. 29406/18) ha poi affermato come non sia richiesto che la frase oltraggiosa venga effettivamente percepita dal destinatario, essendo invece sufficiente che egli, sulla base delle condizioni di tempo e di luogo, abbia avuto la possibilità di percepire l'offesa, anche se ciò non sia in concreto avvenuto. 

Tanto premesso, la Corte ha osservato come, stando alla ratio ed alla struttura dell'incriminazione reintrodotta nel 2009, gli elementi costitutivi della "presenza di più persone" e dell'offesa congiunta all'onore ed al prestigio del pubblico ufficiale, hanno inteso affermare come la frase oltraggiosa debba ledere "tanto il sentimento e la percezione che il pubblico ufficiale abbia della propria dignità personale correlata alla qualifica", quanto "la stima e la considerazione che il funzionario pubblico abbia nel contesto sociale". 

Pertanto, ai fini della integrazione della fattispecie, è necessario che: "l'offesa attinga l'apprezzamento di sé del pubblico ufficiale sia nella dimensione personale, sia nella dimensione funzionale e sociale, potendosi giustificare la tutela assicurata ai pubblici ufficiali dalla fattispecie di cui all'art. 341 bis c.p., rafforzata rispetto a quella dei comuni cittadini, soltanto allorché sia minata, più che la reputazione del singolo esponente, la reputazione dell'intera Pubblica Amministrazione".

Da ciò deriva come le "più persone", in presenza deve aver luogo la condotta oltraggiosa, debbano essere soggetti o estranei alla Pubblica Amministrazione oppure, pur se pubblici ufficiali, soggetti presenti in quel determinato contesto spazio-temporale per motivi diversi da quello d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia stata posta in essere dall'agente. Il Collegio ha infatti rilevato come, atteso che l'incriminazione ha come oggetto specifico le offese verbali poste in essere non soltanto all'"onore", ma anche al "prestigio del pubblico ufficiale", la medesima postula che sia minata la considerazione "sociale" correlata all'esercizio di pubbliche funzioni. Pertanto, il discredito nei confronti della Pubblica Amministrazione implica che l'azione si svolga in presenza di chi, in tale contesto, non sia deputato allo svolgimento della specifica pubblica funzione nei confronti della quale è diretta la condotta criminosa.

E' vero dunque che il delitto di cui all'art. 341 bis c.p. possa essere integrato anche in presenza di altri pubblici ufficiali non destinatari diretti dell'offesa, in quanto la disposizione non richiede che le "più persone" in presenza delle quali abbia luogo l'oltraggio siano dei civili. 

Tuttavia, hanno osservato i giudici di legittimità, tali pubblici ufficiali devono essere presenti sul posto "non in quanto intenti al compimento dell'atto d'ufficio che ha generato o nel cui contesto si è realizzata la condotta oltraggiosa". In tale evenienza, infatti, difetta la lesione al "prestigio del pubblico ufficiale", in quanto essa - a prescindere dal fatto che l'offesa sia rivolta ad uno, a taluni o a tutti gli operanti intervenuti ed intenti al compimento dell'atto d'ufficio - presuppone "la rilevanza "esterna" dell'offesa rispetto alla specifica articolazione soggettiva della Pubblica Amministrazione intenta allo svolgimento di quella specifica funzione".


A riscontro di tale tesi, la Corte ha quindi osservato come il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale non possa ritenersi integrato nell'ipotesi in cui l'espressione offensiva dell'onore e del prestigio sia rivolta alla pluralità di pubblici ufficiali intenti al compimento di un atto d'ufficio e a causa o nell'esercizio delle loro funzioni.

In tale fattispecie, infatti, tutti i pubblici ufficiali sono diretti destinatari delle offese e, quali vittime della condotta criminosa, non possono essere ricompresi fra le "più persone" presenti alla condotta criminosa. Tale conclusione era già stata fatta propria dalla giurisprudenza riguardante la circostanza aggravante prevista dall'ultimo comma, seconda ipotesi, del previgente art. 341 c.p., integrata, per l'appunto, dal fatto che l'offesa fosse recata in presenza di una o più persone. Ai fini della sussistenza di tale circostanza, si richiedeva, infatti, che l'offesa fosse posta in essere alla presenza di una o più persone, senza che rilevasse in senso ostativo la qualità di pubblico ufficiale eventualmente rivestita dalle persone presenti, ma salvo che le stesse non fossero destinatarie dell'offesa.

Tale affermazione - fatta propria anche dalla Corte d'Appello di Catanzaro - condurrebbe, tuttavia, nell'ipotesi in cui si seguisse l'orientamento fatto proprio dai giudici di merito in ordine alla questione in precedenza descritta, a conseguenze paradossali:

"Tenendo ferma tale regula iuris ed ipotizzando che una persona alla guida di un'auto, fermata per un controllo in aperta campagna da parte di due pattuglie della Polizia Stradale, pronunci frasi offensive dell'onore e del prestigio durante ed a causa del controllo di Polizia, se si seguisse il ragionamento della Corte d'appello si perverrebbe alla paradossale situazione secondo cui, se le parole oltraggiose fossero rivolte contro tutti e quattro i poliziotti componenti delle due Volanti, non potrebbe ritenersi integrato il reato de quo, essendo tutti i pubblici ufficiali destinatari dell'offesa; se le medesime parole offensive fossero rivolte nei confronti di uno solo dei poliziotti (anche soltanto declinando al singolare le stesse identiche parole) in presenza degli altri tre operanti non direttamente investiti dalle offese, si dovrebbe invece ritenere integrato il delitto".

Sulla base di tali osservazioni, i giudici della Sesta Sezione Penale hanno pertanto enunciato il seguente principio di diritto:

"Ai fini della integrazione del reato di oltraggio previsto dall'art. 341 bis c.p., è necessario che l'offesa all'onore ed al prestigio del pubblico ufficiale si svolga alla presenza di almeno due persone e, a tale fine, è indispensabile che la frase oltraggiosa raggiunga persone estranee non soltanto ai pubblici ufficiali che siano direttamente investiti dalle offese, ma anche alle pubbliche funzioni in corso di svolgimento, atteso che solo in tali condizioni può crearsi il pericolo alla considerazione sociale ed all'autorevolezza della Pubblica Amministrazione".

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto come la sentenza impugnata non si sia attenuta a tale principio. Il reato era stato infatti ritenuto sussistente in una fattispecie in cui le frasi oltraggiose, pur se rivolte specificamente nei confronti di uno soltanto dei pubblici ufficiali intervenuti, erano state pronunciate in presenza di altri pubblici ufficiali i quali, pur non essendo destinatari delle offese, erano tuttavia intervenuti sul posto in quanto direttamente impegnati nell'adempimento della funzione pubblica in relazione alla quale la condotta incriminata era stata commessa. La Corte ha pertanto annullato senza rinvio sul punto la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.