domenica 16 ottobre 2022

Costituisce maltrattamento di animali la detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell'attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dalla legge 157/1992.

In tema di maltrattamento di animali, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20221, pronunciata all'udienza dell'11 aprile 2022, ha affermato il principio di diritto secondo cui: "La detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell'attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dagli artt. 4 e 5 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, costituiscono sevizie insopportabili per le caratteristiche etologiche dell'avifauna, tali da integrare non già la contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., ma il delitto di maltrattamento di animali di cui all'art. 544 ter c.p.."

  • Il fatto.

Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Brescia ne aveva confermato la penale responsabilità per essersi impossessato di esemplari di avifauna, considerati parte del patrimonio indisponibile dello Stato, rimasti impigliati nelle reti che il medesimo aveva illecitamente steso; per aver tentato di impossessarsi di altri esemplari, stendendo nuove reti; per avere adoperato sevizie nei confronti degli uccelli catturati e nei confronti di quelli detenuti per utilizzarli come richiami vivi.

Nel corso del giudizio di merito, era emerso come in alcuni casi gli esemplari destinatari di tale condotte avessero riportato danni al piumaggio derivati dal tentativo di uscire dalle gabbie, in altri si fosse arrivati all'avulsione totale delle penne. Lo stato in cui erano stati rinvenuti i volatili dimostrava, pertanto, secondo la Corte bresciana, la configurabilità del delitto contestato, non potendosi diversamente ricondurre la condotta alla contravvenzione di cui all'art. 727 c.p..

Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato lamentava violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione di tali ultimi fatti ai sensi dell'art. 544 ter c.p., chiedendo, in subordine, la derubricazione nella fattispecie di cui all'art. 727 c.p.. I volatili, rimasti impigliati nelle reti, erano stati, infatti, immediatamente liberati e non avevano pertanto sofferto. Quelli detenuti nelle gabbie come richiami erano, invece, collocati in ambienti, a suo dire, del tutto consoni. Per uno di essi, il roccolo, era invece consentito l'utilizzo come esca viva, con conseguente impossibilità di affermare che potesse derivare al medesimo sofferenza alcuna. Le lesioni riscontrate erano, comunque, derivate solamente dalla mera detenzione in gabbie, e sul punto la Cassazione aveva chiarito come si potesse configurare il solo reato previsto dall'art. 727 c.p..

  •   La decisione.

La Suprema Corte ha, innanzitutto, osservato come fosse stato accertato che i volatili detenuti nelle gabbie avevano riportato dei traumi a carico delle parti apicali delle piume (con, in alcuni casi, l'avulsione della piuma stessa), a causa della contenzione nelle gabbie stesse e dei conseguenti tentativi di volo, ovviamente infruttuosi e destinati ad infrangersi sulle sbarre. Si era poi positivamente accertato che gli stessi erano stati utilizzati come richiami vivi e come uno di essi fosse deceduto nell'occorso. 

Ciò premesso, con riguardo alla qualificazione giuridica della condotta, i giudici di legittimità hanno rilevato come, in tema di distinzione fra il delitto di maltrattamento di animali, previsto dall'art. 544 ter c.p. ("chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a servizi o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche") e la contravvenzione di cui all'art. 727 comma 2 c.p. ("chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi di gravi sofferenze"), la giurisprudenza di legittimità abbia affermato che non integra il reato di maltrattamento di animali, bensì quello di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze, previsto dall'art. 727 comma 2 c.p. la detenzione di volatili in condizioni di privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, Sentenza n. 17677 del 22/03/2016, Borghesi, in fattispecie relativa alla custodia di uccelli in sacchetti di stoffa, appesi per ore ad un bastone ed a contatto con i loro escrementi). 

Tuttavia, secondo il Collegio, il ricorrente aveva omesso di considerare quanto accertato in ordine al fatto che gli uccelli non solo erano stati rinchiusi in gabbie talmente piccole da procurare loro le indicate lesioni (ed in alcuni casi anche l'avulsione e non il solo danneggiamento delle piume), ma, soprattutto, erano stati utilizzati, così contenuti, come esche vive per attirare altri esemplari nelle reti che l'imputato aveva illegalmente steso. Tale ulteriore condotta determina la configurabilità del delitto di cui all'art. 544 ter c.p., in quanto non solo "senza necessità" ma anche illecitamente (perché strumentalmente alla pratica proibita dell'uccellagione), l'imputato aveva adibito gli esemplari contenuti nelle gabbie a richiami vivi, così sottoponendoli a servizi insopportabili per le loro caratteristiche etologiche. 

Sul punto, la Corte ha infatti osservato come, per quanto sia vero che la L. n. 157 del 1992 preveda l'utilizzo di esemplari di avifauna come richiami vivi (agli artt. 4 e 5, ma con modalità che, nel caso di specie, non erano state rispettate dall'imputato), ciò viene, tuttavia, consentito solo in relazione a specie (allodola, cesena, tordo sassello, tordo bottaccio, merlo, pavoncella e colombaccio) che non ricomprendono quelle indicate in imputazione, cosicché gli esemplari detenuti dall'imputato per farne dei richiami vivi erano sottoposti "a servizi o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche", con conseguente configurabilità della fattispecie di reato di cui all'art. 544 ter c.p..

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso proposto dall'imputato, confermandone la penale responsabilità per il delitto di maltrattamento di animali.