venerdì 8 maggio 2020

Posizione di garanzia del medico sociale e di pronto soccorso nei confronti dei calciatori nel corso di una partita.

In materia di responsabilità medica, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 24372, pronunciata all'udienza del 9 aprile 2019 (deposito motivazioni in data 31 maggio 2019), ha preso in esame il tema relativo alla posizione di garanzia del medico sociale di una squadra di calcio, e del sanitario di un'unità di pronto soccorso presente presso lo stadio, nei confronti dei calciatori, durante un incontro di gioco.

Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da tre medici nei confronti della sentenza con cui la Corte d'Appello di L'Aquila aveva confermato la loro penale responsabilità per il reato di omicidio colposo commesso, in cooperazione, ex art. 113 c.p., nei confronti di un calciatore di una squadra del Campionato di Serie B, improvvisamente deceduto, nel corso di un incontro di gioco, a causa di una fibrillazione ventricolare. Due degli imputati erano i medici sociali delle due squadre di calcio, il terzo era invece il medico responsabile dell'Unità Mobile di Pronto Soccorso presente presso lo stadio. 
Nella fattispecie, il giocatore, durante il primo tempo dell'incontro, si era improvvisamente accasciato al suolo, in stato di incoscienza, ed era stato immediatamente soccorso dai medici sociali della propria squadra e di quella avversaria, i quali tuttavia non avevano fatto uso del defibrillatore automatico, disponibile sul campo. Il medico dell'Unità Mobile di Pronto Soccorso si era invece portato presso il calciatore dopo poco meno di tre minuti dall'insorgenza del malore e, senza usare a sua volta il defibrillatore né assumere la guida dei soccorsi, aveva deciso di trasportare il giovane in ospedale, sebbene, secondo la tesi propria dell'imputazione, le condizioni cliniche del medesimo non fossero sufficientemente stabilizzate. 
Il mancato uso del defibrillatore, a scopo sia diagnostico sia terapeutico, ed il prematuro trasporto in ospedale erano stati ritenuti, dai giudici di merito, quali scelte contrarie alle linee guida ed ai protocolli applicabili nei casi di emergenza dovuta ad arresto cardiaco; i tre sanitari erano perciò stati condannati per omicidio colposo, stante il decesso del calciatore avvenuto poco più tardi presso il Pronto Soccorso della struttura ospedaliera ove era stato nel frattempo condotto.

Nell'ambito dei propri motivi di ricorso per cassazione, due dei tre sanitari imputati contestavano la sussistenza di una posizione di garanzia, e del correlativo obbligo impeditivo dell'evento mortale, nei confronti del calciatore.

Il medico responsabile dell'Unità Mobile di Pronto Soccorso, cui era stato contestato di non essere intervenuto tempestivamente in soccorso del giocatore, facendo uso del defibrillatore, e di non aver assunto il coordinamento dei soccorsi, rilevava come i giudici di merito e, prima ancora, il capo d'imputazione, non avessero indicato la fonte normativa su cui si fondava la relazione terapeutica con la vittima e, pertanto, l'obbligo giuridico di impedire l'evento. 
Tale obbligo, secondo l'imputato, non poteva derivarsi dalla sua mera presenza in campo (peraltro dovuta ad una sua spontanea scelta), al di sotto della tribuna dello stadio, senza poter osservare il campo di gioco e nella qualità di medico del 118; ciò considerando, altresì, la concomitante presenza in loco di altro personale sanitario, quale, ad esempio, il primario di cardiologia del locale ospedale, che aveva poi assunto il ruolo di leader del soccorso.
La posizione di garanzia, inoltre, non poteva dirsi assunta neppure a seguito del suo volontario intervento sul campo a soccorso del calciatore, avvenuto per mero spirito solidaristico, senza porre in essere alcuna attività di tipo diagnostico o terapeutico. 
Infine, non si poteva ricavare l'obbligo impeditivo neppure da una convenzione stipulata, a tal fine, tra la società calcistica e la locale Azienda Sanitaria: sebbene la stessa imponesse, infatti, al personale del 118 di intervenire a soccorso sia del pubblico presente sugli spalti sia degli atleti sul campo di gioco, essa non era ancora stata notificata, impedendo così al medico di rappresentarsi l'obbligo di intervenire in caso di necessità.

Il medico sociale della squadra cui apparteneva la vittima contestava, a sua volta, la sussistenza, a suo carico, di un obbligo impeditivo dell'evento: egli affermava come il mero contatto sociale con il giocatore infortunato non fosse idoneo a far sorgere una posizione di garanzia onnicomprensiva, e tale da non dover distinguere tra i compiti dei diversi soggetti intervenuti. Inoltre, doveva essere necessariamente considerato, a questo riguardo, come i medici sociali non dovessero avere una specializzazione in tema di emergenza con pericolo di vita, di talché egli si era fatto da parte al momento dell'arrivo del personale di pronto soccorso.

La Suprema Corte ha innanzitutto ripercorso i più fondamentali principi in tema di posizione di garanzia nei reati non solo omissivi, ma anche commissivi.
I giudici di legittimità hanno ricordato come la posizione di garanzia si fondi sulle seguenti condizioni:
1) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare, da solo, non è in grado di proteggerlo;
2) una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la predetta finalità di tutela;
3) tale obbligo di protezione gravi su una o più persone specificamente individuate;
4) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato; ciò in quanto il garante deve poter, con la propria condotta, influenzare il decorso degli eventi, indirizzandoli verso uno sviluppo idoneo ad impedire la lesione del bene giuridico.

Nell'individuazione della figura del garante - hanno inoltre osservato i giudici di legittimità - deve considerarsi come la relativa posizione possa essere generata "non solo da un'investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell'agente, consistente nella presa in carico del bene protetto", come affermato dalle Sezioni Unite Espenhahn nel 2014. Il superamento, infatti, della c.d. concezione formale della posizione di garanzia ha fatto sì che la medesima possa trovare origine in una situazione di fatto, un atto di volontaria determinazione, fonte del dovere di intervento e del corrispondente potere giuridico che consente al garante di impedire l'evento. D'altra parte, fin dagli anni Novanta, la giurisprudenza di legittimità aveva costruito la "teoria del garante", muovendo dalla valorizzazione degli "obblighi di garanzia", quali espressioni del principio solidaristico di cui all'art. 2 Cost., e che discendono "dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante, rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente".
Inoltre, nello specifico ambito della responsabilità medica, si è precisato che "la posizione di garanzia è riferibile, sotto il profilo funzionale, ad entrambe le categorie in cui tradizionalmente si inquadrano gli obblighi in questione: la posizione di garanzia c.d. di protezione, che impone di preservare il bene protetto da tutti i rischi che possano lederne l'integrità; e la posizione c.d. di controllo, che impone di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto".

Tanto premesso in generale, la Corte ha quindi riconosciuto la sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai medici sociali delle due squadre di calcio.
Essa infatti sorse a seguito dell'intervento posto in essere dai due sanitari, a fronte della perdita di conoscenza del calciatore; intervento che costituì "una pratica attuazione dei doveri deontologici consacrati nel giuramento professionale, comprendenti il dovere di prestare soccorso nei casi di urgenza". Con riguardo al medico sociale della squadra in cui militava la vittima, inoltre, tale obbligo deontologico si coniuga con l'esecuzione dei doveri protettivi assunti, in qualità di medico sportivo, nei confronti dei calciatori della propria squadra.
Pertanto, la relazione terapeutica tra i medici sociali ed il calciatore in pericolo di vita, da un lato, si collocava nell'ambito dei doveri sanciti dall'ordinamento professionale; dall'altro, discendeva "dalle competenze proprie dei medici sportivi", coniugandosi con "la funzione fondante la teorica della posizione di garanzia, data dall'esigenza, di natura solidaristica, di offrire tutela a determinati beni giuridici, attraverso l'individuazione di soggetti che hanno la possibilità, mediante la propria condotta, di influenzare il decorso degli eventi".
Pertanto, alla luce della concezione sostanzialistico-funzionale della teoria del garante, la posizione di garanzia dei medici sociali nei confronti del giocatore si era instaurata con il doveroso avvicinamento al medesimo e con l'esecuzione delle manovre di primo soccorso, condotte dalle quali era conseguita, come detto, l'instaurazione della relazione terapeutica.

Tale posizione di garanzia in capo ai medici sociali, assunta, come visto, mediante l'instaurazione della relazione terapeutica, non era in seguito cessata per il solo fatto che, nel frattempo, fossero venuti in soccorso del calciatore altri sanitari, i quali avevano prestato, a loro volta, assistenza al giovane. Tale assunto - hanno osservato i giudici di legittimità - si fonda su due ordini di ragioni:
a) gli effetti della presa in carico del bene giuridico tutelato, da parte del garante, non vengono meno per la circostanza che vi siano altri soggetti, in capo ai quali siano riconoscibili obblighi impeditivi autonomi e concorrenti. La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte, al riguardo, affermato (da ultimo, Sez. IV, 6507/18) che: "qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia";
b) i due medici sociali avevano, comunque, posto in essere un'attività terapeutica congiuntamente al personale sanitario nel frattempo sopraggiunto (anche se in assenza di una ripartizione di compiti e ruoli, propri del diverso modello dell'equipe), fino al momento in cui il calciatore era stato caricato sull'ambulanza al fine di trasferirlo presso una struttura ospedaliera. Solo in quest'ultimo momento, pertanto, era cessata la relazione terapeutica (e, contestualmente, la posizione di garanzia) tra i medici sociali ed il paziente. 
Inoltre, l'eventuale carattere colposo dei garanti successivamente intervenuti non era certo idoneo ad interrompere il nesso di causa tra la condotta dei medici sociali e l'evento mortale, stante il noto principio giurisprudenziale in tema di equivalenza delle cause, il quale conferma la sussistenza di tale nesso di causa nelle ipotesi in cui il comportamento del garante successivo non abbia del tutto soppiantato l'originaria situazione di pericolo.

La Corte di Cassazione, prendendo quindi in esame la posizione del medico dell'Unità mobile di pronto soccorso, è giunta a conclusioni in parte differenti.
La Corte d'Appello, come visto, aveva riconosciuto una posizione di garanzia in capo al sanitario, non solo sulla base di una convenzione tra la società sportiva e l'Azienda Sanitaria, ma anche della considerazione per cui il medico aveva, in ogni caso, l'obbligo di intervenire in soccorso del calciatore, per la sua sola presenza sul campo.
I giudici di legittimità hanno ritenuto di accogliere il motivo di ricorso proposto dall'imputato. In relazione, infatti, alla convenzione sopra menzionata, la Corte ha osservato come essa fosse stata comunicata al Dirigente del Servizio solo in data successiva a quella in cui si svolsero i fatti, non potendo pertanto determinare un obbligo di intervento in capo al sanitario; né la Corte d'Appello aveva verificato quali fossero gli strumenti organizzativi messi a disposizione dall'ASL per attuare la convenzione medesima, informando i singoli operatori delle nuove competenze loro attribuite, che avevano ad oggetto la tutela della salute, oltre che dei calciatori, anche delle persone presenti allo stadio. Stanti tali osservazioni, si è quindi escluso che l'imputato potesse avere consapevolezza dell'obbligo di prestare assistenza sanitaria ai giocatori.
In secondo luogo, neppure la presenza del sanitario, in qualità di medico responsabile del servizio 118, presso lo stadio, è stata ritenuta circostanza sufficiente a determinare, in capo al medesimo, un obbligo di intervenire a tutela dei calciatori. Sotto questo aspetto, i giudici di legittimità hanno ritenuto elemento di fondamentale importanza la collocazione dell'infermeria del 118, ove si trovava il sanitario al momento del malore accusato dal calciatore, in un punto dal quale non era visibile il campo da gioco, da cui l'infondatezza, altresì, del rimprovero attinente al ritardo con cui l'imputato era intervenuto in soccorso della vittima.
In assenza di un'obbligazione impeditiva originaria in capo al medico del 118, nei confronti dei calciatori, egli aveva quindi assunto la posizione di garanzia nei confronti del giocatore solamente nel momento in cui lo aveva raggiunto sul campo da gioco, ove si erano già nel frattempo portati i medici sociali.

Ricostruite in questi termini le fondamenta delle posizioni di garanzia in capo ai sanitari intervenuti in soccorso del calciatore, la Corte di Cassazione ha comunque annullato con rinvio la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno infatti accolto gli ulteriori motivi di ricorso proposti dagli imputati, con riguardo al carattere colposo della condotta dei medesimi: il rinvio è stato disposto con specifico riferimento, da un lato, alla presenza, nella fattispecie, dei presupposti per l'uso del defibrillatore e, dall'altro, alla sussistenza del nesso di causa tra la condotta dei sanitari e l'evento, stante altresì l'accertamento di una pregressa patologia cardiaca della quale soffriva la vittima.