La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 26906, pronunciata all'udienza del 15 maggio 2019 (deposito motivazioni in data 18 giugno 2019), ha preso in esame il tema relativo alla responsabilità penale del medico, in servizio presso il Pronto Soccorso, per colpa consistente nell'omissione di una diagnosi differenziale.
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un medico, in servizio presso l'U.O. di Pronto Soccorso di una struttura ospedaliera, avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello di Brescia aveva confermato la sua penale responsabilità per il delitto di omicidio colposo.
Nella fattispecie, il sanitario aveva preso in carico un paziente che si era presentato presso il Pronto Soccorso lamentando dolori addominali situati nell'area della fossa iliaca sinistra. L'imputato si era limitato a disporre accertamenti strumentali di base, quali esame radiografico, rilievo di parametri vitali ed effettuazione di prelievo per esami ematochimici; aveva somministrato al paziente, per via endovenosa, una terapia a mero scopo analgesico ed aveva quindi dimesso il medesimo con diagnosi di "addominalgia in verosimile coprostasi".
I giudici di merito avevano ritenuto come il medico avesse formulato la propria diagnosi senza che la stessa fosse supportata da sufficienti evidenze, ed escludendo, invece, pericolose patologie addominali, quali l'aneurisma aortico sintomatico, risultato invece presente. Tale esclusione era tuttavia avvenuta in assenza della previa effettuazione di un'ecografia addominale, la quale avrebbe permesso di riscontrare la massa aneurismatica ed intervenire chirurgicamente su di essa, evitando il decesso del paziente, in seguito verificatosi per shock emorragico conseguente a rottura di aneurisma di aorta addominale.
Mediante uno dei propri motivi di ricorso, il medico contestava un vizio di motivazione con riferimento al ritenuto carattere colposo, di tipo omissivo, della propria condotta.
La Corte d'Appello, infatti, sarebbe caduta in contraddizione sul punto: da un lato aveva affermato che il sanitario avrebbe dovuto disporre ulteriori accertamenti, necessari per effettuare la corretta diagnosi di aneurisma dell'aorta addominale; dall'altro, invece, aveva sostenuto che non era comunque compito dell'imputato, in qualità di medico di Pronto Soccorso, individuare la presenza dell'aneurisma, dovendosi limitare ad escludere patologie gravi, del genere di quella poi riscontrata.
La Corte di Cassazione ha ritenuto di rigettare, per manifesta infondatezza, tale motivo di ricorso.
Il Collegio ha, innanzitutto, osservato come il perito nominato dal Tribunale avesse indicato, con un ragionamento condiviso dalla Corte d'Appello, la corretta metodologia con cui si deve procedere, in Pronto Soccorso, all'accertamento della patologia da cui è affetto il paziente, con specifico riferimento ai casi caratterizzati da maggiori dubbi e complicazioni. Egli aveva affermato come la responsabilità dell'imputato non fosse da individuarsi nella mancata diagnosi di aneurisma, in seguito alla visita ed alla palpazione dell'addome del paziente; le condotte omissive a lui rimproverabili erano invece quelle di non aver accertato se la diagnosi da lui ritenuta plausibile trovasse riscontro in ulteriori elementi e di non aver prescritto altri esami, quali, ad esempio, un'ecografia, alla luce dell'esito negativo di quelli già prescritti.
I giudici di legittimità hanno quindi affermato come la Corte d'Appello avesse fatto buon uso delle linee guida della Regione Lazio relative al trattamento del dolore addominale, prodotte dallo stesso imputato; egli aveva infatti sostenuto, già nel corso del giudizio d'appello, come il Tribunale fosse incorso in un grave errore, proprio nella valutazione circa la conformità della sua condotta a tali linee guida: questo argomento, tuttavia, era stato respinto, secondo la Corte, dai giudici d'appello, sulla base di corrette argomentazioni.
Da tali linee guida si evince, infatti, come "la radiografia tradizionale non deve essere abbandonata e resta una "modalità diagnostica di prima linea", in ragione del basso costo e della elevata disponibilità"; tuttavia, "laddove la radiografia non sia sufficiente per la diagnosi, deve essere integrata da altri esami, quali, per l'appunto, l'ecografia che è una metodica diagnostica di rapida esecuzione, non invasiva, poco costosa".
In secondo luogo, la Corte d'Appello aveva respinto l'argomentazione difensiva secondo cui il Tribunale aveva errato nella lettura di un altro testo di riferimento, ossia il Capitolo XIII "Addominal Pain" del Trattato "Current Diagnosis and Treatment Emergency Medicine". Secondo l'imputato, esso non elencherebbe infatti, nell'ambito delle possibilità diagnostiche comuni per il dolore al basso ventre, l'aneurisma dell'aorta sottorenale, poi riscontrato nel paziente al momento dell'esame autoptico, ma l'aneurisma iliaco.
I giudici d'appello avevano infatti condiviso quanto già osservato dal Tribunale, e cioè come tale manuale citi espressamente l'aneurisma aortico tra le possibile cause sia del dolore epigastrico sia del dolore al basso addome, senza distinguere tra aneurisma dell'aorta sottorenale ed aneurisma iliaco; era invece stato il perito ad affermare come il dolore provocato dall'aneurisma da cui era affetto il paziente si presentasse più di frequente nell'epigastrio che nella fossa iliaca, la quale risulta, di regola, dolente nel caso di aneurisma iliaco, patologia più rara.
Lo stesso manuale - aveva osservato la Corte d'Appello - elenca, nel predetto Capitolo XIII, una serie di valutazioni successive che il medico è tenuto a porre in essere nella gestione immediata di problemi che possono rivelarsi letali (cfr. nota 1).
I giudici di merito avevano quindi ritenuto che il sanitario avesse disatteso tali indicazioni, rilevando inoltre come il predetto manuale annoveri, tra le possibilità diagnostiche comuni, relative al dolore al basso ventre, proprio l'aneurisma aortico. L'imputato, pertanto, in qualità di medico di pronto soccorso, avrebbe dovuto accertare o escludere l'esistenza di tale patologia, collocabile, anche ex ante, tra le più probabili cause del dolore addominale, attraverso l'espletamento di appositi esami strumentali, in primis l'ecografia, semplice e poco costosa.
Pertanto, aveva concluso la Corte d'Appello, nessun rilievo era da attribuirsi alla circostanza per cui l'esame obiettivo, l'analisi dell'ematocrito e la radiografia facessero propendere per un giudizio di scarsa probabilità circa la presenza di un aneurisma aortico. All'imputato, nella sua veste di medico di Pronto Soccorso, era rimproverabile di aver abbandonato il percorso diagnostico, omettendo di effettuare un'ecografia, mediante la quale egli avrebbe rilevato l'aneurisma e posto in essere una terapia salvifica.
In altri termini, il sanitario aveva omesso di formulare una c.d. "diagnosi differenziale".
La diagnosi differenziale - ha osservato la Corte - consiste in "un processo interferenziale attraverso il quale il medico, partendo da ipotesi diagnostiche plausibili, cerca di enucleare quella logicamente più prossima alla malattia del paziente, mediante un procedimento di selezione".
Nel corso di tale diagnosi, il medico deve dare riferimento alle linee guida ed alle buone pratiche mediche. Esse, tuttavia, "non indicano un'analitica e predeterminata successione di adempimenti, ma propongono direttive di massima che devono essere applicate senza automatismi in rapporto alle peculiari specificità del caso clinico". Il medico ha quindi l'obbligo, nel formulare le ipotesi diagnostiche, di procedere nella direzione indicata da tali linee guida, fino a quando non giunga alla diagnosi che trova riscontro nei dati empirici raccolti, senza essere falsificata da altri dati.
Nella fattispecie in esame, invece, l'imputato aveva arrestato il proprio esame alla diagnosi di coprostasi, da un lato senza che ciò trovasse giustificazione negli esiti degli esami effettuati e, dall'altro, omettendo di cercare conferma di tale ipotesi attraverso un'esplorazione rettale. L'elemento dirimente al fine di accertare la responsabilità del sanitario - aveva rilevato la Corte d'Appello - era quindi che la diagnosi di coprostasi fosse o meno sufficientemente riscontrata dall'esito degli esami clinici effettuati, con particolare riferimento alla radiografia addominale. Secondo la perizia espletata nel giudizio di primo grado, invece, la diagnosi di coprostasi non era sorretta da dati sufficienti, stante anche l'omessa effettuazione di un'esplorazione rettale, la quale deve essere disposta già in Pronto Soccorso.
La Corte ha poi condiviso anche l'assunto dei giudici di merito secondo cui non era possibile riconoscere un rilievo esimente alla difficoltà di effettuare una diagnosi di aneurisma, la quale non poteva essere considerata semplice ed immediata. A questo riguardo, infatti, proprio le difficoltà relative alla formulazione di tale diagnosi, a fronte del dolore addominale, indice rivelatore di una pluralità di possibili patologie, "avrebbero dovuto indurre l'imputato a non accontentarsi di una ipotesi diagnostica priva di riscontri, ma a proseguire la sua indagine sino ad addivenire, mediante un procedimento induttivo, a quella esatta". L'omissione penalmente rilevante, e fondante la responsabilità colposa a carico dell'imputato, è stata quindi riconosciuta nell'aver abbandonato tale percorso diagnostico, tramite il quale sarebbe stato possibile rilevare la presenza dell'aneurisma e trasferire, pertanto, il paziente presso il reparto di chirurgia vascolare, ove sarebbe stato sottoposto ad intervento chirurgico, con elevate probabilità di evitare l'evento mortale.
In definitiva, pertanto, la Corte d'Appello aveva correttamente rilevato come l'imputato, nella propria qualità di medico di Pronto Soccorso, "non aveva il compito di individuare e trattare chirurgicamente l'aneurisma, ma aveva il dovere di verificare se il paziente fosse affetto da processi patologici caratterizzati da gravità e rapidità di evoluzione tali da portarlo alla morte o da recare un grave danno alla sua salute".
Il medico del Pronto Soccorso ha quindi l'obbligo, specialmente a fronte di un quadro clinico poco chiaro, di "procedere per tentativi, e via via per ipotesi diagnostiche, le quali devono, ognuna, essere sottoposte a verifica - falsificazione attraverso i necessari esami".
La Corte di Cassazione ha poi giudicato corretta la qualificazione della colpa del sanitario quale, principalmente, negligenza, invece che imperizia.
L'omissione della prescrizione di un'ecografia addominale non deve, infatti, essere ricondotta alla circostanza (relativa ad imperizia) di non aver formulato prontamente la diagnosi di aneurisma, a seguito della palpazione dell'addome, esame che sarebbe certamente stato sufficiente per un chirurgo vascolare, ma non per un medico di Pronto Soccorso, privo di tale specializzazione.
Tale omissione deve invece essere ricondotta alla negligenza, dovuta alla trascuratezza mostrata dall'imputato, che ha formulato la diagnosi conclusiva di "verosimile coprostasi", abbandonando, come si è visto, il percorso diagnostico, senza quindi procedere ad ulteriori semplici accertamenti che gli avrebbero permesso di giungere alla corretta diagnosi. La diagnosi di coprostasi era infatti stata espressa dal medico malgrado l'esito non coerente della radiografia, e senza procedere alla ricerca di un riscontro attraverso l'esecuzione di un'esplorazione rettale; tale condotta aveva impedito di ricercare, specialmente attraverso la prescrizione di un esame ecografico, altre ipotesi diagnostiche, tra le quali vi era proprio l'aneurisma aortico, annoverato dalle linee guida tra le possibili cause del dolore addominale.
Infine, i giudici di legittimità hanno escluso che fosse rilevabile un vizio motivazionale nella scelta operata dalla Corte d'Appello di non riconoscere all'imputato l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 3 l. 189/12, ancora applicabile ratione temporis nella fattispecie in esame.
Il Collegio ha infatti condiviso il giudizio di gravità della colpa ravvisabile in capo all'imputato: l'omessa diagnosi differenziale di aneurisma aortico, effettuabile mediante la prescrizione di appositi esami strumentali, e la contestuale effettuazione di una diagnosi, non fondata, di coprostasi sono state ritenute quali condotte caratterizzate da "una considerevole deviazione rispetto all'agire appropriato individuato dalle linee guida e dalle buone pratiche terapeutiche".
La Corte di Cassazione, sulla base di tali motivazioni, e stante la manifesta infondatezza anche delle altre doglianze proposte dall'imputato, ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
1) Tali operazioni consistono nell'esecuzione, di una breve visita, finalizzata a stabilire se il paziente è stabile o meno, verifica da effettuare tramite le seguenti azioni:
a) guardare il paziente e stabilire se ha un aspetto sofferente;
b) valutare la responsività, concentrandosi sull'apertura degli occhi e sulle risposte motorie e verbali;
c) valutare le vie aeree, la respirazione e la circolazione;
d) registrare ed esaminare una serie completa di segni vitali;
e) misurare la perfusione al cervello ed alle estremità;
f) proseguire con l'esame obiettivo palpando delicatamente l'addome per individuare segni di addome acuto;
g) segno di Bloomberg (rebound tenderness);
h) rigidità a tavola o contrazione di difesa o evidente massa pulsatile suggestiva di aneurisma aortico;
i) non tardare ad eseguire l'esplorazione rettale, verificando l'eventuale presenza di sangue.