La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 32477, pronunciata all'udienza del 19 febbraio 2019 (deposito motivazioni in data 22 luglio 2019), ha preso in esame, in tema di colpa medica, il tema relativo alla posizione di garanzia del Direttore sanitario di una casa di cura privata.
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un imputato, il quale ricopriva appunto la posizione di Direttore Sanitario presso una struttura privata, avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Roma aveva confermato il giudizio di responsabilità a carico del medesimo e di altri due sanitari per il delitto di omicidio colposo ai danni di una paziente, che era stata avviata presso tale casa di cura privata per un parto gemellare.
Nel giudizio di merito, era stato accertato come le condizioni della vittima presentassero, già anteriormente al suo accesso presso la struttura sanitaria, seri fattori di rischio, per via delle condizioni di una delle due placente, risultata previa marginale, e delle condizioni di anemia in cui la stessa versava; entrambi questi fattori - secondo la contestazione mossa nei confronti del primo coimputato che aveva seguito la gestazione della paziente - non erano stati fino a tal momento adeguatamente monitorati e valutati.
Al Direttore Sanitario della casa di cura era stato contestato di aver contribuito, con la propria condotta, al decesso della paziente, avvenuto a seguito di un grave shock emorragico conseguito al parto cesareo ed alla successiva isterectomia, ed in particolare:
1) di non aver impedito che presso la casa di cura fossero effettuati parti cesarei, specialmente in casi di rischio, stante la mancanza dei requisiti strutturali necessari per affrontare le possibili complicanze post-partum, del genere di quelle presentate dalla vittima;
2) di non aver verificato, prima di accettarli, le caratteristiche degli interventi, della tipologia di quello effettuato nel caso specifico, facendo invece acritico affidamento sull'operato dei medici curanti;
3) di aver, comunque, accettato gestanti, senza aver previsto adeguate procedure, in assenza di un sanitario di riferimento e senza preventiva valutazione del diario clinico: le fasi di preospedalizzazione e di accettazione predisposte dall'imputato svolgevano, infatti, solo formalmente la funzione di ulteriori e distinti momenti di verifica delle condizioni della paziente rispetto al controllo già effettuato dal medico curante; i moduli organizzativi non impedivano quindi prassi confuse, incidenti negativamente sul livello di garanzia e di affidabilità della struttura sanitaria, stante anche l'assenza di una disciplina concernente il caso di intervento di un soggetto esterno non coordinato con il primario;
4) di non aver assicurato uno stoccaggio, in sala parto, di sacche di emazie o di plasma proporzionato al numero dei parti assistiti presso la casa di cura; tale struttura, inoltre, avrebbe dovuto prevedere forme di prenotazione di sacche di sangue in caso di necessità, ed il Direttore sanitario era istituzionalmente preposto a predisporre, a tal fine, meccanismi e procedure, in accordo con le diverse equipe operanti nella struttura;
5) di non aver organizzato procedure, nonché periodiche esercitazioni, per il trattamento delle emergenze post-partum: nella fattispecie in esame, il medico curante, successivamente all'intervento sulla paziente, si era trovato in uno stato di panico, che lo aveva indotto dapprima a cercare un posto letto in rianimazione, in seguito a chiedere aiuto ad un collega che lavorava altrove, ed infine a richiedere il trasferimento della paziente presso un'altra struttura;
6) di non aver predisposto, più in generale, un modello organizzativo della struttura sanitaria;
La casa di cura di cui l'imputato era Direttore Sanitario era pertanto stata giudicata intrinsecamente inidonea a gestire prestazioni sanitarie, del genere di quella effettuata nel caso specifico, attese le carenze emerse sia nella concreta organizzazione sia nel modo di prestare assistenza.
La sentenza di condanna era stata, peraltro, pronunciata anche nei confronti di un medico anestesista, al quale era stato contestato di aver partecipato all'intervento sulla paziente senza disporre di dati aggiornati e senza predisporre, a sua volta, un'adeguata scorta di sangue, determinando pertanto un ritardo nella terapia trasfusionale, resa necessaria dall'emorragia poi risultata fatale alla paziente.
Con il proprio ricorso, l'imputato lamentava vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla funzione in astratto ricoperta dal Direttore Sanitario di una casa di cura, oltre che alla posizione di garanzia ed ai relativi obblighi sul medesimo gravanti.
Secondo quanto da egli sostenuto, infatti, il Direttore Sanitario sarebbe responsabile unicamente degli aspetti organizzativi ed igienico-sanitari della struttura, ma non della gestione clinica dei pazienti né dell'organizzazione di un reparto o di un'unità quale quella di ostetricia-ginecologia.
Spetterebbe, invece al primario, secondo tale impostazione, fornire ai propri collaboratori le informazioni programmatiche necessarie per uno svolgimento efficiente delle attività sanitarie e per la gestione dei casi clinici da essi presi in carico, oltre a verificare il funzionamento del reparto, la correttezza delle scelte diagnostiche intraprese dai singoli sanitari ed il rispetto delle procedure. Egli, e non il Direttore Sanitario, sarebbe tenuto ad indicare rimedi e cure adeguati alla salvaguardia delle condizioni dei pazienti, mediante una programmazione interna ed un'indicazione specifica delle corrette procedure da seguire, nonché a vigilare sui ricoveri. In definitiva, pertanto, il dirigente medico in posizione apicale avrebbe l'obbligo di indirizzo, vigilanza, divisione del lavoro, organizzazione e programmazione dell'attività terapeutica del proprio reparto, ma anche di predisporre le procedure di emergenza, di vigilare sull'esatta compilazione delle cartelle cliniche e di assicurare tutti gli strumenti idonei di tipo preventivo, così da ridurre al minimo il rischio di eventi lesivi dovuti ad errori.
Stanti tali obblighi gravanti sul primario, il ricorrente affermava come dovesse essere al medesimo addebitata la condotta di non aver verificato un ricovero e le specifiche situazioni di rischio presentate da un paziente, prima di accettarlo presso la struttura, sottoponendolo a trattamento sanitario, invece che indirizzarlo presso un presidio sanitario più sicuro; inoltre, sosteneva come al medesimo spettasse di informare il Direttore sanitario, o il Direttore generale, di eventuali inidoneità o carenze strutturali od organizzative.
Con riferimento alla fattispecie concreta, l'imputato rilevava di non essere stato informato, né dal medico di guardia né dalle ostetriche, e neppure dal primario, circa il rischio emorragico presentato dalla paziente, operata la mattina successiva, al suo ingresso presso la casa di cura; egli, quale Direttore Sanitario, non poteva pertanto impedire il ricovero della paziente, prima di essere informato del medesimo, spettando dunque esclusivamente al primario la valutazione circa l'effettuazione del ricovero stesso.
L'imputato affermava inoltre, in merito alle altre imputazioni, come la casa di cura fosse accreditata presso la Regione Lazio al livello assistenziale 1, presentando tutte le caratteristiche di sicurezza ed organizzative necessarie a svolgere attività quali quelle di ostetricia e ginecologia; con riguardo alla mancata predisposizione o attuazione di protocolli o di esercitazioni periodiche, appartenenti comunque alla competenza del reparto, il Direttore Sanitario sosteneva di non esserne mai stato informato.
Con riferimento, invece, alla mancata predisposizione di una scorta di sangue in sala operatoria, la relativa richiesta preventiva non spettava al Direttore Sanitario, bensì ai singoli medici: la figura apicale del reparto o dell'unità sarebbe infatti tenuta a vigilare sulla correttezza delle indicazioni relative all'intervento chirurgico; sull'anestesista, invece, graverebbe l'obbligo di stabilire il grado di rischio dell'intervento chirurgico, valutazione che deve fondarsi sull'anamnesi prossima e remota nonché sulle indagini strumentali e di laboratorio.
Infine, con riguardo al mancato stoccaggio in sala parto di sacche di emazie, l'imputato evidenziava il divieto, posto dalla l. 107/90, nei confronti di presidi ospedalieri e case di cura, di mantenere sangue e derivati nella frigoemoteca se non per brevissimo tempo. Non era quindi obbligatoria, per il Direttore Sanitario, la detenzione di scorte di sangue, il quale poteva comunque essere richiesto ad un centro trasfusionale.
La Corte di Cassazione ha, dapprima, confermato la responsabilità penale non solo del medico curante che aveva avviato la paziente presso la casa di cura, ma anche dell'anestesista. Quest'ultima, infatti, lungi dall'essere esonerata da colpa a causa delle carenze dei dati contenuti nella cartella clinica in merito all'anemia della paziente, e delle rassicurazioni verbali fornitele dal collega circa le condizioni della donna, avrebbe dovuto adottare, a fronte delle pericolose lacune informative accertate, idonee precauzioni. L'anestesista, infatti, ha affermato la Corte, gode di un'autonomia tale da non poter fare esclusivamente affidamento, in simili circostanze, sull'operato degli altri sanitari: avrebbe, pertanto, dovuto provvedere ad informarsi più accuratamente sulla storia della paziente e ad assicurare l'approvvigionamento delle sacche ematiche al fine dell'effettuazione di una trasfusione, qualora necessario.
Con riferimento al ricorso proposto dal Direttore Sanitario, la Corte ha ritenuto di dover premettere un inquadramento della posizione di garanzia e degli obblighi gravanti su tale figura. Quest'ultima fu prevista come obbligatoria, in ogni casa di cura privata, per la prima volta, per mezzo dell'art. 53 della l. 128/68, rispondendo personalmente con riguardo all'"organizzazione tecnico-funzionale" nonché al "buon andamento dei servizi igienico-sanitari". La posizione del Direttore Sanitario fu pertanto istituita quale "diretto referente", nell'ambito delle strutture sanitarie private, degli organi pubblici titolari dei poteri di controllo e di intervento sull'attività di tali strutture. Egli, quindi, assume "la responsabilità della gestione della casa di cura sotto il profilo sanitario e, per quanto attiene all'organizzazione, dei diversi servizi tecnici della casa di cura stessa".
In un secondo momento, l'art. 5 D.P.R. 128/69 disciplinò più precisamente le attribuzioni del Direttore Sanitario, ed in particolare:
1) la previsione degli schemi di norme interne per l'organizzazione dei servizi tecnico-sanitari;
2) le decisioni sull'impiego, sulla destinazione, sui turni e sui congedi del personale sanitario, tecnico, ausiliario ed esecutivo addetto ai servizi sanitari dell'ospedale cui è preposto, in base ai criteri fissati dall'amministrazione;
3) la vigilanza sul personale da lui dipendente;
4) la vigilanza sulle provviste necessarie per il funzionamento sanitario dell'ospedale e per il mantenimento dell'infermo.
Tale portata dei compiti attribuiti al Direttore Sanitario trovò successivamente conferma nell'art. 27 D.P.C.M. 27/06/1986, ove si legge che egli: "cura l'organizzazione tecnico-sanitaria della casa di cura privata sotto il profilo igienico ed organizzativo, rispondendone all'amministrazione e all'autorità sanitaria competente...,propone all'amministrazione, d'intesa con i responsabili dei servizi, l'acquisto di apparecchi, attrezzature ed arredi sanitari...,vigila sul funzionamento dell'emoteca".
Con riferimento, pertanto, alla gestione delle scorte di sangue, la Corte ha osservato come al Direttore Sanitario spetti la vigilanza, oltre che sul funzionamento dell'emoteca, anche su ogni aspetto concernente la materia trasfusionale, come previsto, altresì, dalla l. 107/90 e dal Decreto del Ministero della Sanità del 27/12/1990.
Ancora, con Decreto dell'1/9/1995, il Ministero della Sanità qualificò il Direttore Sanitario quale referente diretto per la gestione delle problematiche relative all'impiego del sangue all'interno della clinica, affidandogli, da un lato, la responsabilità della gestione della frigoemoteca, con la prescrizione di vigilare su tutte le attività di approvvigionamento e distribuzione del sangue nella casa di cura e, dall'altro, il compito di organizzare il trasporto del sangue.
La Corte ha altresì evidenziato l'importanza, nello specifico ambito della prevenzione dei rischi legati al parto, della Raccomandazione per la prevenzione della morte materna o malattia grave correlata al travaglio e/o parto emessa dal Ministero della Salute in data 31 marzo 2008 (n. 6), rivolta proprio alle direzioni sanitarie al fine di "incoraggiare l'adozione di appropriate misure assistenziali e organizzative per evitare o minimizzare l'insorgenza di eventi avversi nell'assistenza al parto e al post-partum in modo da ridurre la mortalità potenzialmente evitabile" (cfr. nota 1).
Premesso tale inquadramento giuridico, la Suprema Corte ha giudicato infondati i motivi di ricorso proposti dall'imputato, disattendendo la tesi difensiva per cui la responsabilità sulla struttura sanitaria e sulle procedure organizzative spetti in via esclusiva al dirigente sanitario, mentre la responsabilità del reparto debba essere attribuita al solo primario. Il Direttore Sanitario è infatti titolare delle funzioni di carattere manageriale e medico-legale, dovendo egli verificare l'appropriatezza delle prestazioni medico-chirurgiche erogate e la corretta conservazione dei farmaci, organizzare la logistica dei pazienti e governare la gestione del rischio clinico. Egli è pertanto - hanno affermato i giudici di legittimità - il garante ultimo dell'assistenza sanitaria ai pazienti e del coordinamento del personale sanitario operante nella struttura, affinché tale attività sia sempre improntata a criteri di qualità e di sicurezza.
L'imputato avrebbe quindi dovuto adempiere ai suoi obblighi di:
- predisporre, in primis, un protocollo per le situazioni di emergenza quale quella originatasi nella fattispecie in esame, ed un adeguato meccanismo, interno all'ospedale, di verifica delle condizioni della paziente all'atto dell'ingresso, così da stabilire l'adeguatezza della struttura alla risoluzione delle problematiche di salute della donna;
- prevenire la possibilità di una sottovalutazione del rischio da parte del medico curante e della non piena conoscenza di tale rischio da parte della struttura (predisponendo un protocollo che evitasse il rischio di approssimazione nella ripartizione delle sfere di competenza tra direzione e singoli medici dal momento del ricovero a quello dell'emergenza post-partum);
- predisporre un adeguato sistema informativo che consentisse di evitare il ricovero della paziente, destinandola verso una struttura maggiormente attrezzata, o subordinandone l'ospedalizzazione all'adozione di particolari precauzioni;
- predisporre una scorta di sangue adeguata, nonché protocolli relativi a situazioni emergenziali ed alle modalità con cui contattare altra struttura sanitaria.
In conclusione, la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso proposto dall'imputato, ha quindi stabilito i seguenti principi di diritto in tema di responsabilità e posizione di garanzia del Direttore Sanitario di una casa di cura privata:
"Al direttore sanitario di una casa di cura privata spettano poteri di gestione della struttura e doveri di vigilanza ed organizzazione tecnico-sanitaria, compresi quelli di predisposizione di precisi protocolli inerenti al ricovero dei pazienti, all'accettazione dei medesimi, all'informativa interna di tutte le situazioni di rischio, alla gestione delle emergenze, alle modalità di contatto di altre strutture ospedaliere cui avviare i degenti in caso di necessità e all'adozione di scorte di sangue e/o di medicine in caso di necessità".
"Il conferimento dei suindicati poteri comporta l'attribuzione al direttore sanitario di una posizione di garanzia giuridicamente rilevante, tale da consentire di configurare una responsabilità colposa per fatto omissivo per mancata o inadeguata organizzazione della casa di cura privata, qualora il reato non sia ascrivibile esclusivamente al medico e/o ad altri operatori della struttura".
"Tale colpa di "organizzazione", da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza, da parte del direttore sanitario, di adottare le cautele organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità della casa di cura".
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(1). Tra le molte raccomandazioni in materia, il Ministero della Salute prescrisse, in particolare:
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(1). Tra le molte raccomandazioni in materia, il Ministero della Salute prescrisse, in particolare:
- in tema di triage ostetrico, la corretta valutazione del rischio della donna da effettuare sulla base di criteri condivisi dall'equipe assistenziale e accuratamente riportati nella documentazione clinica, da differenziare sulla base dei livelli assistenziali ed organizzativi esistenti;
- l'obbligo di ogni struttura ospedaliera di dotarsi di protocolli e percorsi assistenziali scritti, basati sulle prove di efficacia disponibili e condivisi tra tutti gli operatori sanitari coinvolti, che devono prevedere l'integrazione con il territorio, nell'ottica di favorire la continuità assistenziale al percorso nascita, la raccolta anamnestica completa, i ricoveri appropriati per livello di punto nascita e le modalità di trasporto in caso di emergenza ostetrica, nonché l'opportunità di valutare, nella considerazione della conduzione di un caso clinico, le possibili ricadute di una condizione ostetrica su entrambi i soggetti assistiti, madre e feto nel loro insieme;
- l'obbligo di attuare misure di prevenzione, tenendo presenti gli aspetti legati all'appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, all'integrazione ed alla continuità dell'assistenza, all'appropriata informazione delle persone assistite ed alla qualità della documentazione clinica, con particolare riferimento alle cause di rischio di morte materna, tra le quali l'emorragia del post-partum;
- un piano di informazione aziendale che preveda un training specifico per il personale coinvolto in attività assistenziali in corso di travaglio, parto e puerperio con riferimento ai fattori di rischio e alla qualità della documentazione clinica per la prevenzione della mortalità materna con formazione del personale per la gestione della donna assistita in emergenza, nell'ambito dell'aggiornamento continuo di tutto il personale sanitario potenzialmente coinvolto;
- la possibilità per le aziende e per i professionisti sanitari di avvalersi di strumenti di indirizzo quali linee guida, protocolli, percorsi clinico-assistenziali per migliorare lo standard delle cure erogate e garantire l'appropriatezza nei percorsi clinico-organizzativi;
- l'opportunità della partecipazione di tutte le figure professionali a periodiche esercitazioni di simulazione di emergenze ostetriche, dalle prime cure alle tecniche di rianimazione vera e propria, per verificare l'appropriatezza delle procedure messe in atto dalle diverse figure professionali coinvolte;
- l'organizzazione di audit sistematici e documentati mediante metodologie che permettano di confrontare le procedure assistenziali a degli standard riconosciuti, al fine di valutarne l'appropriatezza e di migliorare l'assistenza;
- l'obbligo delle Direzioni Aziendali di predisporre una propria procedura standardizzata per l'individuazione di idonee misure preventive della morte materna correlata al travaglio e/o parto.