In materia di reati ambientali, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 10504, pronunciata all'udienza del 6 novembre 2019 (deposito motivazioni in data 23 marzo 2020), ha preso in esame i temi relativi alla prescrizione del delitto di disastro di cui all'art. 434 c.p. ed ai rapporti intercorrenti tra tale fattispecie incriminatrice ed i reati ambientali di cui agli artt. 452 bis e 452 quater c.p..
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato (tra gli altri ricorrenti) dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Catanzaro avverso la sentenza con cui la locale Corte d'Appello aveva confermato l'assoluzione, perché il fatto non sussiste, nei confronti di alcuni imputati per il delitto di disastro ambientale aggravato.
Agli imputati era stato contestato di aver concorso a cagionare, nella gestione di uno stabilimento industriale sito in Praia a Mare (CS), di proprietà di un'azienda tessile, un disastro ambientale nell'area circostante lo stabilimento. Secondo la tesi accusatoria, si era infatti ritenuto come essi avessero cagionato un grave inquinamento del suolo, sversando ed interrando fanghi nonché altri rifiuti speciali di origine industriale, di elevato livello di pericolosità, in quanto contenenti sostanze tossiche e nocive. Tra di esse, si annoveravano coloranti azoici utilizzati per le colorazioni, metalli pesanti, sostanze cancerogene quali il cromo esavalente, l'amianto e la lana di vetro.
La Corte di Cassazione ha rilevato la maturazione della prescrizione in ordine al delitto di disastro ambientale, la cui attività materiale era cessata, in via definitiva, nel 2004, con la dismissione dello stabilimento industriale di Praia a Mare.
Nel rilevare la causa estintiva, la Suprema Corte ha effettuato le seguenti osservazioni.
Per quanto concerne i tratti costitutivi di tale delitto, si è innanzitutto osservato come esso rappresenti un esempio di fattispecie a consumazione anticipata. Ciò in quanto la stessa sussistenza del pericolo (concreto) di un disastro è già idonea a determinare la consumazione del reato ("chiunque...commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro, è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità"). Corollario di tale affermazione è rappresentato dal capoverso dell'art. 434 c.p., che qualifica come circostanza aggravante il verificarsi del disastro.
Il concetto di "disastro" è stato invece nel tempo definito sia dalla giurisprudenza di legittimità (I Sez., 7941/2015) sia da quella costituzionale (Sent. 327/2008). Esso evoca "un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi". In relazione alla sua offensività nei confronti del bene giuridico della pubblica incolumità, il fatto deve cagionare "un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone", ma non necessariamente la morte o le lesioni di uno o più soggetti.
In riferimento all'elemento soggettivo, dottrina e giurisprudenza sono d'accordo nel ritenere che sia richiesto il dolo intenzionale in ordine all'evento di disastro; quello eventuale, invece, rispetto al pericolo che ne deriva nei confronti della pubblica incolumità. La norma, infatti, richiede che il disastro rappresenti il risultato che il soggetto agente persegue, accettando la possibilità che da esso possa originarsi un più grave evento, pericoloso per la pubblica incolumità.
Infine, per quanto riguarda il momento consumativo del delitto (e quindi il decorso della prescrizione), il Collegio ha evidenziato come esso presenti la tipica struttura del c.d. delitto di attentato.
Sulla base della fondamentale distinzione tra perfezione e consumazione del reato ("realizzazione di tutti gli elementi della fattispecie nel loro contenuto "minimo" preteso dal legislatore, che supera lo stadio del tentativo" la prima; "momento in cui si chiude l'iter criminoso ed il reato perfetto raggiunge la massima gravità concreta riferibile alla fattispecie astratta" la seconda), i giudici di legittimità hanno tratto la seguente conclusione. Nel reato di pericolo aggravato dall'evento, costituente la finalità della condotta, il momento consumativo viene a coincidere con quello della verificazione dell'evento. Tanto si può dunque affermare anche in relazione al delitto di cui all'art. 434 c.p., come ricavabile dai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità (I Sez., 7941/15).
Tuttavia, secondo una tesi propugnata da una parte civile nel giudizio de quo, il momento consumativo del delitto di cui all'art. 434 c.p. dipenderebbe altresì dalla sua natura di reato permanente. Secondo tale teoria, il disastro ambientale "pregiudicando la salubrità dell'ambiente e creando pericolo per la salute delle persone è un fatto che si realizza proprio con l'amplificarsi dell'evento previsto dal comma 2, ma anche con l'insorgenza di nuove concrete situazioni di pericolo in altre persone, fintanto che l'agente, che aveva dato inizio alla serie causale, ometta di fare quanto è nelle sue possibilità per impedire che ciò che aveva iniziato continui a sviluppare ed amplificare tali pericoli".
Nella vicenda in esame, quindi, la parte civile aveva sostenuto come, pur cessati i cicli produttivi e dismessa l'area industriale, la mancata esecuzione di interventi di bonifica avrebbe determinato un'amplificazione della compromissione dell'ambiente, e ciò costituirebbe un segmento ulteriore della condotta illecita. In altri termini, con tale teoria si sostiene come la consumazione del delitto in questione si protragga fino a che perduri la contaminazione dell'area, dovuta all'alterazione dello stato dei luoghi, e dunque il pericolo per la pubblica incolumità.
La Corte di Cassazione non ha condiviso tale tesi, ritenendola non coerente con la definizione, elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, di reato permanente.
Esso è stato definito come il reato in cui "la consumazione prosegue oltre il momento di inizio della realizzazione della condotta illecita in dipendenza del volontario protrarsi nel tempo della condotta stessa": per esso la prescrizione decorre pertanto dalla cessazione della consumazione.
Il reato permanente dev'essere distinto dal reato istantaneo ad effetti permanenti, il quale si connota per "il perdurare delle sole conseguenze dannose del reato, non già del comportamento antigiuridico che ne costituisce la causa": in questo caso, quindi, la prescrizione inizia a decorrere dal momento della realizzazione della condotta tipica, delineata dalla norma incriminatrice.
Per quanto riguarda il delitto di disastro ambientale, una lucida analisi fu effettuata, come anticipato, dalla Sentenza Schmidheiny n. 7941/15 della I Sez. della Corte di Cassazione (relativa ad un noto caso giudiziario di diffusione di polveri di amianto) e dalla Sentenza n. 327/08 della Corte Costituzionale. Da tali arresti giurisprudenziali si ricava che:
a) il disastro cui si riferisce l'art. 434 c.p. dev'essere inteso come "un fenomeno distruttivo di straordinaria importanza";
b) tale evento trova una sua ulteriore connotazione, ed una precisazione della sua portata offensiva, nel fatto di cagionare un pericolo per la pubblica incolumità, il quale rappresenta la ratio dell'incriminazione e permette di individuare il bene giuridico protetto;
c) il persistere del pericolo, così come la sua concretizzazione, ossia la lesione del bene della pubblica incolumità, non sono fatti richiesti ai fini della realizzazione del delitto, con la conseguenza per cui "non possono segnare la consumazione del reato": sul piano concettuale, devono infatti essere tenuti distinti l'evento rappresentato dal pericolo rispetto agli effetti che da esso sono successivamente derivati.
Con riferimento, pertanto, alla questione relativa al momento consumativo del delitto di cui all'art. 434 comma 2 c.p., la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto:
"Nel delitto previsto dal capoverso dell'art. 434 c.p., il momento di consumazione del reato coincide con l'evento tipico della fattispecie e quindi con il verificarsi del disastro, da intendersi come fatto distruttivo di proporzioni straordinarie dal quale deriva pericolo per la pubblica incolumità, ma rispetto al quale sono effetti estranei ed ulteriori il persistere del pericolo o il suo inveramento nelle forme di una concreta lesione; ne consegue che non rilevano, ai fini dell'individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine di prescrizione, eventuali successivi decessi o lesioni pur riconducibili al disastro".
Sulla base di tale principio, si può dunque affermare - ha osservato la Corte - che eventi successivi al verificarsi del disastro, quali i pregiudizi per la salute di singoli individui, o l'ulteriore deterioramento di un sito, non sono idonei a determinare lo slittamento in avanti del termine di decorrenza iniziale della prescrizione. Esso deve invece essere collocato, quantomeno in fattispecie come quella de quo, al momento della cessazione dell'attività produttiva, causa della contaminazione dell'ambiente lavorativo e del territorio circostante.
Tale assunto, inoltre, non può essere smentito dall'attribuzione di rilevanza ad una condotta successiva quale l'omessa bonifica del sito contaminato nel periodo susseguente alla dismissione dello stabilimento industriale. La norma incriminatrice, infatti, non prevede né punisce tale successiva condotta omissiva: pertanto, ritenere che la mancata rimozione della situazione illecita determinata dalla condotta commissiva possa essere considerata implicita nella contestazione del comportamento antigiuridico attivo urterebbe con i fondamentali principi di tipicità e tassatività della norma penale. D'altra parte - osservarono già le Sezioni Unite Cavallaro n. 17178/02 - una simile affermazione potrebbe, potenzialmente, essere estesa a qualunque fattispecie la cui condotta non provochi la distruzione del bene giuridico protetto, con un'estensione incontrollabile dell'area della punibilità, che muterebbe in reati permanenti fattispecie da sempre considerate quali reati istantanei, come il furto o la ricettazione.
Nel prosieguo della propria motivazione, su input della difesa di un imputato, la Suprema Corte ha affrontato un ulteriore tema di particolare interesse: il rapporto tra il delitto di disastro di cui all'art. 434 c.p. e le diverse fattispecie di delitti ambientali, introdotte dalla l. 68/15 negli artt. 452 bis ss. c.p..
Riguardo a tale rapporto, si è posta, in particolare, la questione se tra tali fattispecie sia da riconoscersi un'ipotesi di successione nel tempo di norme penali diverse.
L'interrogativo ha avuto ad oggetto, in particolare, i delitti di cui all'art. 452 quater (rubricato proprio "disastro ambientale") e 452 bis c.p. ("inquinamento ambientale").
Di particolare interesse, al riguardo, è il fatto che la prima di tali fattispecie definisca il "disastro ambientale" come, alternativamente:
1) "alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema";
2) "alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali";
3) "l'offesa alla pubblica incolumità, in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Nessun dubbio è sorto sulla natura delle prime due ipotesi di disastro ambientale quali reati di evento, al contrario della terza, ritenuta da dottrina e giurisprudenza un reato di pericolo concreto.
La fattispecie di cui all'art. 452 bis c.p., invece, da considerarsi in rapporto di sussidiarietà con quella sopra descritta, ha ad oggetto la condotta meno grave di inquinamento ambientale, descritto nei termini di una "compromissione e deterioramento significativi e misurabili" di acque, aria, porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha affermato come l'introduzione, cinque anni or sono, di queste due nuove fattispecie di reati ambientali non ha certo determinato l'abrogazione, espressa o implicita, del delitto di disastro "innominato" di cui all'art. 434 c.p.. Esso infatti è da considerarsi quale "norma di chiusura del sistema di protezione del bene giuridico tutelato, è riferito alla più vasta categoria del disastro doloso, è posto a salvaguardia della pubblica incolumità, ossia della vita e dell'integrità fisica delle persone e non del solo ambiente, che di per sé può essere compromesso senza arrecare pregiudizi a quanti vi siano insediati, e presenta una diversa formulazione rispetto al nuovo art. 452 quater c.p.".
Per quanto concerne, quindi, i rapporti tra le due fattispecie incriminatrici, essi sono ricostruibili tramite la comparazione della portata e degli effetti dei disastri contemplati dalle due norme. Il primo, infatti, prevede il verificarsi di un "fenomeno naturale di ampia dimensione, diffusivo e di straordinaria importanza", evento la cui offensività nei confronti dell'ambiente è di gran lunga superiore rispetto a quella propria dell'inquinamento "significativo e misurabile" descritto dalla fattispecie di cui all'art. 452 bis c.p., ma anche rispetto a quella relativa al disastro ambientale, di maggiore gravità, previsto dal delitto di cui all'art. 452 quater c.p..
Ulteriori elementi distintivi tra le tre fattispecie sono rappresentati, come osservato dalla Sentenza n. 29901/18 della III Sez. Pen. della Suprema Corte, dalla necessaria alterazione compromissoria dell'ambiente e dall'abusività della condotta, requisiti richiesti solo dai nuovi reati ambientali.
I rapporti tra tali reati e quello di cui all'art. 434 c.p. sono quindi definibili in termini di autonomia e non di continuità normativa e di specialità.
Risolutiva, al riguardo, è d'altronde la clausola di riserva ("fuori dai casi previsti dall'art. 434"), con cui si apre il disposto dell'art. 452 quater c.p., confermando la perdurante applicazione di tale, precedente, fattispecie incriminatrice.
Non è pertanto in alcun modo riconoscibile, nella fattispecie, un'ipotesi di successione di norme penali nel tempo: l'art. 452 quater c.p. prevede, infatti, "una definizione dell'evento disastroso che colpisca l'ambiente in termini più puntuali e specifici quanto alla descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie, in precedenza delineati in modo più generico dall'art. 434 c.p.,...in funzione di una maggiore tipizzazione del fatto di reato".
Per quanto invece concerne i rapporti tra il delitto di cui all'art. 434 c.p. e quello di inquinamento ambientale di cui all'art. 452 bis c.p., i giudici di legittimità sono giunti ad analoghe conclusioni.
Come già anticipato, infatti, quest'ultima fattispecie si colloca nell'area di tutela del medesimo bene giuridico protetto dal delitto di disastro ambientale. L'unica differenza è invero rintracciabile sono nell'intensità dell'offesa all'ambiente: "una compromissione o deterioramento di singole componenti ambientali o dell'ecosistema" da un lato, suscettibile di misurazione e di rimedio; "l'alterazione definitiva ed irreversibile o eliminabile in base a procedure di particolare onerosità o mediante misure eccezionali" dall'altro.
Tali analogie hanno quindi indotto i giudici di legittimità a ritenere che la clausola di riserva, posta in apertura della disposizione di cui all'art. 452 quater c.p., debba ritenersi estensibile anche all'art. 452 bis c.p..