La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 16598, pronunciata all'udienza del 20 febbraio 2020 (deposito motivazioni in data 3 giugno 2020), ha preso in esame il delitto di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'art. 73 comma 1 D.P.R. 309/90, relativamente alla fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 della medesima disposizione; la sentenza ha, inoltre, avuto ad oggetto il tema relativo alla possibile differenziazione tra il titolo di responsabilità dei singoli concorrenti in tale fattispecie incriminatrice.
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Roma ne aveva confermato la penale responsabilità per il delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 73 commi 1 e 1 bis D.P.R. 309/90, poichè, quale fornitore di sostanza stupefacente del tipo cocaina, ne cedeva in diverse occasioni plurime dosi al promotore e ad altri partecipi di un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato contestava la qualificazione giuridica della propria condotta, effettuata ai sensi del comma 1 dell'art. 73 D.P.R. 309/90, anziché ai sensi del comma 5 della medesima disposizione, con riferimento alla fattispecie c.d. di lieve entità.
In particolare, egli lamentava come la motivazione dei giudici di merito fosse stata illogica e contraddittoria, nella parte in cui aveva inflitto al medesimo un trattamento sanzionatorio maggiormente grave, rispetto a quello riservato ad altri partecipi dell'associazione a delinquere, sebbene anch'essi fossero rivenditori della sostanza stupefacente, ed avessero detenuto un quantitativo della medesima pari al suo.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall'imputato, sulla base di un principio di diritto enunciato in materia dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte (Sent. n. 2157/2019), a mente del quale il medesimo fatto storico di cessione di sostanze stupefacenti può essere ascritto a ciascun correo ai sensi di disposizioni incriminatrici differenti, a seconda del contesto in cui la singola condotta si collochi:
"In tema di concorso di persone nel reato di cessione di stupefacenti, il medesimo fatto storico può essere ascritto ad un imputato ai sensi dell'art. 73 comma 1, e ad un altro imputato a norma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 comma 5, qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta assuma caratteri differenziali per ciascun correo. In siffatta valutazione, infatti, non assume rilevanza solo il dato qualitativo o quantitativo della sostanza detenuta o ceduta, bensì il disvalore complessivo del fatto di reato, delineato dalle modalità dell'azione".
Ai giudici della Terza Sezione Penale non è tuttavia sfuggito che, sempre nel corso del 2019, la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte aveva affermato, in proposito, il principio esattamente opposto, sostenendo come il medesimo fatto storico non possa essere qualificato ai sensi del comma 1 e del comma 5 della disposizione citata nei confronti dell'uno e dell'altro concorrente nel reato: ciò alla luce del principio dell'unicità del reato, come espresso dall'art. 110 c.p., il quale non permette che esso si atteggi in modo diverso rispetto ai singoli concorrenti.
Inoltre, le successive disposizioni del codice sono volte ad assicurare, anche in presenza di elementi di differenziazione tra i vari concorrenti nel reato, la parificazione del titolo di responsabilità, fatta salva la possibilità di adeguare il trattamento sanzionatorio nei confronti di ciascun soggetto.
In particolare, la Corte ha fatto riferimento:
- alla circostanza attenuante generale di cui all'art. 114 c.p.;
- all'art. 116 c.p., il quale prevede che, qualora taluno dei concorrenti voglia la commissione di un reato diverso da quello poi commesso, anch'egli risponda di quest'ultimo, qualora l'evento sia conseguenza della sua azione od omissione (salva la diminuzione della pena nei confronti di chi aveva voluto la commissione del reato meno grave);
- all'art. 117 c.p., ove si afferma che, se per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato (ma anche in questo caso il giudice può, qualora tale ultimo reato sia più grave, diminuire la pena nei confronti di coloro per i quali non sussistano tali condizioni, qualità o rapporti).
Alla luce di tali argomentazioni, i giudici della Quarta Sezione Penale avevano affermato come non fosse possibile attribuire reati diversi ai singoli concorrenti, in assenza di specifiche previsioni di segno opposto, non risultanti tuttavia in relazione alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90, ove la minore gravità del fatto è definita in modo "oggettivo e globale".
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, a fronte di tale contrasto giurisprudenziale, ha ritenuto di condividere l'orientamento espresso dai giudici della Sesta Sezione.
La configurabilità di differenti titoli di responsabilità in relazione ai diversi concorrenti nel reato sarebbe infatti possibile, attraverso la combinazione delle norme di parte speciale con quelle sul concorso di persone nel reato, combinazione da cui discenderebbero tante fattispecie plurisoggettive quanti sono i singoli concorrenti. Tali fattispecie, inoltre, avrebbero in comune un nucleo di accadimento materiale, ma si distinguerebbero tra di loro sulla base dell'atteggiamento psichico di ciascun compartecipe e di altri aspetti esteriori, i quali riguardano la condotta del singolo compartecipe.
La Corte ha quindi osservato come nell'ordinamento penale non manchino esempi di responsabilità a diverso titolo per taluni dei concorrenti nel reato:
1) in tema di autoriciclaggio, è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità (II Sez., Sent. n. 17245/18) come il soggetto che non sia concorso nel reato presupposto, qualora dia un contributo alla realizzazione, da parte dell'autore del medesimo, di condotte di autoriciclaggio, non risponda di tale delitto, ma di quello di riciclaggio;
2) l'art. 117 c.p. (rubricato "mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti") parifica la responsabilità dei singoli concorrenti nel reato nel senso di un potenziale aggravamento. Esso però - hanno osservato i giudici di legittimità - non opera una generale equiparazione tra le loro posizioni, in caso di mutamento del titolo del reato per taluno di essi; tale equiparazione è infatti limitata all'ipotesi in cui il mutamento del reato sia determinato, per taluno dei concorrenti, dalle sue condizioni o qualità personali, o dai rapporti intercorrenti tra il medesimo e l'offeso. Al di fuori di questa ipotesi, non v'è alcuna equiparazione, di modo che i concorrenti nello stesso fatto ben possono risponderne a diverso titolo;
3) l'art. 116 c.p. (rubricato "reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti") svolge a sua volta una funzione "aggravatrice": esso stabilisce sì una medesima responsabilità ed un medesimo trattamento per tutti coloro che sono concorsi nel reato, nell'ipotesi di reato diverso da quello voluto da taluno dei soggetti concorsi nel reato; al contempo, tuttavia, stabilisce una diminuzione di pena per colui che abbia voluto il reato meno grave, differenziando, ancora una volta, le singole posizioni.
Gli istituti di cui agli artt. 116 e 117 c.p., pertanto, confermano indirettamente la ragionevolezza, in caso di loro inapplicabilità, della scelta di "correlare il titolo della responsabilità penale, per ciascun agente, al fatto al medesimo riferibile, oggettivamente e soggettivamente".
Alla luce di tali osservazioni, i giudici di legittimità hanno ritenuto legittimo differenziare il titolo della responsabilità penale dei singoli concorrenti nel fatto storico di cessione (o detenzione) di una sostanza stupefacente, con qualificazione ai sensi del comma 1 dell'art. 73 D.P.R. 309/90 per uno di essi ed ai sensi del comma 5 della medesima disposizione per altri.
A questi fini, infatti, devono essere considerati, da un lato, "il contesto complessivo nel quale la condotta si colloca", contesto oggettivamente e soggettivamente ascrivibile ad uno solo dei soggetti, ma non ad altri; dall'altro, i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione, menzionati dal comma 5 dell'art. 73 D.P.R. 309/90.
Nel valutare una possibile differenziazione dei titoli di responsabilità penale ai sensi dell'art. 73 D.P.R. 309/90, è tuttavia necessario tenere in considerazione un altro fattore, ossia l'identità o meno delle condotte tenute da ciascuno dei concorrenti nel reato, nel novero di quelle enumerate nei commi 1 e 1 bis dell'art. 73 cit..
Nella fattispecie in esame, infatti, l'imputato non era stato in realtà condannato a titolo di concorso: egli era il venditore dello stupefacente, e l'art. 110 si riferiva alle posizioni dei singoli coimputati, concorrenti nell'acquisto della sostanza.
Tale osservazione è stata valorizzata dal Collegio quale ulteriore argomento a favore di una differente qualificazione giuridica del medesimo fatto storico in relazione ai diversi coimputati: con ciò si intende la qualificazione ai sensi dell'art. 73 comma 1 cit. della condotta di vendita della sostanza stupefacente, ed ai sensi dell'art. 73 comma 5 cit. della condotta di acquisto della sostanza medesima.
Tra acquirente e venditore, invero, difetta un concorso: essi hanno tenuto condotte diverse, pur aventi ad oggetto lo stesso quantitativo di stupefacente.
La Corte di Cassazione è quindi giunta ad enunciare il seguente principio di diritto:
"Lo stesso quantitativo di droga può essere oggetto di più reati, qualificati a diverso titolo, da parte di più soggetti, cosicché la condotta del venditore, soggetto dotato di maggiori contatti e canali di approvvigionamento, il quale svolge professionalmente e reiteratamente la sua attività, può essere ritenuta più grave, mentre quella dell'acquirente, in quanto limitata a quantitativi singoli, più sporadica nel tempo e sganciata da stabili rapporti con i grandi canali di approvvigionamento della criminalità organizzata, può essere qualificata di minore gravità".
In conclusione, la Corte ha approvato la motivazione delle sentenze di merito, volta a differenziare le forme di responsabilità dei singoli coimputati, e fondata sulle evidenze rappresentate:
- dal maggior disvalore della condotta di vendita rispetto a quella di acquisto, essendo la prima manifestazione dell'inserimento dell'imputato nel mercato del narcotraffico;
- l'abitualità e la frequenza dell'attività di spaccio cui era dedito l'imputato, costituente addirittura la sua unica fonte di sostentamento;
- i contatti stabili e continuativi con i grandi canali di approvvigionamento, che consentivano all'imputato di rivendere la sostanza in diversi contesti;
- il rilevante giro d'affari, malgrado la riscontrata cattiva qualità dello stupefacente.
Infine, l'equiparazione delle singole posizioni dei coimputati fondata sull'uguale quantitativo di sostanza venduta dall'imputato e comprata dagli acquirenti è stata giudicata infondata anche sulla base dell'ulteriore evidenza rappresentata dal maggior quantitativo di sostanza posseduta dal medesimo, il quale era infatti il principale fornitore della zona.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte ha pertanto rigettato il ricorso proposto dall'imputato, confermandone la responsabilità ai sensi dei commi 1 e 1 bis dell'art. 73 D.P.R. 309/90.