domenica 25 luglio 2021

Corruzione per l'esercizio della funzione: la rilevanza della proporzionalità tra le prestazioni oggetto dell'accordo corruttivo ai fini della prova del nesso sinallagmatico tra dazione ed esercizio della funzione.

In materia di corruzione per l'esercizio della funzione, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 7007, pronunciata all'udienza dell'8 gennaio 2021 (deposito motivazioni in data 23 febbraio 2021), ha preso in esame il tema concernente la rilevanza della proporzionalità tra le prestazioni oggetto dell'accordo corruttivo, con specifico riferimento all'ipotesi dell'irrisorietà dell'utilità conseguita dal soggetto pubblico rispetto all'importanza dell'atto amministrativo da egli compiuto.


  • Il fatto

Un imputato proponeva ricorso avverso la Sentenza con cui la Corte d'Appello di Ancona ne aveva confermato la penale responsabilità per il delitto di cui all'art. 318 c.p., commesso nella qualità di capo ufficio della Direzione Provinciale dell'Agenzia dell'Entrate di Pesaro e Urbino, oltre che per i delitti di cui agli artt. 319 quater e 323 c.p..

In relazione al delitto di corruzione per l'esercizio della funzione, era stato contestato all'imputato di aver adottato atti di annullamento e riduzione delle contestazioni tributarie nei confronti di un privato e della di lui coniuge, in cambio della consegna gratuita di due cinture in pelle presso il punto vendita di una ditta della quale il soggetto indicato quale corruttore era il legale rappresentante.

Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato lamentava violazione di legge in relazione agli artt. 318 c.p. e 4 D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, con riguardo alla possibilità di ritenere la dazione delle due cinture una regalia d'uso di modico valore ai sensi dell'art. 4 cit.Tale disposizione consente, infatti, regali di modico valore "effettuati nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali". 

Siffatti usi - rilevava l'imputato - non sono necessariamente correlati a particolari ricorrenze festive, potendo, pertanto, rientrarvi anche omaggi o sconti praticati da parte dei commercianti per fidelizzare i propri clienti.

Essi, inoltre, risultano essere in linea con la giurisprudenza, la quale, anche con riferimento alla precedente disciplina penalistica della corruzione, richiedeva, ai fini dell'integrazione della fattispecie di reato, che vi fosse una proporzionalità tra il vantaggio conseguito dal corruttore e l'utilità offerta al corrotto, stante la necessaria sussistenza del carattere retributivo dell'atto d'ufficio.

Nel caso di specie, il pubblico ufficiale aveva, invece, conseguito un'utilità di modesto valore, specialmente se rapportata all'entità del favore ricevuto dal privato: ciò risultava, dunque, in contraddizione con la ritenuta rilevanza del vantaggio conseguito dal pubblico ufficiale.


  • La decisione

La Corte ha, innanzitutto, riconosciuto una carenza di motivazione della sentenza con riguardo all'accertamento del nesso eziologico tra la donazione delle due cinture ed il compimento dell'atto amministrativo favorevole da parte dell'imputato. Tale nesso era stato desunto sulla base della sola vicinanza temporale tra i due eventi, verificatisi a distanza di un giorno l'uno dall'altro.

Il dato della contiguità temporale è stato, tuttavia, giudicato, di per sé, insufficiente a fondare la prova di un accordo corruttivo, trattandosi della dazione gratuita di un bene di modesto ed imprecisato valore economico, e considerando l'assenza di chiari elementi rivelatori dell'esistenza di un previo accordo tra le due parti, tale da condizionare l'esercizio della funzione pubblica da parte dell'imputato.

I giudici anconetani, dopo aver riconosciuto come non fossero risultate anomalie di rilievo nella procedura con cui l'imputato, quale capo ufficio, aveva disposto l'avocazione degli accertamenti tributari relativi al coimputato ed alla di lui moglie, sottraendoli ai funzionari cui le pratiche erano state assegnate, avevano comunque ritenuto sussistere una fattispecie di corruzione impropria. Essi avevano, infatti, ravvisato un rapporto di causa ed effetto tra la dazione delle due cinte e l'esito favorevole, pur legittimo, della procedura di accertamento tributario effettuato dall'imputato, che aveva condotto, per il coimputato, all'azzeramento dell'addebito dell'imposta evasa (quantificata, per un anno, in sedicimila euro e, per quello successivo, in ventimila euro) nonché all'abbattimento (da ventiduemila a tredicimila) dell'importo della medesima per quanto riguardava la coniuge.

I giudici di legittimità hanno considerato tale assunto non fondato: malgrado, infatti, fosse emerso un "protagonismo" dell'imputato per la definizione della pratica, la circostanza dell'assenza di sollecitazioni da parte dei due contribuenti, e la manifesta assenza di proporzionalità tra il rilievo economico dell'atto amministrativo favorevole ed il valore commerciale, di modica entità, delle cinture donate, non consentivano di giungere al riconoscimento della sussistenza di un accordo corruttivo. 

La circostanza per cui l'imputato avesse sollecitato il regalo, emersa nel corso del giudizio, è stata giudicata dalla Corte quale espressione di una condotta opportunistica del medesimo, sopravvenuta, e non preordinata, rispetto alla definizione dell'accertamento tributario, e quindi, tuttalpiù, riconducibile all'ipotesi di corruzione impropria susseguente.

Tali osservazioni hanno quindi consentito al Collegio di rammentare come, sebbene l'art. 318 c.p., a seguito della riforma apportata dalla l. 190/12, non preveda più alcun riferimento al concetto di "retribuzione non dovuta", rimane, tuttavia imprescindibile, ai fini dell'integrazione del reato, e specialmente nel caso di corruzione impropria per accordo susseguente al compimento dell'atto amministrativo favorevole, che:

"tra la promessa o la dazione di denaro o di altra utilità non dovute al pubblico ufficiale ed il compimento dell'atto legittimo vi sia una correlazione funzionale, un nesso di causa ed effetto, il cui accertamento pur potendo in linea astratta anche prescindere dal requisito della proporzionalità tra le prestazioni oggetto dell'accordo, ne risulta condizionato in concreto nei casi in cui manchino altri elementi univoci dimostrativi della esistenza di un accordo corruttivo".

Pertanto, la proporzionalità tra le prestazioni oggetto dell'accordo corruttivo - o, in altri termini, la mancanza di sproporzione manifesta tra la prestazione del privato e quella del pubblico ufficiale - se, da un lato, "non costituisce un elemento necessario per l'integrazione della fattispecie penale", dall'altro rappresenta un dato di sicura ed evidente rilevanza da un punto di vista probatorio

Il difetto di tale requisito - ha rilevato la Corte - dovuto all'irrisorietà del valore della dazione indebita rispetto alla rilevanza dell'atto amministrativo compiuto dal pubblico ufficiale,  comporterà, infatti, una forte difficoltà nel raggiungimento della prova dell'esistenza del nesso sinallagmatico tra dazione ed esercizio della funzione, elemento necessario da accertare, in quanto rivelatore del mercimonio della funzione pubblica, costituente il disvalore del fatto di corruzione impropria.

Da tali considerazioni gli Ermellini hanno tratto il principio per cui:

"nel caso della dazione di beni o utilità di scarso valore economico la verifica della corrispettività con il compimento dell'atto amministrativo, in cui si sostanzia il necessario nesso sinallagmatico che è alla base dell'incriminazione, si impone come elemento discretivo tra le condotte penalmente rilevanti rispetto a quelle che possono rilevare unicamente sul piano degli illeciti disciplinari"

Venendo quindi al profilo disciplinare, la Corte ha invece affermato come, in base alla disciplina prevista dall'art. 4 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, la dazione di regali correlati alla definizione di una pratica amministrativa, di interesse del privato, non possa mai essere considerata una "regalia d'uso", tale da giustificare, in caso di modico valore del bene, la relativa accettazione da parte del dipendente pubblico.

In definitiva, quindi, tali donazioni di modico valore sono tali da integrare, certamente, l'illecito disciplinare, a condizione che esse siano state effettuate in coincidenza temporale con l'esercizio della funzione

L'elemento della correlazione temporale non è invece sufficiente, di per sè, ad integrare il reato di cui all'art. 318 c.p.: a tal fine, è infatti necessario che le condotte del pubblico dipendente e del privato siano riconducibili ad un rapporto sinallagmatico fra parti contrapposte, in quanto "la corrispettività "funzionale" di ciascuna di esse resta un elemento necessario per l'integrazione del reato di corruzione, tanto di quella propria che di quella impropria".

D'altra parte, hanno ancora rilevato i giudici di legittimità, risulta di tutta evidenza come, ai fini dell'accertamento di tale nesso di corrispettività, qualora risultino donazioni di modico valore, il predetto requisito della proporzionalità assume una forte rilevanza sul piano probatorio, ben maggiore rispetto alle ipotesi in cui la dazione o l'offerta di utilità da parte del privato, sulla base della consistenza economica valutata in assoluto, e non in proporzione all'entità del favore ricevuto, risultino già, di per se stessi, elementi sufficienti a ricondurre il fatto nell'ambito del mercimonio della funzione pubblica.

In conclusione, quindi, la Corte ha richiamato e ribadito il principio, già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per cui non assume rilevanza penale la condotta del privato che manifesti con donativi di modesto valore il proprio apprezzamento per l'attività svolta dal pubblico agente (Sez.6, n. 19319 del 10/02/2017). 

In correlazione a tale principio, i giudici di legittimità hanno affermato come si debba ritenere che anche la condotta del soggetto pubblico, che accetti la corresponsione di tali beni, al di fuori di una relazione di corrispettività con l'attività svolta, non assuma rilevanza penale, pur riconoscendosi il carattere illecito di tale comportamento sotto il profilo disciplinare.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha pertanto annullato, sul punto, la sentenza impugnata, disponendo il rinvio degli atti alla Corte d'Appello di Perugia.