La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 16779, pronunciata all'udienza del 20 aprile 2021 (deposito motivazioni in data 3 maggio 2021), ha preso in esame la questione concernente la possibile abnormità del provvedimento con cui il Giudice per le Indagini Preliminari, nel respingere la richiesta di archiviazione, ordini al Pubblico ministero l'imputazione coatta anche per un reato diverso, in alternativa a quello oggetto della richiesta.
- Il fatto
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone proponeva ricorso avverso l'ordinanza, emessa ex art. 409, comma 5 c.p.p., nel procedimento a carico di persona sottoposta a
indagini per il reato di truffa aggravata, con cui il G.i.p. aveva respinto la richiesta di archiviazione
presentata dal Pubblico Ministero e ordinato l'imputazione coatta alternativa per il delitto di truffa aggravata ex art. 61 n. 5 c.p., ovvero per quello di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento ex art. 493 ter c.p..
Tramite il proprio ricorso, il Procuratore lamentava l'abnormità del provvedimento del G.I.P, avendo questi ordinato l'imputazione coatta per un fatto di reato che non era stato iscritto.
Il giudice avrebbe invece dovuto pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione, presentata relativamente al reato di truffa, e separatamente disporre la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero affinché questi iscrivesse l'ulteriore delitto.
Il ricorrente deduceva un ulteriore profilo di abnormità nella mancata indicazione della seconda fattispecie delittuosa quale reato concorsuale - al pari della truffa - commesso unitamente all'autore materiale della condotta, il quale aveva effettuato una finta vendita online, provvedendo poi a far accreditare il corrispettivo del bene, mai consegnato, sulla carta di credito intestata alla persona sottoposta ad indagini.
- La decisione
I giudici di legittimità hanno, innanzitutto, ricostruito il perimetro dell'abnormità, riferendosi, in particolare, alle Sezioni Unite Ksouri n. 20569 del 2018, ove si osservò come tale nozione, nella
sua duplice accezione, strutturale e funzionale, dovesse essere rigorosamente delimitata: non è pertanto possibile considerare abnorme un
atto a meno che esso:
"non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del
procedimento. Resta dunque escluso che, come precisato anche dalla dottrina, possa invocarsi la categoria
dell'abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità o
comunque sgraditi e non condivisi (Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti), perchè tanto si tradurrebbe nella non
consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall'art. 568 c.p.p.,
comma 1".
Sulla base di tale principio, i giudici della Seconda Sezione Penale hanno escluso di poter prendere in esame le contrapposte valutazioni di merito espresse da Pubblico ministero e G.i.p., pur se considerate erronee.
Nella fattispecie, il P.M. aveva ritenuto che la titolarità della carta prepagata sulla
quale era stata accreditata la somma concordata con l'acquirente, persona offesa, non fosse sufficiente per
dimostrare il coinvolgimento della persona sottoposta ad indagini nella truffa online. Il Giudice per le Indagini Preliminari aveva invece sostenuto che, anche laddove si fosse escluso il concorso nella truffa, l'indagato avrebbe concorso nel reato di cui all'art. 493 ter c.p., avendo consentito al venditore di utilizzare la propria carta di pagamento, cedendogli l'uso della
medesima, in modo che potesse utilizzarla a propria discrezione, pur senza esserne titolare.
In ogni caso, i giudici di legittimità hanno osservato come dal tenore letterale, dell'ordinanza sia risultata evidente la decisione del G.I.P. di ipotizzare alternativamente entrambi i
reati nella forma concorsuale - pur senza indicazione, nel dispositivo, dell'art. 110 c.p. - con conseguente esclusione del vizio di abnormità - inerente, in ogni caso, anch'esso, ad una questione di merito - lamentato dal Procuratore.
La Corte ha invece ritenuto di condividere il primo motivo di abnormità denunciato dal Procuratore.
Il Giudice per le Indagini Preliminari, hanno osservato gli Ermellini, nel formulare l'imputazione alternativa, aveva ipotizzato
non un'eventuale diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto, ma due distinte condotte tenute dall'indagato: nella prima di esse egli sarebbe stato infatti consapevole della operazione delittuosa posta in essere dal venditore, nell'altra
ignaro della truffa e consenziente soltanto alla corresponsione del prezzo sulla propria carta prepagata.
A questo proposito, la Corte ha, innanzitutto, ricordato come le Sezioni Unite - n. 4319 del 28.11.13 - abbiano escluso che il Giudice per le Indagini Preliminari possa ordinare al
Pubblico ministero la formulazione della imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da
quelle per le quali è stata richiesta l'archiviazione. In tale ipotesi, infatti egli deve limitarsi a ordinare l'iscrizione nel
registro di cui all'art. 335 c.p.p. degli ulteriori reati che abbia ravvisato negli atti di indagine portati alla sua attenzione.
In tale fondamentale pronuncia, la Corte ha infatti osservato che:
"le disposizioni dell'art. 409 c.p.p., commi 4 e 5, concernenti i poteri di intervento
del giudice delle indagini preliminari sull'esercizio dell'azione penale, devono formare oggetto di interpretazione
estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell'organo giudicante nella sfera di autonomia della
pubblica accusa".
Abnorme dev'essere, altresì, considerato il provvedimento del G.I.P. nella parte in cui, oltre a ordinare al
Pubblico ministero l'iscrizione nel registro delle notizie di reato di una persona non sottoposta ad indagini, disponga nei
confronti di quest'ultima la formulazione dell'imputazione coatta. Tale provvedimento, infatti, si è osservato, costituisce:
"una indebita ingerenza del giudice nei poteri dell'organo inquirente, non solo di indagare, a tutto campo, nei
confronti della persona non contemplata nella richiesta di archiviazione, ma soprattutto di adottare autonome
determinazioni all'esito delle indagini espletate".
Inoltre, l'ordine di imputazione coatta nei confronti di un soggetto non
sottoposto ad indagini determina una lesione dei diritti di difesa del medesimo: tale persona infatti, oltre a non essere destinataria dell'avviso ex art. 409 comma 1 c.p.p., non partecipa all'udienza
camerale ed alla conseguente discovery delle risultanze delle indagini.
Il Collegio ha quindi rilevato come tali principi siano stati successivamente fatti propri dalle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 40984 del 22.03.18, le quali hanno attribuito anche alla persona sottoposta ad indagini il diritto di ricorrere per cassazione, per abnormità dell'atto, avverso il provvedimento del G.I.P. che, non accogliendo la richiesta di
archiviazione, abbia ordinato, ex art. 409 comma 5 c.p.p., che il Pubblico ministero formuli l'imputazione per un reato
diverso da quello oggetto della richiesta.
Tanto premesso, i giudici di legittimità, in riferimento al caso di specie, hanno affermato come tale principio sia applicabile anche nel caso di imputazione coatta formulata in modo alternativo. Facendo proprio quanto sostenuto dal Procuratore generale, gli Ermellini hanno infatti ritenuto che tale genere di imputazione coatta:
"non modifichi comunque la lesione al principio stesso, posto che
uno dei possibili dicta giudiziali ha comunque ad oggetto un'ipotesi delittuosa del tutto nuova e diversa da quella
originaria".
Sulla base di tali osservazioni, la Corte ha quindi ritenuto di annullare senza rinvio l'ordinanza de qua, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica per l'ulteriore corso.