giovedì 15 luglio 2021

Querela per diffamazione tramite Facebook: da quando decorre il termine per la proposizione?

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 22787, pronunciata all'udienza del 30 aprile 2021 (deposito motivazioni in data 9 giugno 2021), ha preso in esame il tema concernente l'individuazione del dies a quo da cui decorre il termine per proporre querela, in relazione al delitto di diffamazione posto in essere tramite social network.


  • Il fatto.
Un'imputata proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Milano ne aveva confermato la penale responsabilità per il reato di diffamazione aggravata dall'uso del social network Facebook.
Alla donna era stato contestato di aver offeso la reputazione delle figlie e dell'ex moglie del compagno, pubblicando sulla bacheca del proprio profilo Facebook un messaggio in cui accusava quest'ultime di occultare eredità e di dichiararsi disoccupate, al fine di percepire indebitamente un assegno divorzile, rubando, in tal modo, al padre ed ex marito. 

Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputata lamentava la sussistenza di un vizio di motivazione e di un travisamento della prova in relazione alla ritenuta tempestività della querela.
Ella rilevava come la persona offesa avesse riferito di aver visto il post oggetto di incriminazione molto tempo dopo la sua pubblicazione, avvenuta in data 2 febbraio 2014, proponendo querela soltanto il successivo 14 giugno.  

La valutazione della tempestività della querela, secondo quanto sosteneva l'imputata, era stata, tuttavia, indebitamente effettuata sulla sola base delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile. 
In realtà, la Corte territoriale era incorsa nel travisamento della prova, non conoscendo correttamente il funzionamento del social network Facebook.

Da un lato, infatti, la circostanza, affermata dalla persona offesa, per cui il proprio profilo Facebook fosse stato "bloccato" dall'imputata non solo non era stata dimostrata, ma risultava smentita dal funzionamento stesso del social network: se, infatti, un utente blocca l'accesso ad un soggetto, quest'ultimo non ha la possibilità né di visionare i post del primo né, tantomeno, di poter rispondere ai medesimi. 

Inoltre, il funzionamento di tale social network - sosteneva ancora l'imputata - è tale per cui la visione dei post avviene in maniera pressoché contestuale alla loro pubblicazione: i post redatti e pubblicati dagli utenti vengono, infatti, immediatamente pubblicati sulla pagina principale di accesso alla piattaforma, e quindi visionati - sostanzialmente in presa diretta - dagli utenti amici; la circostanza, pertanto, per cui il post scritto dall'imputata fosse stato letto dalla persona offesa mesi dopo la sua pubblicazione era da considerarsi del tutto inverosimile. 


  • La decisione.
La Corte ha accolto il ricorso, censurando la carenza motivazionale della sentenza impugnata proprio sul punto concernente la tempestività della querela, relativamente al quale i giudici di merito si erano limitati a qualificare come meramente congetturali le argomentazioni proposte dall'imputata. 

I giudici di legittimità hanno quindi richiamato quanto già affermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale con riguardo al tema della diffamazione posta in essere tramite Internet. In tale fattispecie, occorre, in primo luogo, considerare, con riferimento al momento consumativo, che:

"la diffamazione, avente natura di reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e, dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano immesse sul "web", nel momento in cui il collegamento sia attivato";

l'interessato, dal canto suo, "ha normalmente notizia della immissione in internet del messaggio offensivo o accedendo direttamente in rete o mediante altri soggetti che, in tal modo, ne siano venuti a conoscenza".

Con riferimento, in particolare, al momento in cui la persona offesa prende conoscenza del contenuto diffamatorio:

"ne deriva, se non la assoluta contestualità tra immissione in rete e cognizione del diffamato, almeno una prossimità temporale di essi, sempre che l'interessato non dia dimostrazione del contrario" (Cass. Pen, Sez. 5, n. 23624 del 27/04/2012, Ayroldi).

Negli anni successivi a tale pronuncia, la giurisprudenza della Suprema Corte ha fatto proprio tale principio, ponendo l'accento, in particolare, sulla necessità che la persona offesa fornisca prova contraria rispetto alla circostanza della cognizione, da parte sua, del contenuto diffamatorio, immesso in rete, in un momento contestuale - o immediatamente successivo - a quello in cui tale contenuto è stato caricato su internet:

"in tema di diffamazione tramite "internet", ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul "web", atteso che l'interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la "rete" accedendo alla stessa direttamente o attraverso altri soggetti i quali in tal modo ne siano venuti a conoscenza(Cass. Pen., Sez. 5, n. 38099 del 29/05/2015, Cavalli) 

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato come il post ritenuto diffamatorio fosse stato pubblicato, come anticipato, nel febbraio 2014, mentre la querela era stata proposta soltanto nel giugno dello stesso anno. 
I giudici di legittimità hanno quindi osservato come sia mancata un'attendibile dimostrazione, da parte della querelante, dell'effettiva conoscenza del post in epoca molto successiva a quella della pubblicazione
Facendo proprie le osservazioni dell'imputata, gli Ermellini hanno affermato come debba tenersi conto, a tal fine, delle modalità di funzionamento del social network Facebook, sia con riguardo all'immediata lettura dei messaggi pubblicati dagli utenti, sia con riferimento all'impossibilità di leggere post pubblicati da utenti bloccati o che non siano amici. 

I giudici della Quinta Sezione Penale della Suprema Corte, annullando con rinvio la sentenza impugnata, hanno dunque ritenuto di ribadire il principio di diritto per cui:

"Ai fini della individuazione del "dies a quo" per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l'immagine lesiva sono immesse sul web".