venerdì 16 luglio 2021

Reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone: caratteristiche strutturali e bene giuridico protetto.

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 17802, pronunciata all'udienza del 20 aprile 2021 (deposito motivazioni in data 7 maggio 2021), ha preso in esame il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù di cui all'art. 600 c.p..


  • Il fatto

Un'imputata proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'Assise d'Appello di Firenze ne aveva confermato la penale responsabilità per i reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 ter c.p..

Nella fattispecie, la ricorrente era stata destinataria delle dichiarazioni accusatorie di una minore, la quale aveva affermato di essere stata segregata e costretta a prostituirsi dall'imputata, a seguito del proprio arrivo, in stato di clandestinità, dalla Nigeria.

La persona offesa era giunta in Italia, su organizzazione dell'imputata e di alcuni complici, tramite il supporto di un'organizzazione criminale transnazionale (cui erano stati versati, per il trasferimento, trentamila euro, i quali avrebbero dovuto essere restituiti dalla migrante all'imputata), e con la promessa che sarebbe stata assunta regolarmente presso un esercizio commerciale nel pratese. 

La vittima era stata poi costretta a prostituirsi dall'imputata e dai complici, al fine di pagare il debito contratto, cui si erano aggiunte ulteriori somme consistenti in 150,00 Euro mensili per l'alloggio ove la persona offesa dimorava e 20,00 Euro settimanali per il vitto.

La minore aveva, inoltre, riferito come fosse l'imputata a fornirle le indicazioni relative ai luoghi dove esercitare la prostituzione, al prezzo richiesto per ciascuna prestazione sessuale ed ai comportamenti da mantenere con clienti e forze dell'ordine.

Infine, la persona offesa, nel corso di un periodo in cui l'imputata era stata collocata agli arresti domiciliari, era stata costretta a coadiuvare quest'ultima nello svolgimento delle attività di spaccio, fino a quando non era riuscita ad allontanarsi in via definitiva dal luogo dove si trovava segregata.

Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputata lamentava violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, atteso che, a suo dire, la sentenza di merito non poggiava su di un percorso argomentativo tale da chiarire le ragioni per cui si era affermata la sussistenza del delitto di cui all'art. 600 c.p. e delle circostanze aggravanti di cui all'art. 602 ter c.p..

Secondo la ricorrente, infatti, gli elementi probatori acquisiti non permettevano di dirsi provata la sussistenza dello stato di soggezione continuativo della persona offesa - indispensabile ai fini della configurazione della fattispecie - oltre che la condotta di sfruttamento, da parte dell'imputata e dei complici, del meretricio dalla medesima esercitato.


  • La decisione della Corte. I delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p..

La Corte ha innanzitutto disatteso la contestazione avanzata dall'imputata, ed affermato l'impossibilità di porre in dubbio che la condizione di coartazione psicologica, per mezzo della quale la persona offesa veniva costretta a prostituirsi dalla ricorrente e dai suoi complici, corrispondesse ad una situazione di sottomissione personale, tale da non consentire alla medesima di determinarsi liberamente nelle attività quotidiane e di sottrarsi alle pressioni esercitate nei suoi confronti.

I giudici di legittimità hanno quindi colto l'occasione per approfondire le più importanti caratteristiche strutturali del reato di cui all'art. 600 c.p.

In primo luogo, si è osservato, esso si collocaunitamente ai delitti di cui agli artt.  601 e 602 c.p., tra le fattispecie di reato collegate alla macro-area criminale della tratta di persone, finalizzate a reprimere le attività delittuose consistenti:

"nell'offerta iniziale di servizi illegali e nel successivo reclutamento, tramite l'impiego della forza fisica o di altre forme di coercizione morale, di immigrati clandestini, in funzione del loro sfruttamento per scopi delinquenziali".

Tali fattispecie di reato hanno quindi, fondamentalmente, ad oggetto lo sfruttamento illecito del migrante, "ne presuppongono il trasferimento nello Stato di destinazione e la sua immissione in un mercato criminale, in una condizione di sottomissione, fisica o psichica". 

Questa condizione di sottomissione, qualora assuma la connotazione di "uno stato di soggezione continuativa", comporta l'integrazione sia del reato di tratta di persone, ex art. 601 c.p., sia di quello di cui all'art. 600 c.p..

L'attività illecita di sfruttamento soggettivo degli immigrati clandestini è quindi volta all'impiego coattivo dei medesimi in un mercato criminale nello Stato di destinazione, come nell'ipotesi di sfruttamento della prostituzione posto in essere tramite l'esercizio di poteri tali da collocare la vittima in uno stato di soggezione continuativa, rilevante ai sensi dell'art. 600 c.p. 

A fondamento di tale fattispecie di reato - ha osservato il Collegio - si pongono, pertanto, "forme di asservimento individuale attuate attraverso comportamenti che tendono a limitare la libertà personale dell'immigrato per il conseguimento di profitti illeciti, rispetto ai quali rimangono estranei i migranti". Tale asservimento può inoltre avere luogo per mezzo di varie condotte illecite, rilevanti ai fini dell'integrazione dei reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p..

Inoltre, la Corte ha ritenuto di ribadire il principio per cui, ai fini dell'integrazione della fattispecie di reato de quo, non è necessario che ricorra un vero e proprio stato di schiavitù, essendo invece sufficiente, a tal fine, una situazione di totale asservimento

"Ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all'art. 600 c.p. non è richiesto che il soggetto passivo si trovi in condizione analoga a quella della schiavitù, atteso che, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il delitto in questione si configura tutte le volte in cui sia dato verificare l'esplicazione di una condotta alla quale sia ricollegabile l'effetto del totale asservimento di una persona al soggetto responsabile della condotta stessa(Sez. 3, n. 7929 del 19/05/1998).

A tal riguardo, infatti, si è rilevato come ciascuna fattispecie di reato collegata alla macro-area criminale della tratta di persone si fondi su di una "relazione interpersonale assolutamente peculiare", qualificabile come una "moderna forma di schiavitù", come rilevò la Corte EDU nella pronuncia Rantsev c. Cipro e Russia del 07/01/2010. 

L'abolizione generalizzata della condizione di schiavitù, intesa quale status della persona, non impedisce pertanto, nella prospettiva penalistica incentrata sulla tutela sostanziale dei beni giuridici, che la situazione soggettiva della persona offesa possa essere descritta sulla base di concetto analogo, ma non riconducibile, stricto iure, alla schiavitù.

Al fine di chiarire meglio tale concetto, la Corte ha osservato come sia necessario individuare con precisione il bene giuridico protetto da tali fattispecie di reato, collegate alla macro-area criminale della tratta di persone. A questo proposito, è necessario richiamarsi alla Convenzione di Palermo sottoscritta nel 2000: in essa le condotte illecite in discorso sono ricondotte alla nozione del "trafficking of human beings".

Ebbene, a seguito dell'approvazione di tale Convenzione, l'espressione "tratta di persone", cui si richiamano le fattispecie di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p., si riferisce a:

"tutte quelle attività delittuose che consistono nell'offerta iniziale di servizi di trasporto migratorio illegale e nel successivo reclutamento, tramite l'impiego della forza fisica o di altre forme di coercizione morale, di immigrati clandestini in funzione del loro sfruttamento per scopi illeciti, una volta giunti nel luogo di destinazione finale".

Le fattispecie appartenenti a questa macro-area criminale - hanno quindi concluso i giudici di legittimità - si fondano sulla condotta di sfruttamento illecito del migrante, e sul presupposto del perfezionamento del  viaggio di trasporto del medesimo nello Stato straniero, pur non essendo esso necessario, stricto iure, ai fini della configurazione di tali figure criminose in questione. Determinante risulta quindi il profilo della "sottomissione personale dell'immigrato clandestino in funzione della sua immissione in un mercato criminale".

In definitiva, quindi, l'attività illecita di sfruttamento soggettivo è generalmente finalizzata all'impiego coatto degli immigrati clandestini nei mercati illegali dello Stato straniero di destinazione, tra i quali si annoverano, a titolo di esempio, la prostituzione, la pedopornografia, l'attività di spaccio di sostanze stupefacenti, il lavoro forzato e forme simili di schiavitù personale. In altri termini, si tratta di:

"forme di sfruttamento soggettivo assolutamente peculiari, realizzate attraverso comportamenti criminosi strumentali, che puntano a limitare la libertà personale del migrante per il perseguimento di un profitto illecito, rispetto al quale rimangono estranei i soggetti sfruttati".

Ciò posto, la Corte ha ancora osservato come l'espressione "tratta di persone" - fungibile con quella di traffico internazionale di persone, e originata dalla nozione di "trafficking of human beings", utilizzata, come si è visto, dalla Convenzione di Palermo - può essere impiegata in un'accezione multifunzionale, ed è riferibile ad una pluralità di fenomeni criminali, accomunati dal comune elemento della gestione dei flussi migratori illegali.

Principalmente, comunque, con tale espressione si indicano tutte quelle attività illecite "per mezzo delle quali si realizza, nel mercato illegale dello Stato di destinazione, il controllo dei flussi migratori illegali da parte della criminalità organizzata transnazionale o di singole organizzazioni presenti nel territorio del Paese in cui il migrante è fatto giungere o anche di singoli individui". Questo vasto spettro di attività illecite si sostanzia in varie fattispecie di reato - accomunate dalla tutela di un bene giuridico omogeneo - attraverso le quali si concretizzano i comportamenti criminosi collegati alla tratta di persone medesima.

Premesse tali osservazioni di carattere ermeneutico, la Corte non ha ritenuto plausibile l'ipotesi - prospettata dall'imputata in termini esclusivamente ipotetici - concernente l'insussistenza dello stato di soggezione continuativa, come sopra descritto, della persona offesa, previsto dall'art. 600 c.p..

La Corte ha quindi rigettato il ricorso, confermando la responsabilità dell'imputata in ordine alle fattispecie, aggravate, di cui agli artt. 600 e 601 c.p..