venerdì 10 agosto 2018

Distinzione tra inutilizzabilità patologica e fisiologica in tema di intercettazioni.

Con la Sentenza n. 882, pronunciata all'udienza del 9 giugno 2017 (deposito motivazioni in data 12 gennaio 2018), la Suprema Corte si è nuovamente soffermata, in tema di prove, sulla distinzione tra inutilizzabilità patologica e fisiologica, affermando come solo la prima sia rilevabile anche nell'ambito del giudizio abbreviato. Essa "costituisce infatti un'ipotesi estrema e residuale, ravvisabile solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell'ordinamento od in maniera tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell'imputato".

Nella fattispecie concreta, il ricorrente era stato condannato, a seguito di giudizio abbreviato, dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria, che confermava la Sentenza del G.U.P. della medesima città, per il reato di cui agli artt. 110 c.p., 73 D.P.R. 309/90.

Con un primo motivo di ricorso, egli eccepiva l'inutilizzabilità delle intercettazioni (per difetto di motivazione in ordine ai presupposti per il provvedimento di cui all'art. 268 comma 3 c.p.p.), disposte nell'ambito di un differente procedimento penale risalente al 2003, conclusosi con una condanna nei suoi confronti da parte della medesima Corte d'Appello per il reato di cui all'art.  74 D.P.R. 309/90.
Contestualmente, il ricorrente contestava l'affermazione operata da parte della Corte d'Appello, secondo cui la legittimità del compendio intercettativo in discorso fosse già stata riconosciuta, con l'autorità del giudicato, in seguito alla definizione del processo conclusosi nel 2003.

La Corte di Cassazione ha accolto tale contestazione, affermando, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, come "nessuna preclusione maturi in ordine all'eccezione di inutilizzabilità sollevata nel corso di una regiudicanda in ordine a prove dichiarate o comunque ritenute utilizzabili, sia pure con provvedimento definitivo, in un diverso giudizio, dal momento che, ferma l'intangibilità della decisione irrevocabile, esiste un'indubbia autonomia tra la regiudicata e una diversa regiudicanda, relativamente all'utilizzabilità delle prove comuni ai due procedimenti, autonomia confermata anche dal disposto dell'articolo 238 c.p.p. che, quanto all'utilizzazione dei verbali di prove in un diverso procedimento, non inibisce alle parti di sollevare le dovute eccezioni e dal disposto dell'art. 238 bis c.p.p. che, al fine di delineare l'ambito di incidenza delle sentenze irrevocabili in altri procedimenti, ne limita l'efficacia probatoria ai fatti in essi accertati, ossia agli eventi storici e non agli atti processuali che li contengono, e alla loro valutazione a norma dell'art. 187 c.p.p. e dell'art. 192  comma 3 c.p.p.. Infatti, oggetto della prova assunta mediante l'acquisizione di sentenze divenute irrevocabili, secondo la previsione ed entro i limiti di cui all'art. 238 bis c.p.p., sono i fatti considerati nelle sentenze medesime, intesi come eventi storici esterni al processo. Ne consegue che il passaggio in giudicato di una sentenza fondata su una determinata prova, e la sua acquisizione in un diverso giudizio, sono irrilevanti quando si tratti di stabilire il regime di utilizzabilità della prova stessa nel nuovo procedimento".

Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto come tale ipotesi di inutilizzabilità non sia rilevabile nell'ambito del giudizio abbreviato.

Nel Decreto dispositivo delle intercettazioni emesso dal Pubblico Ministero ex art. 267 comma 2 c.p.p., si affermava, con riferimento al requisito dell'urgenza, come gli indagati stessero portando a termine l'attività criminosa (nella fattispecie, la compravendita di armi e di sostanze stupefacenti per conto della "famiglia" catanese di "Cosa Nostra"), ragione per la quale, considerata anche l'insufficienza ed inidoneità delle postazioni presso le sale ascolto della Procura, veniva disposto che le operazioni fossero compiute per mezzo degli impianti installati presso gli uffici del Ros dei Carabinieri di Catania.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha affermato come, per quanto concerne il requisito delle "eccezionali ragioni di urgenza" che legittimano il ricorso all'utilizzo di impianti in dotazione alla Polizia Giudiziaria, ex art. 268 comma 3 c.p.p., esso "può desumersi anche implicitamente dallo stesso contesto del processo e dalla natura delle imputazioni quando, come nella specie, le attività criminali siano in corso ed emergano ulteriori utenze in possesso degli indagati utilizzate per la prosecuzione dell'impresa criminosa" e come, inoltre, lo stesso requisito possa ritenersi "implicito" in caso di attività criminosa in corso.

Inoltre, la Suprema Corte ha ribadito, con riguardo al rapporto tra i requisiti di cui agli artt. 267 comma 2 e 268 comma 3 c.p.p., come "nella nozione di urgenza, quale requisito di legittimità del decreto del pubblico ministero, rientrano, di norma, anche le "eccezionali ragioni di urgenza" richieste per l'utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione alla Procura della Repubblica, sicchè la motivazione sul primo requisito dà conto anche della sussistenza del secondo, e la convalida del decreto d'intercettazione preclude ogni questione circa i requisiti per il ricorso agli impianti esterni".

Dunque, nel provvedimento del P.M., la motivazione circa il primo requisito d'urgenza assorbe quella relativa al secondo, nell'ipotesi in cui le ragioni addotte per attivare in maniera immediata le operazioni di intercettazione appaiono incompatibili, da un lato, con la procedura ordinaria di cui all'art. 267 c.p.p e, dall'altro, con l'attesa che si realizzi una situazione di sufficienza ed idoneità degli impianti a disposizione della Procura della Repubblica.

Per quanto invece concerne la motivazione circa il secondo requisito previsto dall'art. 268 comma 3 c.p.p., relativo alla sufficienza ed idoneità degli impianti in dotazione alla Procura, la Suprema Corte ha riconosciuto come esso difettasse nel Decreto con cui il Pubblico Ministero disponeva le operazioni di intercettazione. 
Al riguardo, la Corte ha osservato come tale requisito non sia soddisfatto mediante il semplice riferimento alla "insufficienza o inidoneità" degli impianti, essendo necessaria la specificazione delle ragioni di carenza che dimostrano tale situazione, come insegnato dalla Sentenza delle Sezioni Unite Aguneche del 2007. Situazione che può essere attestata mediante certificazione della Segreteria anche prima che abbiano inizio le operazioni di intercettazione. 

Tuttavia, il Decreto del Pubblico Ministero che dia comunque conto anche genericamente, come accaduto nella fattispecie in esame, dell'insufficienza od inidoneità degli impianti, integra, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità ribadita dalla pronuncia in discorso, un'ipotesi di inutilizzabilità "fisiologica" e non "patologica", con la conseguenza, dal punto di vista processuale, per cui l'eccezione di inutilizzabilità è preclusa nel caso in cui l'imputato opti per il rito abbreviato, essendo sanata in conseguenza dell'espletamento del relativo giudizio.

Al riguardo, la Corte ha affermato, sulla base di quanto affermato dalla Sentenza delle Sezioni Unite Tammaro del 2000, come "alla nozione di inutilizzabilità patologica devono essere riferiti gli atti probatori contra legem il cui impiego è vietato in modo assoluto dall'art. 191 c.p.p. non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l'udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito. Al riguardo, deve essere ulteriormente precisato che nella categoria della inutilizzabilità patologica sono compresi non tutti gli atti probatori assunti contra legem (che, in tal caso, non sarebbe comprensibile la distinzione rispetto alla categoria della inutilizzabilità fisiologica), ma solo quegli atti probatori il cui impiego è vietato in modo assoluto per essere la relativa assunzione avvenuta in contrasto radicale con la normativa che li disciplina. In altri termini, la questione della distinzione tra le due categorie di inutilizzabilità va posta in relazione all'entità e al grado della violazione nonchè all'incidenza che questa ha avuto sul diritto di difesa dell'indagato o dell'imputato. Alla stregua di tale criterio deve ritenersi che quella della inutilizzabilità patologica è un'ipotesi estrema e residuale, ravvisabile in relazione a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta con modalità contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento ovvero che abbiano pregiudicato in modo grave e non superabile il diritto di difesa dell'imputato o indagato".

Nella fattispecie in esame, invece, il provvedimento del Pubblico Ministero, pur non soddisfacendo il requisito motivazionale che esige anche l'esposizione delle ragioni giustificative di cui all'art. 268 comma 3 c.p.p. quantomeno per relationem o per allegazione, non si colloca completamente al di fuori dello schema legale delineato da tale norma. 
Pertanto, la Corte ha affermato come la fattispecie in esame debba essere ricondotta alla categoria dell'inutilizzabilità fisiologica: la valutazione del grado e dell'entità della violazione da parte del P.M. deve essere infatti correlata, da un lato "alla mancata attivazione da parte dell'imputato per verificare se effettivamente la situazione indicata nel decreto corrispondesse o meno alla situazione concreta di indisponibilità", e, dall'altro, alla sua scelta di accedere al rito abbreviato.

Il motivo di ricorso è stato dunque ritenuto infondato ed il ricorso rigettato.