Con la Sentenza n. 5784, pronunciata all'udienza del 26 ottobre 2017 (deposito motivazioni in data 7 febbraio 2018), la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha preso in esame alcuni temi relativi all'istituto della messa alla prova, di cui agli artt. 168 bis ss. c.p.p..
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dall'impugnazione proposta dall'imputata avverso un'ordinanza pronunciata dal Tribunale di Isernia con la quale veniva accolta la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione al reato di cui all'art. 10 ter D. Lgs. 74/00.
La ricorrente lamentava, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell'art. 464 quater comma 4 c.p.p., dal momento che il programma di trattamento elaborato dall'U.E.P.E. era stato oggetto di modifica da parte del Giudice senza il consenso dell'imputata; egli aveva infatti disposto, in aggiunta alla messa alla prova della durata di nove mesi, la restituzione, da parte di quest'ultima della somma di 278.497 euro, oltre interessi, da lei dovuta a titolo di debito tributario, nel termine massimo di sospensione del procedimento, pari a due anni.
Inoltre, l'imputata sosteneva come il Giudice non avesse tenuto in debito conto il fatto che ella fosse ancora in termini per chiedere, ai sensi del D.L. 193/2016, la c.d. rottamazione della cartella di riscossione emessa nei suoi confronti.
Con il secondo motivo di ricorso, l'imputata affermava invece l'avvenuta violazione, da parte del Tribunale, dell'art. 168 bis c.p., dovendosi ritenere impropria la subordinazione della messa alla prova all'integrale risarcimento del danno. L'art. 168 bis comma 2 c.p. avrebbe infatti contenuto prescrittivo, ma non assoluto, da ciò derivando come la mancanza dell'integrale risarcimento non debba ritenersi ostativa all'accesso a tale istituto.
La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi di ricorso, pur ritenendo il primo assorbente rispetto al secondo, riguardo al quale ha comunque effettuato alcune osservazioni.
In primo luogo, i giudici di legittimità hanno affermato come sia illegittima la modifica del programma di trattamento, elaborato ai sensi dell'art. 464 bis c.p.p., comma 2, che venga disposta dal giudice senza la consultazione delle parti e in assenza del consenso dell'imputato. Tale consenso deve infatti ritenersi vincolante, stante, innanzitutto, il tenore della disposizione di cui all'art. 464 quater comma 4 c.p.p., che, al riguardo, non lascia spazio ad alcun dubbio.
Inoltre, secondo la Corte, tale conclusione può essere affermata anche sulla base della struttura stessa dell'istituto, che "è rimesso alla iniziativa dell'imputato e nell'ambito del quale il programma di trattamento deve essere elaborato d'intesa con l'ufficio esecuzione penale esterna, cosicché deve ritenersi che, in caso di mancanza di consenso alle modifiche o integrazioni, il programma, come elaborato d'intesa tra l'imputato richiedente e l'ufficio esecuzione penale esterna, non possa essere modificato, sicché il giudice dovrà decidere su di esso nella sua originaria formulazione".
Con riferimento invece al secondo motivo di ricorso proposto dall'imputata, la Suprema Corte ha affermato come la previsione relativa al risarcimento del danno (da effettuarsi "ove possibile") contenuta nell'art. 168 bis comma 2 c.p. abbia effettivamente natura prescrittiva ma non assoluta, con la conseguenza per cui è da ritenersi ingiustificato ritenere che la sospensione del procedimento con messa alla prova sia necessariamente subordinata all'integrale risarcimento.
A questo proposito, deve infatti in concreto verificarsi se il risarcimento del danno sia o meno possibile, se un'eventuale impossibilità derivi da fattori oggettivi estranei alla sfera di dominio dell'imputato e ancora se, in tale ultima ipotesi, sia relativa o assoluta e riconducibile o meno a condotte volontarie dell'imputato; solo in questo caso, infatti, l'impossibilità potrà essere ritenuta ingiustificata e quindi ostativa all'ammissione alla messa alla prova.
Il ricorso è stato dunque ritenuto fondato, con conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata e rinvio al Tribunale di Isernia.