In materia di responsabilità penale per gli infortuni sul lavoro, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 34943, pronunciata all'udienza del 24 maggio 2022, ha espresso il principio secondo cui non può riconoscersi rilievo decisivo al conferimento, mediante atto di delega, di specifiche attribuzioni per lo svolgimento di una funzione determinata, anche se nevralgica dell'azienda - come quella prevenzionistica, attinente alla prevenzione e protezione dei lavoratori dai rischi implicati dal processo produttivo e al rispetto delle misure di sicurezza adottate sul luogo di lavoro - per fare assurgere il delegato a soggetto in posizione di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità produttiva, secondo la previsione dell'art. 5 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 231 del 2001.
- Il fatto.
Un ente proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Bologna ne aveva confermato la responsabilità in relazione al reato di lesioni colpose gravissime. Nell'ambito del procedimento penale, era stato contestato all'imputato, in qualità di delegato alla sicurezza di tale ditta, operante nel settore alimentare, di avere messo a disposizione dei lavoratori, nel reparto "cucina formaggi", una macchina, utilizzata per il taglio di pezzature di formaggio, pericolosa per l' incolumità degli stessi, in quanto priva di dispositivi meccanici o elettronici che impedissero alle mani dei lavoratori l'accesso alle parti taglienti in movimento dell'apparato. Lo specifico addebito era quindi consistito nel non aver adottato alcuna misura idonea ad eliminare i predetti rischi (artt. 71 comma 1 e 18 comma 1 D.Lgs. n. 81 del 2008 ), nonchè di non avere adottato provvedimenti organizzativi tali da limitare l' impiego di tale macchina al personale appositamente addestrato. Di conseguenza, un'operaia, priva di formazione nell'uso del predetto macchinario, e nonostante la pericolosità dello stesso, era venuta in contatto con le lame rotanti dell'apparato, ancora in movimento pur dopo l'azionamento del comando di arresto, procurandosi l'amputazione della prima falange del secondo e del terzo dito della mano destra e la sub-amputazione della seconda falange del primo dito della mano destra, con indebolimento permanente dell'organo della prensione.
La ditta era stata riconosciuta responsabile dell' illecito amministrativo di cui all'art. 25 septies comma 3 D.Lgs. n. 231 del 2001, in relazione al predetto delitto, essendo stato il medesimo commesso da soggetto che rivestiva la qualifica di rappresentanza e di amministrazione dell'ente, e a vantaggio e nell' interesse del medesimo. La Corte di Appello di Bologna aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, mentre aveva confermato le statuizioni emesse nei confronti dell'ente.
La Corte d'Appello, con riguardo alla riferibilità della responsabilità dell'infortunio a soggetto investito di posizione apicale dell'ente, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 art. 5 comma 1 lett. a), aveva evidenziato come l'imputato fosse stato investito, mediante procura speciale, del potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza, esclusa ogni ingerenza dell'organo amministrativo, e dotato di mezzi finanziari per l'adempimento dei compiti stessi, nei limiti dell' importo di Euro 25.000; pertanto, esso accentrava poteri gestionali e di spesa che gli conferivano una veste di soggetto posto al vertice dell'azienda, tanto che aveva sottoscritto il Documento di Valutazione dei Rischi in qualità di datore di lavoro. Non risultava pertanto applicabile l'art. 7 D.Lgs. 231/01, che esclude la responsabilità dell'ente in presenza di adozione ed attuazione, da parte di questo, di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati quali quello verificatosi, in quanto tale esimente rileva soltanto in ipotesi di fatti commessi da soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di una delle figure indicate dal precedente art. 5.
Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'ente lamentava la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 5 lett. a), 7 comma 2 e 66, con riguardo al riconoscimento dell' imputato quale figura apicale, come presupposto per il riconoscimento della responsabilità dell'ente. In particolare, si contestava come l'argomento sviluppato dalla Corte di Appello, in base al quale l'imputato era titolare di autonomia gestionale e decisionale, fondate su di una procura speciale che lo aveva investito di poteri del tutto assimilabili a quelli del legale rappresentante dell'ente, si scontrava con le previsioni del documento, da cui risultava che il soggetto delegato era un dipendente della società, che la delega veniva meno in ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, che i poteri oggetto di delega erano confinati in un ambito specifico e ausiliario (al settore della sicurezza sul luogo di lavoro), che il delegato era tenuto a riferire al mandante ed era assistito da un potere di spesa limitato e che la delega risultava conferita con procura speciale e non generale. L'ente denunciava, pertanto, un'incoerenza tra il valore probatorio assegnato dai giudici di merito al conferimento della procura all'imputato rispetto a quanto risultante dal contenuto del documento e, nel minimizzare il dato della sottoscrizione del DVR da parte dell'imputato quale delegato alla sicurezza, rappresentava come la figura del RSPP, se da un lato poteva concorrere con quella datoriale nell'ambito della responsabilità penale per fatto illecito con riferimento all' inosservanza degli obblighi sugli stessi rispettivamente gravanti, non poteva, tuttavia, essere confusa con quella apicale, titolare di effettivi poteri gestionali, ai fini della configurazione della responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. n.231 del 2001 art. 5 lett. a). Sarebbe, infatti, da considerarsi pacifico, per costante giurisprudenza sul punto, che il delegato alla sicurezza nella protezione e prevenzione degli infortuni costituisce una figura ausiliaria e consultiva rispetto a quella gestionale, di talchè la sua azione avrebbe dovuto essere ricondotta alla ipotesi di cui all'art. 5 lett. b) stesso testo, e cioè ai soggetti sottoposti al controllo e alla direzione di un soggetto apicale. Ciò avrebbe ricondotto la fattispecie nell'alveo del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 7 comma 2, essendo pacifico che l'ente, prima dell' infortunio aveva adottato ed attuato un adeguato sistema di gestione e controllo, con conseguente esclusione della responsabilità a carico dell'ente.
- La decisione. Il sistema della responsabilità degli Enti di cui al D. Lgs. 231/2001; le nozioni di soggetto in posizione apicale, di sottoposto all'altrui direzione e controllo e di rappresentanza, amministrazione e direzione dell'ente.
La Suprema Corte ha, in primis, osservato come il D.Lgs. n. 231 del 2001, all'art. 5 comma 1 lett. a), preveda che la società è responsabile per i reati commessi "da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonchè da persone che esercitano anche di fatto, la gestione o il controllo dello stesso".
Il giudice di appello, aveva, come detto, ritenuto che il conferimento di una ampia delega in via esclusiva nel settore della sicurezza sul lavoro, con autonomia gestionale in materia di sicurezza sul luogo di lavoro e potere di spesa circoscritto all' importo di Euro 25.000 fosse sufficiente a comprendere il delegato nel novero delle figure apicali indicate dalla norma, in quanto aveva posto il delegato in una posizione di sovraordinazione assimilabile a quelle ivi specificamente contemplate (amministrazione, rappresentanza e direzione dell'ente ovvero di una unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale).
I giudici di legittimità hanno, invece, ritenuto come tale giudizio derivi da un'errata interpretazione dell'art. 5 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 231 del 2001. Essi hanno innanzitutto rilevato che, come evidenziato dalle Sezioni Unite Espenhahn, il sistema normativo introdotto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un tertium genus di responsabilità, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza, fondato sul principio di legalità in ordine ai criteri di imputazione della responsabilità dell'ente e delle sanzioni applicabili (art. 2) e con specifica individuazione dei soggetti in grado di determinare la responsabilità dell'ente in virtù dei reati da essi commessi (art. 5). Il principio di stretta legalità richiamato impone, inoltre, una verifica puntuale dei tratti della fattispecie produttiva di responsabilità che, nella specie, ha nella relazione tra gli autori dei reati e l'ente un presupposto indefettibile dell'imputazione all'ente degli effetti del loro operato.
Il Collegio ha quindi rilevato come il decreto 231/01 distingua i soggetti apicali da coloro che a questi sono sottoposti (art. 5). Rammentato che la responsabilità dell'ente trova giustificazione in una colpa di organizzazione, ovvero in un deficit dell'organizzazione che si pone quale causa del reato, l'operato dei soggetti apicali è ritenuto ex se espressivo di una colpa di organizzazione. Pertanto, si è osservato, l'adozione e l'efficace attuazione di un idoneo modello di organizzazione e gestione, unite alla elusione fraudolenta del medesimo, ha la funzione di dimostrare che, nonostante la compenetrazione tra operato dell'apicale ed ente, il reato commesso dal primo non è attribuibile al secondo. Per i soggetti sottoposti all'altrui direzione e controllo, il legislatore ha ritenuto non operante un tale meccanismo di trasposizione, e pertanto ha individuato un diverso fattore di riconduzione del reato all'ente, rappresentato dalla violazione degli obblighi di direzione e di controllo facenti capo alla figura apicale. Tale violazione ha la funzione di assicurare che il reato del sottoposto metta radici nella colpa di organizzazione dell'ente; tanto che, ove sia stato adottato un idoneo modello di organizzazione e gestione, e lo stesso sia stato anche efficacemente attuato, la violazione degli obblighi di controllo e di gestione perde la sua valenza indiziaria, e degrada a fatto dell'apicale non espressivo della colpa di organizzazione dell'ente.
Ciò comporta, hanno rilevato i giudici di legittimità, come vi sia un'importante implicazione nella qualità della persona fisica autrice del reato: ove, infatti, si tratti di uno dei soggetti indicati dalla lettera a) dell'art. 5 del decreto 231, l'adozione e la efficace attuazione di idoneo MOG non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell'ente, ancora occorrendo che esso sia stato fraudolentemente eluso. Nel caso, invece, di soggetto sottoposto, secondo la nozione ricavabile dall'art. 5 lett. b) del decreto, l'adozione e l'efficace attuazione di idoneo MOG è di per sè sufficiente ad escludere la responsabilità dell'ente, anche quando il reato sia stato reso possibile dalla violazione degli obblighi di direzione e controllo gravanti sui soggetti apicali.
Tale distinzione, ha osservato la Corte, rende evidente la scelta del legislatore di porre su un diverso piano le due categorie di soggetti in grado di impegnare la responsabilità amministrativa dell'ente: laddove la prima si sostanzia nell'ente stesso, la seconda è in grado di impegnare l'ente soltanto quando concorra un difetto di gestione e di controllo ascrivibile all'ente nelle sue diramazioni apicali, e manchi il modello organizzativo suddetto. In presenza, inoltre, del principio di autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato presupposto, non risulta necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, essendo sufficiente un mero accertamento incidentale, ma è indispensabile una puntuale individuazione della categoria, tra quelle indicate, agli art. 6 e 7 D.Lgs. n. 231 del 2001, a cui appartenga l'autore del fatto.
Ciò premesso, si è rilevato come, ai fini di tale verifica, debba essere attentamente esaminato il dato letterale della disposizione (art. 5, comma 1 lett. a), la quale non è rivolta ad individuare le posizioni apicali del settore lavoristico (datore di lavoro, dirigente, preposto), bensì a indicare, in termini generali e omnicomprensivi, la massima espressione di rappresentanza e di gestione dell'ente-persona giuridica, la cui responsabilità è determinata dalla commissione dei reati presupposto.
In primo luogo, il principio di legalità, che informa anche il sistema di accertamento della responsabilità degli enti, impone al giudice di attenersi alla precisa dizione della norma, senza indulgere ad interpretazioni analogiche o estensive e, quando la norma non sia chiara, di attenersi alla interpretazione giurisprudenziale vigente, e ad evitare interpretazioni in malam partem.
Se, dunque, "la nozione di rappresentanza evoca, sotto il profilo sostanziale e processuale, un insieme di poteri in forza dei quali l'organo esprime all'esterno la volontà dell'ente in relazione agli atti che rientrano nell'esercizio delle sue funzioni ed essa costituisce, indipendentemente dal conferimento di specifiche procure, una conseguenza del ruolo dallo stesso rivestito all' interno della compagine, in quanto strumentale al perseguimento dei fini dell'ente", le nozioni di amministrazione e di direzione dell'ente o di una singola unità organizzativa "richiamano, seppure sotto il profilo funzionale, la struttura stessa dell'ente, evocando la massima espressione dei poteri di indirizzo, di elaborazione delle scelte strategiche, della organizzazione aziendale, della assunzione delle decisioni e dei deliberati attraverso i quali l'ente persegue le proprie finalità". La direzione implica quindi, di regola, un atto di prepositura con la quale il dirigente viene indirizzato all' intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e viene investito di attribuzioni che, per ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, pure nel rispetto delle direttive programmatiche dell'ente, sono tali da imprimere un indirizzo o un orientamento al governo complessivo dell'azienda assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello.
Ciò posto, in relazione al caso di specie, la Corte ha osservato come le stesse decisioni di merito avessero escluso che una delle funzioni apicali sopra indicate potesse essere riconosciuta all'imputato, in ragione delle mansioni di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione che gli erano state espressamente attribuite nell'organigramma aziendale. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione assume, infatti, una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nella individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti. Per tale motivo, la sua nomina non vale a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Perciò, se al RSPP viene riconosciuta una funzione di ausilio al datore di lavoro, ne consegue che una prestazione di collaborazione resa in ragione del rapporto di ausiliarietà e di subordinazione al datore di lavoro non può essere ricondotta ad alcuna delle figure comprese nella categoria delle persone dotate di veste apicale, come delineata dal D.Lgs. n.vo 231 del 2001 art. 5 comma 1 lett. a).
Con riguardo, invece, ai poteri attribuiti all'imputato per mezzo di una delega prepositurale da parte del datore di lavoro, da tale circostanza era stata tratta l'inferenza che egli avesse accentrato nel suo agire funzioni gestionali e rappresentative nel settore della sicurezza del lavoro; in sostanza, era stata ad egli attribuita la qualità di datore di lavoro, secondo la definizione di cui all'art. 2, lett. b) D.Lgs. n. 81 del 2008, ("il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa". Entrambi i giudici di merito, nell' interpretare il contenuto della delega di funzioni assegnate all'imputato mediante procura speciale, avevano infatti rimarcato l'autonomia gestionale (piena autonomia di scelta decisionale) per l'assolvimento dei compiti assegnati, l'esclusività della delega, il riconoscimento di un potere di spesa nei limiti di Euro 25.000 e, ai fini della rappresentanza, il fatto che egli avesse sottoscritto il DVR anche quale datore di lavoro. Sulla base di tali elementi, avevano ritenuto come il trasferimento di poteri così ampi, assistiti da autonomia operativa e gestionale e mancanza di interferenze (esclusa ogni ingerenza dell'organo amministrativo dell'azienda) avessero determinato il conferimento di una posizione verticistica, assimilabile a quella di un dirigente che, pure sottoposto al potere di vigilanza e condizionato dal potere di revoca della investitura da parte dell'amministrazione, è comunque posto in una posizione sovraordinata e indipendente nell'ambito di uno specifico settore al pari di un direttore tecnico o di stabilimento.
Sul punto, la Suprema Corte ha ritenuto come una siffatta interpretazione sia in contrasto con il dettato del D.Lgs. n. 231 del 2001 art. 5 comma 1 lett. a) e non appaia neppure rispettosa del complessivo articolato contenuto nella procura con la quale era stata realizzata la delega di poteri. Tale norma fa, infatti, espresso richiamo alla persona che assume funzioni di "direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale", con conseguente rilevanza della questione della ricorrenza di un trasferimento di una posizione apicale in relazione al complesso aziendale o ad una singola ripartizione organizzativa dello stesso, mediante una delega di funzioni che comprenda soltanto un ambito circoscritto di poteri in un settore determinato del complesso aziendale come quello della sicurezza sul luogo di lavoro. A tal proposito, si è osservato, la legge ammette che gli obblighi prevenzionistici gravanti sul datore di lavoro possano essere trasferiti ad un delegato (salvo quelli espressamente indicati come non delegabili dall'art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008), ma ciò determina l'attribuzione di un ben definito novero di competenze e non l' intera gestione aziendale (come affermato dalle SS.UU. Espnenhahn) nè la preposizione, in guisa di datore di lavoro, ad una unità produttiva.
A tal riguardo, i giudici di legittimità hanno dunque ritenuto opportuno rimarcare come:
"non possa riconoscersi rilievo decisivo al conferimento mediante atto di delega di specifiche attribuzioni per lo svolgimento di una funzione determinata, anche se nevralgica dell'azienda (come quella prevenzionistica, attinente alla prevenzione e protezione dei lavoratori dai rischi implicati dal processo produttivo e al rispetto delle misure di sicurezza adottate sul luogo di lavoro), per fare assurgere il delegato a soggetto in posizione di amministrazione o di direzione dell'ente odi una sua unità produttiva, secondo la previsione del citato art. 5 lett. a). Ciò in quanto il delegato rimane sottoposto al più ampio potere del delegante, che viene esercitato anche sotto forma di vigilanza; il delegato inoltre è tenuto a rapportarsi e a riferire al delegante (nella specie il datore di lavoro amministratore della società) ai fini dell'adozione di quelle misure di prevenzione o di protezione che sfuggano al suo potere di gestione o di spesa".
A tal proposito, si è infatti rilevato come la giurisprudenza della Suprema Corte a S.U. abbia avuto modo di rimarcare che "è diffusa l'opinione (e la si rinviene spesso negli atti giudiziari) che i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto nascano necessariamente da una delega. Al contrario, le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall'investitura o dal fatto. La delega è invece qualcosa di diverso: essa, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l'altro, come l'art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza "alta" a carico del delegante (S.U. Espenhahn). Si è inoltre affermato che: "E' sempre il datore di lavoro, poi, ad assumere la responsabilità in ordine alla valutazione dei rischi e all'adozione del Documento di Valutazione dei Rischi (sez.4, n. 27295 del 2/12/2016, Furlan, laddove la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento viene espressamente riconosciuta come attività non delegabile da parte del datore di lavoro".
La Corte di Cassazione ha inoltre evidenziato come il cumulare i ruoli di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di delegato alla sicurezza non faccia, per ciò solo, assumere il ruolo di chi gestisce o dirige l'ente o una ripartizione rilevante di essa come indicata dalla norma. Nel caso di specie, pertanto, i giudici di merito, nella verifica delle condizioni per l'affermazione della responsabilità dell'ente, avrebbero dovuto accertare se all'imputato fosse stato riconosciuto in origine, ovvero attribuito con delega, un complessivo assetto di poteri tali da definirne la veste apicale nel senso delineato dall'art. 5 lett. a) D. Lgs. 231/01, non limitandosi a considerare se all'esercizio delle specifiche funzioni delegate fossero stati assicurati i correlati poteri, di per sè implicanti una certa misura di indipendenza gestionale, di organizzazione e controllo, e di autonomia di spesa, necessaria ma anche limitata allo svolgimento delle funzioni delegate; si tratta, infatti, ha osservato il Collegio, di poteri che costituiscono nulla più che le premesse dell'esercizio della delega, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 16 comma 1 lett. c), e dell'esonero di responsabilità del datore di lavoro, ma non indici della ricorrenza di una posizione apicale in capo al delegato.
La Corte ha quindi ritenuto come il principale vizio della sentenza impugnata sia stato quello di avere operato una sorta di equiparazione tra "il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza" ed il riconoscimento di una veste apicale, secondo la previsione dell'art. 5 lett. a) D.Lgs. n. 231 del 2001; la piena autonomia di decisione costituisce, infatti, il presupposto di operatività della delega di funzioni in materia di prevenzione sul lavoro, ma non implica il riconoscimento di poteri di amministrazione, di gestione e di rappresentanza che coinvolgono l'ente nel suo complesso ovvero una articolazione organizzativa dello stesso. Il Collegio ha inoltre ritenuto come non possa affermarsi fondatamente che tale delega determini nel delegato una relazione di immedesimazione organica, così da riferire, nel caso di specie, all'imputato le funzioni gestorie richieste dal citato art. 5 lett. a), come era stato ritenuto dal giudice di appello quale ineluttabile conseguenza della procura.
La Corte di Cassazione ha dunque accolto il motivo di ricorso dell'Ente, il quale, nel mettere in rilievo l'illogicità di una tale equiparazione, aveva, al contempo, segnalato una serie di riferimenti, pure contenuti nella delega, che avrebbero dovuto essere considerati ai fini di una compiuta ricostruzione del panorama probatorio nell'attribuzione della veste apicale in capo all'imputato, quali la ricorrenza di una procura speciale, limitata a un circoscritto ambito operativo, e non generale, l'obbligo in capo al delegato di riferire al proprio mandante e il riconoscimento di un limite di spesa di cui andava valutata la compatibilità con l'assolvimento di compiti che si assume possiedano rilevanza gestionale o direttiva almeno di una unità produttiva. Certamente, si è quindi ritenuto, era onere del giudice di appello provvedere a saggiare la portata indiziaria degli elementi sopra indicati e confrontarli con gli ulteriori indici considerati, e non già limitarsi a fondare il proprio ragionamento probatorio sull'unico suggestivo, ma non contestualizzato, argomento dell'autonomia decisionale in materia di sicurezza conferita al delegato; elemento, questo, certamente idoneo a determinare, tutt'al più, il trasferimento della funzione prevenzionistica, nel rispetto di quanto indicato dall'art. 16 D.Lgs. n. 81 del 2008, ma da solo insufficiente a fare emergere i caratteri della sovraordinazione apicale.
La Suprema Corte ha, ancora, ritenuto manifestamente contraddittorio, se non frutto di travisamento, l'argomento secondo il quale la sottoscrizione del DVR da parte del RSPP delegato alla sicurezza, fosse indice di esercizio di poteri rappresentativi, laddove la valutazione dei rischi collegati alla prestazione di lavoro è invece compito non delegabile del datore di lavoro. La Corte di appello avrebbe dunque dovuto dimostrare, preliminarmente, come l'imputato fosse stato costituito datore di lavoro, fatto, nella specie, non verificatosi. Inoltre, il documento di valutazione dei rischi era stato sottoscritto dall'imputato nella sua qualità di RSPP, e quindi quale collaboratore ausiliario del datore di lavoro; sicchè la Corte ha ritenuto manifestamente illogico fare perno su tale circostanza per dedurne che egli avesse esercitato, quantomeno di fatto, un potere proprio dell'organo decisionale.
La Corte ha dunque pronunciato l'annullamento della sentenza limitatamente al punto concernente l'individuazione nell'imputato di una delle figure apicali contemplate dall'art. 5 comma 1 lett.a) D.Lgs. n. 231 del 2001, affermando, in conclusione, come:
- la disciplina in esame abbia portata generale e si riferisca a tutti i soggetti giuridici, con o senza personalità giuridica indicati dall'art. 1 del suddetto testo normativo;
- ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell'ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell'ordinamento giuridico ge- nerale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura;
- a tale fine, non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica, ovvero direzionale, lo strumento delineato dall'art. 16 D.Lgs. 81/2008 che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo, che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, nè, di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite.