mercoledì 19 aprile 2023

Acquisizione dei tabulati telefonici e geolocalizzazione: garanzie di legge, costituzionali e comunitarie. L'inutilizzabilità patologica nel giudizio abbreviato.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 15836, pronunciata all'udienza dell'11 gennaio 2023 (deposito motivazioni in data 14 aprile 2023), ha preso in esame il tema concernente le garanzie legali, costituzionali e sovranazionali in riferimento all'acquisizione dei tabulati telefonici ed alla geolocalizzazione.

Il fatto.

Un imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Brescia ne aveva confermato la penale responsabilità per plurimi reati di falso materiale in atto pubblico.

Tramite il proprio ricorso, egli contestava l'utilizzabilità dei tabulati dell'utenza, a lui in uso, lamentando un vizio nella parte della sentenza in cui era stato ritenuto come la richiesta di giudizio abbreviato avesse determinato, ai sensi dell'art. 438, comma 6 bis, c.p.p., la non rilevabilità di tale inutilizzabilità, conseguente all'assenza del decreto autorizzativo all'acquisizione dei tabulati.

Sosteneva l'imputato come, nella specie, la questione consistesse nell'inesistenza stessa di un provvedimento autorizzatorio. I tabulati erano, infatti, stati acquisiti dalla polizia giudiziaria senza alcun intervento del pubblico ministero; ne era perciò derivata, a detta del ricorrente, una inutilizzabilità patologica - stante l'assunzione dell'atto in violazione dell'art. 15 Cost. - la quale era quindi deducibile anche nel giudizio abbreviato, non potendo essa rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 438, comma 6 bis, c.p.p.. D'altra parte, né il Procuratore della Repubblica né il Procuratore Generale avevano mai dato prova della esistenza di un provvedimento del Pubblico ministero, e neppure la polizia giudiziaria, nei propri atti, aveva mai fatto riferimento ad un atto dell'Autorità Giudiziaria.

Ciò premesso, la motivazione ed il giudizio di responsabilità, esclusi i dati emergenti dai tabulati, erano da considerarsi inconsistenti.

Il quadro costituzionale.

La Corte di Cassazione ha dapprima rilevato come, effettivamente, la prova della responsabilità dell'imputato fosse stata fatta discendere anche da una serie di elementi probatori relativi alla geolocalizzazione di una determinata utenza cellulare, ad egli attribuita, volti a comprovare come in realtà questi fosse in un luogo diverso al momento dell'adozione di alcuni atti pubblici.

La Corte di appello aveva ritenuto come la questione di inutilizzabilità dedotta dall'imputato fosse infondata per tre ordini di motivi:

a) non era stato provato come tali tabulati fossero stati acquisiti su diretta iniziativa della polizia giudiziaria e non con un decreto del Pubblico Ministero;

b) non si trattava di un'ipotesi di inutilizzabilità c.d. patologica, cioè quella derivante dalla violazione di un divieto probatorio, con conseguente non deducibilità della questione nel processo, celebrato nelle forme del giudizio abbreviato;

c) nel processo medesimo non era stato fatto uso delle informazioni relative al contenuto, alla forma ed alla identificazione delle utenze coinvolte, ovvero alla durata delle conversazioni intercorse, ma solo di quelle relative alla collocazione spaziale dell'utenza in determinati periodi di tempo; tali informazioni, aveva osservato la Corte, non attenevano alla sfera della riservatezza tutelata dall'art. 15 Cost.: l'art. 132 D.Lgs. 30 giugno 2003 sarebbe da considerarsi come riguardante solo l'attività di acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico, come definiti dall'art. 121, comma 1, lett. h) del medesimo decreto, ma non anche di quelli relativi, come nel caso di specie, alla ubicazione della utenza.

Ciò premesso, i giudici di legittimità hanno osservato come l'imputato fosse stato condannato sulla base delle inferenze probatorie desunte dalle risultanze dei dati esterni delle comunicazioni del cellulareL'art. 132, comma 3, del D.Lgs. n. 196 del 2003 - nella formulazione vigente all'epoca dell'acquisizione dei dati, prevedeva il potere del pubblico ministero, per finalità di accertamento e repressione dei reati, di acquisire con decreto motivato presso il fornitore, entro il termine di ventiquattro mesi dalla data della comunicazione, i dati esterni delle comunicazioni, anche su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta ad indagini, della persona offesa o delle altre parti private.

Sotto il profilo costituzionale, si è quindi rilevato come i Costituenti avessero consapevolezza che l'evoluzione della società avrebbe prodotto rapporti tra Stato e consociati di  tipologia e frequenza sempre nuove; per questo, avevano creato uno strumento dinamico di protezione dei diritti, con una stesura dell'art. 2 tale da lasciar progressivamente emergere un numero sempre più ampio di diritti fondamentali della persona. Si è inoltre evidenziato come nella prima parte della Costituzione si trovino tre aree fondamentali di tensione tra diritto della persona e potere intrusivo dello Stato: libertà personale (art. 13), domicilio (art. 14) e comunicazioni (art. 15), le discipline delle cui norme presentano due fondamentali tratti comuni.

Il primo è la riserva di legge, la quale "meglio garantisce la base democratica del corpo istituzionale, cui spetta regolare le limitazioni della libertà, meglio assicura la conoscibilità generale e preventiva delle regole, meglio conferisce cogenza e uniformità alla soluzione di bilanciamento prescelta". Il secondo è invece la riserva di giurisdizione, che riserva ad un'autorità pubblica ad indipendenza garantita l'accertamento di corrispondenza tra la fattispecie concreta e la regola limitatrice.

La riserva di legge assume, nell'ambito in discorso, particolare importanza, in ragione della diffusione di nuove metodologie investigative a carattere pervasivo. Essa, infatti, significa che le norme di legge ordinaria debbono declinare una disciplina chiara, precisa e determinata; nella materia delle prove che limitano diritti fondamentali, se ne possono mutuare i princìpi di frammentarietà e determinatezza, oggetto di studio nell'ambito del diritto penale sostanziale.

Sulla base di tale sfondo costituzionale, informato al principio di legalità, si ricava, altresì, con sempre maggiore chiarezza, ha aggiunto la Corte, il principio di proporzionalità. Tale principio esprime il concetto per cui, quando il legislatore regola un atto idoneo a comprimere diritti fondamentali, egli non è libero: tale disciplina deve, infatti, soddisfare requisiti assai stringenti: occorre che la misura limitativa sia idonea a raggiungere lo scopo, e risulti indispensabile per conseguire quel fine; ed inoltre, che il sacrificio imposto al bene giuridico sia giustificato dalla gravità del reato.

Prova incostituzionale ed art. 189 c.p.p..

Risvolto negativo di tale quadro è quello della prova incostituzionale: quando non esiste una norma di rango legislativo che soddisfi - nell'an e nel quomodo - la predetta riserva, l'acquisizione non può che considerarsi vietata: dal silenzio del legislatore si ricava, pertanto, un limite probatorio, e cioè che quando è in gioco la tutela di diritti fondamentali, è vietato tutto ciò che non è espressamente consentito.

Elemento di apparente distonia, in tale contesto, potrebbe, tuttavia, essere individuato nell'art. 189 c.p.p., il quale consente l'ingresso processuale della c.d. prova atipica. La Corte ha tuttavia ricordato come tale norma non possa alterare i connotati del disegno complessivo: essa stabilisce, soltanto, che la prova innominata entra nel processo penale se è idonea ad accertare e non lede la libertà morale, previo contraddittorio dinanzi al giudice.

Una fondamentale questione posta in riferimento a tale disposizione è se essa valga ad attuare la riserva costituzionale stabilita a tutela dei diritti fondamentali, di modo che, attraverso tale canale, possano ammettersi prove atipiche lesive delle predette istanze: la risposta fornita è che la disposizione appena indicata vale ad introdurre quelle sole prove atipiche che non rechino vulnus ad istanze costituzionalmente tutelate e che, dunque, non richiedono una disciplina legislativa espressa. Detto in altri termini - si  osservato - la norma in oggetto non ha cioè la funzione di aprire il sistema, bensì di chiuderlo.

In definitiva, quindi, hanno rilevato i giudici di legittimità, il concetto di prova incostituzionale porta con sé un divieto probatorio implicito, desumibile a contrario dai silenzi del codice: la prova lesiva di diritti fondamentali, anche se atipica, è vietata e, se acquisita, è inutilizzabile.

Raccolta automatizzata dei dati personali. Dati esteriori di comunicazioni e geolocalizzazione.

Ricostruito in tali termini il quadro costituzionale, la Corte ha affrontato il tema della tutela dei diritti rispetto al ricorso generalizzato agli strumenti di raccolta automatizzata dei dati personali, come appunto i tabulati, siano essi dati - non comunicativi - di geolocalizzazione, ovvero dati relativi ad immagini, dati digitali o piuttosto informazioni relative al traffico telefonico.

I giudici di legittimità hanno, innanzitutto, precisato come, con la tradizionale locuzione "dati esteriori di comunicazioni" si faccia riferimento ad una serie di informazioni di varia natura, suscettibili di acquisizione e utilizzazione processuale, riguardanti non solo i dati relativi alle telefonate su apparecchi fissi o mobili, ma anche ogni altro tipo di comunicazione elettronica; la prassi operativa si è, infatti, evoluta al punto di poter geolocalizzare un'utenza mobile non solo ex post, ma, soprattutto, anche in tempo reale, ed in assenza di captazione, mediante la costante rilevazione delle celle di aggancio della stazione mobile, consentendo, in tal modo, una sorta di pedinamento elettronico del possessore del cellulare anche nei momenti in cui questi non comunica.

Inoltre, il tabulato indica il prospetto cartaceo o telematico contenente i dati esterni alle comunicazioni, pur essendo esse afferenti ad una lesione periferica della riservatezza, in ragione della minore invasività del mezzo rispetto a quello intercettivo.

Si tratta, tuttavia, di dati personali qualificati, in quanto fornenti informazioni di sicuro rilievo quali il tempo, la durata, la frequenza delle chiamate, le utenze contattate, i codici IMEI, gli intestatari delle schede SIM, e, come si era verificato nel caso all'esame della Corte, l'ubicazione della utenza mediante la geolocalizzazione storica delle celle di aggancio. Non v'è, quindi, dubbio come si tratti di dati di grande sensibilità, essendo i medesimi attinenti alla personalità ed alla sfera privata del titolare della utenza telefonica.

I dati esteriori di comunicazioni, si è inoltre rilevato, consentono quindi di creare una mappatura fedele ed esaustiva di una parte importante dei comportamenti privati di una persona; tali dati possono, addirittura, restituire un ritratto dell'identità personale della medesima.

La giurisprudenza costituzionale.

Ciò comporta quindi, ha affermato il Collegio, una forte esigenza di tutela, recepita, nel corso del tempo, dalla Corte costituzionale che, già con la sentenza n. 81 del 1993, riconobbe, in forza dell'art. 15 Cost., il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possono portare alla identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo ed al luogo della comunicazione; la Corte aveva ravvisato una lesione marginale di una zona periferica rispetto al nucleo essenziale segnato dall'art. 15 Cost. e, proprio in ragione di ciò, aveva ritenuto sufficiente, ai fini dell'acquisizione dei tabulati, un decreto motivato del pubblico ministero e - al fine di soddisfare la riserva di legge - aveva mutuato la disciplina stabilita nell'art. 256 c.p.p..

La stessa Consulta aveva quindi successivamente evidenziato la "notevole capacità intrusiva di un'attività investigativa che coinvolga i tabulati, con conseguente sua riconducibilità "alle garanzie dell'art. 15 Cost. in rapporto alle limitazioni della libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione(Corte Cost. n. 188 del 2010) confermando che per ogni cittadino il ricorso a tale strumento di indagine deve essere necessariamente soggetto alle garanzie previste dall'art. 15 Cost. (Corte Cost. n. 38 del 2019).

La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

In tale complesso quadro è, in seguito, intervenuta la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale, con la Sentenza del 2 marzo 2021, H.K. c. Prokunrantuur (causa C-746/18), si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte Suprema estone in ordine all'interpretazione dell'art. 15, par. 1, dir. 2002/58/CE - relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche - come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009. La Corte di Giustizia, con tale pronuncia, ha delineato una serie di condizioni cui gli Stati membri devono subordinare l'accesso ai dati conservati dai fornitori da parte dell'autorità pubblica per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in modo da poter bilanciare tale esigenza con la contrapposta necessità di tutelare il diritto alla riservatezza.

La Corte di Giustizia, in particolare, approfondendo i principi già affermati in precedenza in materia di data retention (Corte Giustizia, Grande Sezione, 21 dicembre 2016, cause riunite C-203/15 e C-698/15, Tele2 Sverige AB; Corte Giustizia, Grande Sezione, 8 aprile 2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12, Digitale Rights Ireland), ha affermato che:

- la direttiva, letta alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonché dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, osta a una normativa nazionale che permetta alle autorità pubbliche l'accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o, come nel caso di specie, sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedimenti aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica;

- la direttiva, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, osta a una normativa nazionale che investa il pubblico ministero della competenza ad autorizzare l'accesso ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all'ubicazione al fine di condurre un'istruttoria penale, dovendo il controllo preventivo essere rimesso a un giudice o a una autorità amministrativa indipendente, comunque diversa dall'autorità richiedente.

Secondo la Corte di giustizia, dunque, l'accesso ai dati può essere consentito solo: (1) in presenza di "forme gravi di criminalità" o per far fronte a "gravi minacce alla sicurezza pubblica" e (2) se vi sia la preventiva autorizzazione di un'autorità giudiziaria o amministrativa indipendente e terza rispetto alle parti, pubbliche e private.

La legislazione interna: il D.L. 132/2021.

Ciò rilevato, la Corte di Cassazione, ponendo in disparte l'importante tema dell'applicazione diretta dei principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha posto in evidenza come il legislatore italiano abbia adottato il D.L. 30 settembre 2021, n. 132 (recante "Misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonchè proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP"), entrato in vigore il 30 settembre 2021, al fine dichiarato di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 2 marzo 2021.

Il preambolo del decreto-legge richiama proprio "la straordinaria necessità ed urgenza di garantire la possibilità di acquisire dati relativi al traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale nel rispetto dei principi enunciati dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, e in particolare di circoscrivere le attività di acquisizione ai procedimenti penali aventi ad oggetto forme gravi di criminalità e di garantire che dette attività siano soggette al controllo di un'autorità giurisdizionale".

L'art. 1 del decreto-legge, intitolato "Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale" ha, dunque, riscritto l'art. 132, comma 3, del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, prevedendo che "entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni determinata a norma dell'art. 4 c.p.p., e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private".

Dunque, ha osservato la Corte, il legislatore ha, effettivamente, introdotto una giurisdizionalizzazione della procedura di acquisizione dei tabulati, tramite l'adozione di un decreto motivato, che effettui un controllo sull'accesso ai dati esterni al traffico telefonico, demandato ad un soggetto indipendente e diverso dalle parti, pubbliche e private. Un controllo finalizzato - così come previsto sin dall'origine dall'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE - a verificare il senso del bilanciamento tra effettività delle indagini e tutela del diritto alla riservatezza e alla vita privata.

Il testo del decreto-legge non ha, tuttavia, contemplato una disciplina transitoria relativa ai dati di traffico telefonico e telematico già acquisiti, come nel caso di specie, nel corso di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, lasciando permanere incertezze interpretativeLa L. 23 novembre 2021, n. 178, in sede di conversione del decreto legge, oltre ad apportare alcuni correttivi alla disciplina dell'acquisizione, ha tuttavia dettato una norma transitoria, volta specificamente a superare i contrasti interpretativi insorti in ordine all'utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti dal pubblico ministero in forza della disciplina previgente

In particolare, la legge di conversione n. 178 del 2021, con l'inserimento del comma 1-bis all'interno dell'art. 1 del D.L. n. 132 del 2021, ha stabilito che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti, come nel caso in esame, nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2021 "possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p., e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi". Nel caso all'esame della Corte, alla data in cui era stata pronunciata la sentenza impugnata, ossia il 14.1.2022, tale disciplina transitoria era già vigente.

La decisione: l'inutilizzabilità nel giudizio abbreviato dei tabulati acquisiti senza decreto dell'Autorità Giudiziaria.

Posta tale complessa ricostruzione, la Corte di Cassazione ha ritenuto come la sentenza di merito sia da considerarsi viziata sotto molteplici profili

In primo luogo, si è rilevato, essa ha ipotizzato l'esistenza di un provvedimento autorizzatorio del Pubblico Ministero, del quale, tuttavia, non è stata trovata alcuna traccia.

La Corte di merito, a fronte di tale vizio, in ordine al quale non poteva certo essere attribuito alla parte l'onere di provare l'inesistenza del provvedimento autorizzatorio, avrebbe dovuto verificare l'esistenza delle condizioni che legittimavano l'acquisizione di quei tabulati e, dunque, accertare se davvero un provvedimento di autorizzazione - di cui nessuno aveva mai nemmeno ipotizzato l'esistenza - fosse stato emesso.

Sotto altro profilo, i giudici di legittimità hanno ritenuto come non sia affatto chiara la ragione per cui, secondo la Corte di appello di Brescia, i tabulati acquisiti senza un decreto dell'Autorità Giudiziaria dovrebbero essere utilizzabili nel giudizio abbreviato. Si è, infatti, da tempo affermato come rientrino nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità, non solo le "prove oggettivamente vietate", ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla "legge" e, a maggior ragione, come in precedenza detto, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione.

La Corte costituzionale, infatti, già con la sentenza n. 34 del 1973 ha  ravvisato l'esistenza di "divieti" probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui "attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte, di per sé, a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito".

Tale principio - ha ribadito la Corte - ha consentito l'elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo.

L'acquisizione dei tabulati, in assenza di un decreto autorizzatorio dell'Autorità giudiziaria, rende, quindi, inutilizzabili i dati in essi contenuti (Sez. U, n. 21 del 13/07/1998, Gallieri; Sez. U, n. 6 del 23/02/2000, D'Amuri). Per quanto concerne il giudizio abbreviato, in senso assolutamente simmetrico è stato affermato come debba attribuirsi piena rilevanza alla categoria sanzionatoria della inutilizzabilità cosiddetta "patologica", inerente cioè agli atti probatori assunti contra legem, il cui impiego è vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l'udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito.

In particolate "nell'affermare esplicitamente questo principio in riferimento ad alcune situazioni (Sez. U, 13.7.1998, Gallieri, e Sez. U. 23.2.2000, D'Amuri, in tema di tabulati telefonici; Sez. Un., 25.3.1998, D'Abramo e Sez. Un., 25.3.1998, Savino, sulle modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione; Sez. Un., 20.11.1996, Glicora, e Sez. Un., 27.3.1996, Monteleone, sulle conseguenze della mancata allegazione al g.i.p. o al tribunale della libertà dei decreti autorizzativi di intercettazioni telefoniche, ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; Sez. Un., 27.3.1996, Sala, sulla perquisizione invalida e sul conseguente sequestro di corpo del reato o di cose pertinenti al reato)" le Sezioni Unite hanno sottolineato come:

"nel descritto fenomeno rientrano tanto le prove oggettivamente vietate quanto le prove comunque formate o acquisite in violazione - o con modalità lesive - dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, perciò, assoluti e irrinunciabili, a prescindere dall'esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego nel procedimento contenuto nella legge processuale... In questo caso la disciplina normativa costruisce il divieto di utilizzazione della prova in termini di operatività assoluta: l'inosservanza del divieto non è affatto sanabile in virtù della mera richiesta dell'imputato di accesso al rito alternativo ed è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento a norma dell'art. 191 c.p.p." (così testualmente, Sez. U., n. 16 del 21&06/2000, Tammaro).

Inoltre, sotto diverso ed ulteriore profilo, il Collegio ha ritenuto infondato l'assunto secondo cui, essendo stati utilizzati solo i dati relativi alla ubicazione della utenza e non quelli relativi "al traffico telefonico", in tal caso i tabulati avrebbero potuto essere acquisiti anche solo dalla polizia giudiziaria. Trattasi, infatti, si è osservato, di un assunto non condivisibile per più ordini di ragioni:

1) In tema di diritti fondamentali è vietato tutto ciò che non è consentito, e nessuna norma consente alla polizia giudiziaria di acquisire i tabulati;

2) Nel caso di specie erano stati acquisiti i tabulati contenenti tutti, indistintamente, i dati di traffico esterno delle comunicazioni.

La Corte Costituzionale, infatti, già con la Sentenza n. 81 del 1993 aveva chiarito come l'art. 15 della Costituzione, in mancanza delle garanzie ivi previste, preclude la divulgazione o, comunque, la conoscibilità da parte di terzi delle informazioni e delle notizie idonee a identificare i dati esteriori della conversazione telefonica (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa), dal momento che, facendone oggetto di uno specifico diritto costituzionale alla tutela della sfera privata attinente alla libertà e alla segretezza della comunicazione, ne affida la diffusione, in via di principio, all'esclusiva disponibilità dei soggetti interessati.

Più precisamente, il riconoscimento e la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l'assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico. Ed ancora, non v'è dubbio che, una volta che una persona abbia prescelto l'uso del mezzo telefonico, vale a dire l'utilizzazione di uno strumento che tecnicamente assicura una segretezza più estesa di quella riferibile ad altri mezzi di comunicazione (postali, telegrafici, etc.), ad essa, in forza dell'art. 15 della Costituzione, va riconosciuto il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possano portare all'identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo e al luogo dell'intercorsa comunicazione.

Nello stesso tempo, sempre in forza dell'art. 15 della Costituzione, non può negarsi che al riconoscimento di tale diritto sia coessenzialmente legata la garanzia consistente nel dovere, posto a carico di tutti coloro che per ragioni professionali vengano a conoscenza del contenuto e dei dati esteriori della comunicazione, di mantenere il più rigoroso riserbo su tali elementiSe questa garanzia non ci fosse, infatti, risulterebbe vanificato il contenuto del diritto che l'art. 15 della Costituzione intende assicurare al patrimonio inviolabile di ogni persona in relazione a qualsiasi forma di comunicazione, tanto più se quest'ultima comporta, per la propria realizzazione, una consistente organizzazione di mezzi e di uomini:

"E, con specifico riguardo al problema in esame, a norma dell'art. 15 della Costituzione, le informazioni o i dati comportanti intromissioni nella sfera privata attinente al diritto inviolabile della libertà e della segretezza della comunicazione possono essere acquisiti soltanto sulla base di un atto dell'autorità giudiziaria, sorretto da "un'adeguata e specifica motivazione", diretta a dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie volte al fine, costituzionalmente protetto, della prevenzione e della repressione dei reati" (così testualmente la Corte costituzionale).

Stanti tali osservazioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto viziato l'assunto secondo cui l'acquisizione dei dati di ubicazione della utenza potrebbero essere acquisiti dalla polizia giudiziaria.

La sentenza è stata quindi ritenuta gravemente viziata per non essersi i giudici di merito confrontati con l'evoluzione normativa in precedenza descritta, con la sentenza della Corte di Giustizia indicata, con la L. 23 novembre 2021, n. 178, di conversione del D.L. n. 132 del 2021, e con la disciplina transitoria vigente al momento della decisione.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte ha dunque annullato la sentenza nei riguardi dell'imputato, specificando come la Corte di appello, in sede di rinvio, debba verificare l'inutilizzabilità dei tabulati ed accertare se ed in che limiti sia possibile formulare un giudizio di colpevolezza nei confronti del ricorrente.