mercoledì 10 maggio 2023

La circostanza attenuante della provocazione nella forma c.d. "per accumulo".

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 19150, pronunciata all'udienza del 16 febbraio 2023 (deposito motivazioni in data 8 maggio 2023), ha preso in esame il tema concernente la circostanza attenuante della provocazione, nella forma c.d. "per accumulo".

Il fatto.

Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Perugia ne aveva confermato la responsabilità in relazione al delitto di tentato omicidio, per aver, armato di fucile, sparato alcuni colpi di arma da fuoco dalla finestra della propria abitazione, colpendo la sorella e il di lei fidanzato.

Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato lamentava difetto di motivazione con riferimento al diniego dell'attenuante della provocazione. I giudici d'appello avevano, infatti, confermato come il fatto fosse accaduto nel contesto di una grave conflittualità, aggravata da atteggiamenti provocatori che la persona offesa e il di lei fidanzato avevano tenuto nel pomeriggio del fatto, senza, tuttavia, trarne le dovute conseguenze in ordine alla sussistenza della provocazione così detta "per accumulo".

La decisione.

La Corte di Cassazione ha, innanzitutto, osservato come la sentenza di primo grado avesse rilevato la sproporzione tra gli "atteggiamenti provocatori" della coppia e l'azione dell'imputato; tale sproporzione rendeva evidente che l'imputato avesse agito per "vendetta, malanimo, desiderio di sopraffazione".

La Corte d'Appello, dal canto proprio, aveva condiviso il giudizio sulla "manifesta e macroscopica sproporzione", aggiungendo come la condotta della vittima fosse stata provocatoria, ma solo verbalmente, come l'azione dell'imputato fosse stata, invece, "macroscopicamente sproporzionata in eccesso" e come il successivo atteggiamento di "freddo distacco" assunto dall'imputato fosse sintomatico "del grado insostenibile di esasperazione in cui versava l'uomo".

Le sentenze di merito avevano, infine, evidenziato come il fatto si fosse verificato nell'ambito di una forte conflittualità tra l'imputato e la vittima; in particolare, la sentenza di primo grado aveva segnalato che i contrasti erano anche dovuti alla convinzione dell'imputato che la sorella avesse, in qualche modo, avviato il di lui figlio al consumo di stupefacenti. Tali contrasti si erano poi significativamente acuiti il pomeriggio dei fatti, a seguito dell'intervento di due soggetti, i quali avevano preteso dall'imputato il pagamento di un debito, derivante da una fornitura di stupefacente, contratto dal figlio, ed a fronte dell'intervento della sorella a sostegno dei creditori. I giudici di legittimità hanno quindi rilevato come tale situazione pregressa di forte conflittualità, vissuta dall'imputato con esasperazione, fosse stata, tuttavia, relegata dalla motivazione delle sentenze di merito sullo sfondo della vicenda, mentre rilievo decisivo, per escludere l'attenuante, era stato attribuito alla sproporzione tra la condotta tenuta dalla vittima quel pomeriggio e la condotta dell'imputato.

Tanto premesso, il Collegio ha ricordato che, secondo la giurisprudenza, ai fini della configurabilità dell'attenuante della provocazione occorrono: 

a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui"; 

b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale

c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta". 

La giurisprudenza della Suprema Corte ha, in particolare, spiegato come non si richieda la proporzione tra fatto ingiusto della vittima e reazione del reo, bensì, in conformità al dato testuale, un rapporto di causalità psicologica, ossia che il fatto ingiusto sia stato causa dello stato d'ira e della conseguente reazione.

Nondimeno, a fronte della molteplicità delle spinte emotive all'azione - molteplicità che spesso è presente nell'animo di chi reagisce alla condotta altrui - si rende necessario assumere un criterio per distinguere i casi in cui il fatto ingiusto altrui sia solo occasione o pretesto per l'azione violenta dai casi in cui il fatto ingiusto altrui sia stato effettivamente la causa dello stato d'ira e della reazione violenta. Tale criterio è stato, invero, individuato proprio nella sussistenza di un rapporto di adeguatezza o proporzionalità tra fatto ingiusto e reazione, considerato quale significativo indicatore di una relazione di causalità psicologica.

Nell'ambito di tale interpretazione della norma, si è, tuttavia, aggiunta la considerazione che il "fatto ingiusto altrui", ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 2) c.p., può essere integrato anche da una realtà complessa, caratterizzata da pregresse condotte che hanno determinato l'insorgere di una forte contrapposizione personale vissuta con esasperazione, e da una ulteriore condotta, direttamente scatenante il fatto-reato, anche non grave, ma tale inserendosi nel suddetto contesto di esasperazione, da determinare uno stato d'ira e una condotta violenta.

E' stato, perciò, ritenuto che: "Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. per accumulo, si richiede la prova dell'esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l'esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo" (Sez. 1, n. 4695 del 13/01/2011, Galati).

Dunque, hanno rilevato i giudici di legittimità, a fronte di un contesto di esasperata conflittualità, esitato in una grave condotta violenta, non è sufficiente verificare la relazione tra la condotta violenta e l'atteggiamento, immediatamente precedente, della vittima, ma è necessario leggere la rilevanza causale dell'ultima manifestazione della vittima nel contesto della conflittualità esistente con l'imputato, così da verificare se quell'ultima azione, magari in sé meno grave di altre, avesse avuto, nella percezione soggettiva del reo, una valenza potenziata da tutta la conflittualità pregressa, e  avesse quindi fatto insorgere uno stato d'ira tale da muovere il reo alla reazione.

Anche, infatti, nella provocazione così detta "per accumulo" è necessario verificare se vi sia stata relazione di causalità psicologica tra fatto ingiusto della vittima e reazione, ma nella valutazione del fatto ingiusto l'ultima condotta non va isolata dal contesto nel quale si è verificata.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto annullato con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al diniego dell'attenuante della provocazione.