La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 14228, depositata in data 4 aprile 2023, ha preso in esame la questione concernente l'individuazione della soglia quantitativa di sostanza del tipo hashish, oggetto delle condotte di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90, ai fini della riconducibilità delle medesime alla fattispecie di lieve entità di cui al quinto comma di tale disposizione.
Il fatto.
Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Salerno ne aveva confermato la condanna per il reato di cui all'art. 73, comma 4 D.P.R. n. 309 del 1990 alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro ottomila di multa.
Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato lamentava la mancata qualificazione del fatto ai sensi del comma 5 dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990. Secondo il ricorrente, il dato quantitativo (g 49.94 di hashish) e gli ulteriori elementi di fatto indicati in sentenza non potevano dirsi idonei ad escludere la configurabilità di tale fattispecie e a dimostrare che le concrete capacità di azione dell'imputato, le sue relazioni con il mercato di riferimento - in ragione dell'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, del numero degli assuntori e della rete organizzativa - o altre peculiari modalità di azione fossero incompatibili con una ridotta offensività della condotta in uno dei suoi elementi. La Corte d'Appello, inoltre, non aveva, a suo dire, valorizzato il mancato confezionamento in dosi o altri elementi sintomatici del numero di assuntori riforniti.
La decisione.
La Suprema Corte ha, innanzitutto, osservato come i giudici del gravame avessero confermato la qualificazione giuridica, ai sensi dell'art. 73, comma 4 D.P.R. n. 309 del 1990, di una fattispecie in cui l'imputato era stato colto nell'atto di cedere una dose di hashish, dietro pagamento del corrispettivo di venti Euro, e, sottoposto a perquisizione, era stato trovato in possesso della somma di Euro 480,00 e di un mezzo panetto di hashish, occultato negli slip e idoneo a confezionare oltre 600 dosi. La Corte d'Appello aveva, sul punto, evidenziato come non si trattasse di spaccio occasionale, ma di attività organizzata, comprovata dalla detenzione della somma, dalla circostanza dell'arresto in flagranza per analogo reato avvenuto circa un mese prima, dalle dichiarazioni dell'acquirente, che aveva indicato l'imputato come spacciatore a lui noto, nonché dal dato ponderale dello stupefacente. Lo stupefacente, sottoposto ad accertamento merceologico, era risultato del peso di 49.94 g, contenente principio attivo THC pari a 15,204 g. Da questi elementi di fatto, la Corte di merito aveva dunque tratto la conclusione che il fatto dovesse essere inquadrato nella predetta fattispecie incriminatrice, non essendo compatibile la quantità di sostanza detenuta e la condotta di spaccio nella fattispecie attenuata di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990.
I giudici di legittimità hanno, tuttavia, rilevato come tale conclusione non faccia corretta applicazione dei principi relativi al reato di cessione di sostanze stupefacenti, come delineato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha ritenuto compatibile, con la qualificazione ai sensi dell'art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990, il cd. "piccolo spaccio", anche organizzato.
Sul punto, si è dapprima rilevato come, secondo consolidata giurisprudenza, la fattispecie di lieve entità possa essere riconosciuta in ipotesi di minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione). La giurisprudenza ha, inoltre, precisato, tramite la pronuncia delle Sezioni Unite Rico - n. 35737/10 - come, qualora anche uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resti priva di incidenza sul giudizio.
L'accertamento della lieve entità del fatto implica, pertanto, si è osservato, una valutazione complessiva, ma non meramente formale o apparente, di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in relazione ai diversi criteri enunciati dalla disposizione. In applicazione di tale principio, si è, pertanto, ritenuto non ostativo alla sussunzione del fatto nell'ipotesi di lieve entità lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un'attività criminale organizzata o professionale (Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, Mascali), con la precisazione, riferita al "piccolo spaccio", che questo deve presentare un'incidenza sul mercato quantificabile in "dosi conteggiate a decine" (Sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013, Airano).
Con riguardo alla fattispecie in esame, il quantitativo lordo di stupefacente, come premesso, era stato ritenuto elemento decisivo ai fini della qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 4, in quanto insuscettibile di connotare la condotta in termini di minore gravità.
Tale conclusione è stata ritenuta non condivisibile dalla Suprema Corte, trattandosi di un quantitativo pienamente rientrante nel valore - 102 g lordi o 25,5 g di principio attivo - individuato come valore soglia ai fini della tendenziale qualificazione del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990 art. 73, comma 5, sulla scorta di uno studio compiuto presso la Sezione, studio che ha analizzato numerose sentenze della Corte di Cassazione che facevano riferimento proprio al dato quantitativo dello stupefacente detenuto.
A tal riguardo, la Corte si è detta ben consapevole della difficoltà di individuare, a fronte della elasticità degli elementi che concorrono a delineare la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990 , parametri improntati a criteri oggettivi: ciononostante, si è osservato, il dato ponderale costituisce l'unico indice idoneo ad assumere una connotazione oggettiva, suscettibile di descrizione sulla base di criteri prevedibili ex ante e verificabili ex post, in funzione dell'applicazione in concreto del principio di proporzione calibrato sul grado di offensività della condotta.
Il Collegio ha quindi evidenziato come, presso vari uffici di Procura siano state da tempo adottate linee guida che, sulla base dell'utilizzo di un proprio moltiplicatore, applicato sui valori della quantità massima detenibile, hanno individuato il valore di sostanza pura integrante l'ipotesi di lieve entità, allo scopo di orientare l'attività di Polizia giudiziaria e il conseguente esercizio dell'azione penale, con risultati tutt'altro che omogenei. Il dato quantitativo resta, tuttavia, considerato nella giurisprudenza, quale indice negativamente assorbente ai fini della qualificazione giuridica, ed ancorato, soprattutto, al valore di principio attivo ed al numero delle cd. dosi medie singole. In particolare, molti casi esaminati nella giurisprudenza di legittimità possono essere collocati, si è rilevato, in una "zona grigia", al confine fra le due fattispecie di reato; in tali casi, si è detto, "il giudice non può espungere dal giudizio di gravità e/o lieve entità del fatto, facendo applicazione del principio di offensività, anche la valutazione del trattamento sanzionatorio comminato, così relegando nella fattispecie di lieve entità solo il fatto addirittura esiguo". Da ciò discende, tuttavia, il rischio di sperequazioni punitive in eccesso, come nell'ipotesi di qualificazione ai sensi dell'art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990 della fattispecie di detenzione, per l'hashish, di sostanza stupefacente di gran lunga inferiore a 100 g di sostanza lorda. Nel caso in esame, per esempio, la qualificazione del fatto e la valorizzazione del dato quantitativo avevano condotto all'applicazione della pena di anni quattro di reclusione (poi ridotta per il rito), pena praticamente eguale alla pena massima comminata per l'ipotesi lieve, pena edittale destinata a restare sulla carta in presenza di una lettura della fattispecie incriminatrice che si concentra e appiattisce su valori esigui e minimali.
Stanti tali osservazioni, la Suprema Corte ha ritenuto dunque di poter affermare come, ai fini della valutazione della sussistenza del fatto lieve, il giudice possa tenere conto del fatto che il dato ponderale oggetto di giudizio sia stato ritenuto, sulla base di un dato calcolato sui dati rinvenibili nelle sentenze della Corte di legittimità e risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, come compatibile con l'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 e pari, per l'hashish al valore lordo di g 102 e di principio attivo di g 25,5; valori, questi, tendenzialmente compatibili con la fattispecie di cui all'art. 73, comma 5 cit., e nei quali rientrava, nel caso in esame, sia il dato quantitativo lordo, pari a g 49.94 che il principio attivo THC pari a g 15,204.
La Corte ha inoltre osservato come il dato quantitativo, qualora non si presenti come un valore in assoluto significativo, rappresenti uno dei criteri che il giudice deve valutare ai fini della qualificazione giuridica del fatto; tuttavia, in presenza di un valore generalmente suscettibile, nelle decisioni giudiziarie, di valutazione oscillanti, non può assumere, di per se, valenza determinante, soverchiando ogni altra valutazione relativa alle concrete modalità del fatto e della condotta.
Inoltre, si è ritenuto come debba escludersi che qualsiasi forma e grado di organizzazione, struttura, professionalità, reiterazione giustifichi, per sé, l'esclusione dell'ipotesi lieve. L'art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990 deve, infatti, essere inteso alla luce del principio di proporzione, senza limitare la fattispecie incriminatrice al fatto assolutamente minimale di detenzione e cessione di pochissime dosi, spettando al giudice l'apprezzamento in fatto e in concreto del livello di offensività della condotta complessiva. L'attività di spaccio costituisce infatti, sul piano empirico, un fenomeno composito, in quanto, "accanto a vere e proprie forme di appalto di manovalanza per lo smercio su strada, spesso utilizzato anche dalla criminalità organizzata, essa appare riconducibile anche ad attività delinquenziale, individuale o in forma più o meno organizzata, per il procacciamento di risorse illegali o ad un'attività parallela degli utilizzatori di stupefacenti per procurarsi risorse per l'acquisto personale".
Il segmento finale del circuito di commercio di stupefacenti rappresenta, dunque, un fenomeno variegato, rispetto al quale appare riduttivo l'approccio della giurisprudenza che, per escludere la configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, ne valorizza la contiguità con il contesto di commercio della droga: una definizione, questa, ritenuta dalla Corte generica e inidonea a definire la concreta offensività della condotta.
Il Collegio ha dunque ritenuto come, nel caso in esame, mancassero elementi sulla cui base ritenere che l'attività di spaccio - al di là del singolo quantitativo sequestrato - avesse connotati idonei a escludere la tenuità della condotta richiesta dall'art. 73, comma 5 D.P.R. 309/90, non essendo accertato né il numero di assuntori che si rivolgevano all'imputato, né un suo inserimento in un gruppo organizzato, trattandosi, invece, di una conclamata attività di spaccio svolta in maniera isolata; tenuto conto, inoltre, del valore economico dello stupefacente caduto in sequestro, non erano emersi altri elementi di fatto denotanti disponibilità finanziarie idonee a procurarsi quantitativi apprezzabili di sostanza stupefacente.
I giudici di legittimità hanno, pertanto, affermato il principio per cui:
"La detenzione a fini di cessione di g 102 di hashish e g 15,204 di principio attivo, non è di per sé ostativa alla qualificazione della lieve entità del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990, configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, nonché di guadagni limitati, e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita".
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto accolto il ricorso dell'imputato, qualificando il fatto contestato come di lieve entità ex art. 73, comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990.