La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 27727, pronunciata all'udienza del 12 maggio 2023 (deposito motivazioni in data 26 giugno 2023), ha preso in esame la questione se costituisca un vizio di composizione del collegio giudicante della Corte d'Assise la circostanza che sia in esso compreso un giudice popolare che nel corso dell'istruzione dibattimentale abbia superato il sessantacinquesimo anno di età.
Il fatto.
Il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo proponeva ricorso avverso la pronuncia con cui la Corte di Assise d'appello di Palermo aveva annullato la sentenza della Corte di Assise di primo grado, che aveva condannato un imputato alla pena dell'ergastolo ed un altro alla pena di venticinque anni di reclusione per i reati di omicidio e porto illegale di un'arma da fuoco.
La Corte di Assise d'appello, sollecitata dalle difese degli imputati, aveva rilevato un vizio di composizione del collegio giudicante di primo grado, avendo partecipato al processo un giudice popolare che, nel corso dell'istruzione dibattimentale, aveva superato il sessantacinquesimo anno di età, con conseguente integrazione di una nullità assoluta ed insanabile ex art. 178, comma 1, lett. a) c.p.p..
I giudici d'appello, ripercorsi gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità in ordine a tale questione, avevano rilevato come, secondo l'uniforme indirizzo ermeneutico, l'età del giudice popolare, fissata nel limite minimo di trent'anni e in quello massimo di sessantacinque anni, ai sensi dell'art. 9 della Legge 10 aprile 1951, n. 287 e successive modifiche, fosse ritenuta un requisito di capacità giuridica allo svolgimento della funzione giudicante, prescritto, come tale, non soltanto per l'acquisto della capacità generica di esercizio della funzione, ma anche al fine della capacità specifica che investe la costituzione del giudice nel singolo processo.
Da ciò derivava, secondo i giudici palermitani, come la perdita di tale requisito anagrafico operasse ex lege, impedendo, automaticamente, l'ulteriore espletamento delle funzioni giudiziarie da parte del soggetto la cui età avesse oltrepassato tale soglia; era, infatti, da considerarsi inammissibile una sorta di prorogatio, oltre i termini di legge, delle condizioni di capacità del giudice popolare, analogamente a quanto previsto per i giudici togati al raggiungimento dell'età massima di settanta anni.
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Tramite il proprio ricorso, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo sosteneva come l'analisi sistematica della L. n. 287/1951 consentisse di escludere la necessità della sussistenza del requisito anagrafico del giudice popolare fino al momento della decisione del processo cui il medesimo partecipi. L'art. 13 di tale legge, disciplinante le modalità di "formazione degli elenchi comunali dei giudici popolari" prevede, infatti, che in tali elenchi siano inseriti i cittadini residenti nel territorio del Comune "in possesso dei requisiti indicati nell'art. 9 della legge per l'esercizio delle funzioni di giudice popolare". A sua volta, l'art. 33, avente ad oggetto la fase immediatamente successiva all'estrazione, prevede, al comma 3, che nelle estrazioni non si computino, o si abbiano per non estratti, i nomi di coloro i quali risultino di età superiore ai 65 anni. Secondo il Procuratore Generale, pertanto, la lettura sistematica doveva intendersi nel senso della necessaria sussistenza del requisito anagrafico in capo al giudice popolare sino al momento della estrazione del nominativo dagli elenchi, ovvero sino al momento in cui egli venga designato per partecipare alla sessione di Assise.
Inoltre, il Procuratore osservava come estendere la necessaria sussistenza del requisito sino al momento della sentenza sarebbe stato infondato sul piano sia logico sia giuridico. In primo luogo, non vi è, infatti, alcuna norma che preveda il limite massimo di età per partecipare alla decisione: l'art. 26 della L. n. 287 del 1951 espressamente prevede che: "i giudici popolari chiamati a prestare servizio esercitano le loro funzioni in tutte le cause della sessione", senza indicare alcuno sbarramento per i giudici che, nelle more della sessione, superino il limite di età. Secondo tale disposizione, le uniche ipotesi legittimanti la sostituzione del giudice popolare con un giudice supplente sono tassativamente costituite dalle ipotesi dell'impedimento, dell'astensione e della ricusazione del giudice, mentre nessun riferimento viene operato al requisito anagrafico.
Il Procuratore generale evidenziava, infine, come, anche alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, dovesse giungersi al medesimo risultato, stanti i parametri costituzionali costituiti dall'art. 25 Cost., il quale sancisce il principio del giudice naturale precostituito dalla Legge, e dall'art. 97, comma 2 Cost., che attiene al buon andamento e all'imparzialità dell'amministrazione; tali criteri sarebbero, infatti, irrimediabilmente pregiudicati qualora insorgesse la necessità di sostituire un giudice popolare per raggiunti limiti di età nel corso di processi lunghi e laboriosi, quali ad esempio, i maxi-processi per fatti di criminalità organizzata. Il Procuratore generale sollecitava, pertanto, l'interpello di costituzionalità, nel caso in cui non si fosse aderito alla predetta ricostruzione normativa, attesa la rilevanza della questione nel caso di specie, ove l'intralcio alla corretta amministrazione della giustizia era rappresentato dalla circostanza che il giudice popolare che aveva oltrepassato, in itinere, il requisito anagrafico era l'ultimo giudice supplente residuato, con conseguente impossibilità di sostituirlo tempestivamente.
La decisione della Corte.
Il sistema normativo concernente i giudici popolari delle Corti di Assise.
La Corte di Cassazione ha in primis rilevato come l'assetto normativo emergente dalla Legge 10 aprile 1951, n. 287 e successive modifiche ("Riordinamento dei giudizi di Assise") indichi, all'art. 9, i requisiti dei giudici popolari delle Corti di Assise, richiedendo: a) cittadinanza italiana e godimento dei diritti civili e politici; b) buona condotta morale; c) età non inferiore ai 30 e non superiore ai 65 anni; d) titolo finale di studi di scuola media di primo grado, di qualsiasi tipo (per le Corti di Assise di appello, è invece richiesto il diploma di scuola media di secondo grado, ai sensi dell'art. 10). L'art. 13, a sua volta, disciplina la formazione degli elenchi comunali dei giudici popolari, prevedendo due distinti elenchi dei cittadini residenti nel territorio del Comune, in possesso dei requisiti indicati rispettivamente negli artt. 9 e 10. L'art. 26 - rubricato "Servizio dei giudici popolari, loro integrazione e sostituzione" - prescrive che "I giudici popolari chiamati a prestare servizio esercitano le loro funzioni in tutte le cause della sessione, salvo che esistano motivi di impedimento, di astensione o di ricusazione.". L'art. 33, comma 3, infine, prevede che nelle estrazioni non si computano, o si hanno per non estratti, i nomi di coloro che risultino, da sentenza passata in giudicato, non più in possesso dei requisiti prescritti dall'art. 9, oppure risultino, in base a certificato della competente autorità, non più cittadini italiani o di età superiore ai 65 anni.
Ciò premesso, i giudici di legittimità hanno osservato come da tale rassegna normativa sia possibile trarre una prima indicazione, ossia la necessità che il requisito anagrafico - età non inferiore a 30 anni o non superiore a 65 anni - sia esistente all'atto della formazione degli elenchi dei cittadini residenti nel comune interessato, e perduri - in relazione al limite massimo di età - al momento dell'estrazione dei nominativi di coloro che effettivamente dovranno comporre le giurie popolari chiamate a trattare le cause della sessione. Ciò, in quanto la sessione costituisce l'orizzonte che il legislatore ha posto in evidenza come limite cronologico del servizio del giudice popolare, esentandolo soltanto qualora esistano motivi di impedimento, di astensione o di ricusazione; nell'ambito di tali motivi di esenzione dal servizio non figura, invece, anche il superamento del limite di età, dovendosi individuare i motivi di impedimento in ragioni di carattere eccezionale, costituite, ad esempio, da motivi di salute o da necessità impeditive inevitabili, che impongono la rinuncia al servizio di giudice popolare. Tale rinuncia deve essere autorizzata dal Presidente della Corte di Assise, ai sensi dell'art. 25, commi 4 e 5, L. n. 287 del 1951.
Da tale inquadramento, ha aggiunto il Collegio, deriva che il requisito anagrafico rileva ai fini dell'acquisto della qualità di giudice, deve sussistere al momento in cui il nominativo è inserito nelle liste comunali e perdurare all'atto dell'estrazione dei nominativi dei componenti della giuria, essendo questo il momento ultimo in cui va verificata l'età del giudice popolare, come emerge dalla lettura dell'art. 33, ove si prevede l'espulsione dei nominativi di coloro che abbiano superato 65 anni.
La legge di riordino dei giudizi di Assise non detta, invece, alcuna disposizione espressa per il caso in cui il giudice popolare perda taluno dei requisiti di legge nel corso del processo. In particolare, per quanto concerne il superamento dell'età massima, nulla è previsto neppure dai lavori parlamentari, leggendosi, invece, nella dichiarazione del deputato relatore di maggioranza della Legge: "E' evidente che il requisito dell'età si riferisce al momento in cui deve essere costituito il collegio; e quindi, se in quel momento una persona ha superato il 65 anno di età, egli non potrà fare parte del collegio". Tale affermazione, ha rilevato la Suprema Corte, non fa che ribadire che il requisito anagrafico va verificato al momento iniziale del servizio, con sbarramento che la legge ha poi specificato essere quello dell'estrazione dei nominativi.
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L'elaborazione giurisprudenziale in tema di perdita dei requisiti di legge da parte del giudice popolare.
I giudici di legittimità hanno quindi osservato come la tematica della perdita dei requisiti di legge da parte del giudice popolare sia stata, pertanto, affidata all'elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria.
Nell'ambito della produzione giurisprudenziale, si sono infatti registrate, in passato, alcune pronunce che hanno indicato il superamento dell'età massima come motivo di perdita della capacità di esercizio della funzione giurisdizionale nel corso del processo; le medesime, secondo il Collegio, devono, tuttavia, essere consapevolmente disattese, trattandosi di pronunce risalenti, e non sempre perfettamente ritagliate sulla specifica tematica del requisito anagrafico.
La prima di tali sentenze è costituita da Sez. 1, n. 7971 del 28/05/1984, Lollo, la quale - nell'occuparsi del problema delle condizioni psichiche o fisiche del giudice popolare sino al momento della sua eventuale sostituzione - illustrò la distinzione tra capacità di acquisto della qualità di giudice e capacità di esercizio della funzione giurisdizionale, precisando, sul punto:
"A tenore degli artt. 9 e 10 della L. 10 aprile 1951 n. 287, sul riordinamento dei giudizi di assise, la capacità di acquisto della qualità di giudice popolare postula la sussistenza di taluni requisiti positivi - quali la cittadinanza italiana, il godimento dei diritti civili e politici, la buona condotta morale, l'età, il titolo di studio - e di altri negativi, consistenti nell'assenza di talune cause di incompatibilità previste dall'art. 12 della stessa legge. Per l'esercizio in concreto della funzione di giudice popolare si richiedono altresì la capacità generica di esercizio - la quale si consegue mediante l'iscrizione nell'apposito albo formato da una speciale Commissione esistente presso ogni Comune - nonché la capacità specifica di esercizio, che si acquista mediante l'estrazione a sorte ed il giuramento. Da tali premesse conseguono i seguenti principi:
1) che la legittimazione del giudice popolare all'esercizio della funzione giurisdizionale diviene operante dopo il conseguimento, da parte del soggetto, delle anzidette capacità di acquisto e di esercizio;
2) che i requisiti per l'esercizio in concreto della funzione di giudice popolare devono sussistere non solo nel momento in cui il soggetto è incluso nell'elenco dei giudici popolari, ma soprattutto quando egli è chiamato ad assolvere il suo dovere di giudice;
3) che, alla stregua della legislazione vigente, non è previsto oltre ai requisiti necessari per la capacità di acquisto e di esercizio della funzione giurisdizionale, anche l'accertamento psicofisico del giudice popolare;
4) che, infine, quest'ultimo esercita validamente le sue funzioni sino a quando non interviene una sentenza o altro provvedimento, che comporti la perdita di taluno dei requisiti indispensabili per l'esercizio della funzione giurisdizionale.".
La Corte di Cassazione, nell'esaminare tale pronuncia, ha osservato come la medesima enuclei, dunque, principi specifici, ancorando la necessità che sussistano i requisiti di legge allorché il giudice popolare "è chiamato ad assolvere il suo dovere di giudice", ciò, tuttavia, non implicando automaticamente la perdita di tale qualità in medias res; nonché richiedendo che la perdita di tali requisiti sia certificata da un espresso provvedimento o sentenza, fino alla cui emanazione il giudice popolare esercita validamente le proprie funzioni.
Una seconda sentenza espressasi su tale materia è rappresentata da Sez. 1, n. 5284 del 23/3/1998, Lacosta, la quale, in realtà, si focalizzava sul caso di un giudice popolare dispensato dal servizio nel corso del processo, per il fatto di aver dichiarato di volersi astenere, in quanto legato da rapporti di amicizia con il padre della vittima dell'omicidio che si stava giudicando. In tale fattispecie, il Presidente della Corte di Assise non aveva adottato il provvedimento di cui all'art. 31 L. 10 aprile 1951 n. 287 relativo all'astensione, ma quello di dispensa, motivato, in via esclusiva, con il rilievo che quel giudice avrebbe sicuramente compiuto 65 anni prima del ragionevole e prevedibile termine del procedimento, così superando il limite di età indicato dalla citata legge. In motivazione, tale pronuncia, nel rigettare il ricorso che aveva eccepito la nullità dell'ordinanza con la quale il Presidente della Corte di Assise aveva disposto la sostituzione di quel giudice popolare, aveva enunciato il seguente principio:
"Il requisito dell'età, al pari delle altre condizioni di capacità dei giudici popolari, deve sussistere sino al momento della definizione del processo, e non può essere inteso come riferito esclusivamente al momento della iscrizione negli albi comunali o, al massimo, fino al successivo momento della estrazione per la formazione del collegio".
La medesima sentenza aveva, inoltre, ritenuto che, essendo entrambi i provvedimenti - quello sull'astensione - nella specie da accogliere - e quello sulla dispensa, esattamente adottato - finalizzati a garantire il corretto svolgimento del procedimento, previa sostituzione del titolare con il supplente, fosse da escludere qualsiasi nullità del genere di quella invocata con il ricorso.
Ciò posto, la Corte di Cassazione, ha affermato, con riguardo a tale seconda pronuncia come, a ben vedere, il principio massimato debba intendersi come un obiter dictum nell'ambito di una valutazione che in sede di cognizione era stata primariamente incentrata sulla situazione dedotta a motivo di astensione.
Infine, nel corso dell'elaborazione giurisprudenziale, era tornata sull'argomento in questione la sentenza di Sez. 1, n. 14209 del 20/3/2002, Centorrino, che si era, tuttavia, limitata a recepire il principio massimato senza altre elaborazioni; ulteriori, successive pronunce si erano occupate, in generale, della sorte delle sentenze deliberate da giudici che avevano perso i requisiti di legge nell'intervallo tra la deliberazione della decisione e la redazione delle motivazioni; esse avevano, tuttavia, ritenuto irrilevante tale situazione, essendo sufficiente che la capacità di svolgere la funzione giurisdizionale esistesse all'atto della deliberazione (Sez. 5, n. 4730 del 16/03/2000, Semeria, per il caso di un vicepretore onorario; Sez. 5, n, 17795 del 02/03/2017, S.; Sez. 3, n. 4692 del 12/09/2019, dep. 2020, Adami).
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Il Collegio ha, inoltre, affermato di non condividere l'argomento che deduce l'immediata perdita di capacità giurisdizionale del giudice popolare dalla parificazione con il giudice professionale, il quale è posto in quiescenza al compimento del 70 anno di età. Sul punto, si sono infatti rilevati vari profili convergenti nel distinguere le due situazioni: in primo luogo, il giudice togato o professionale è legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto organico di servizio che si dipana dalla nomina a seguito di concorso pubblico fino al pensionamento, laddove il giudice popolare viene invece estratto a sorte e abilitato alla trattazione di processi incardinati nel solo trimestre della sessione di competenza, al cui esito egli cessa di esercitare la funzione così conferitagli. Inoltre, si è osservato, i requisiti richiesti per lo svolgimento di tale incarico pubblico sono eterogenei, proprio al fine di aderire alla ratio che aveva ispirato il sistema delle Corti di Assise, con l'inserimento di giudici non professionali nei collegi giudicanti dei fatti di rilievo penale maggiormente involgenti la sensibilità del popolo - giudici che non hanno competenze specifiche in materie giuridiche e sono essenzialmente temporanei, rendendo il loro servizio esclusivamente durante il periodo trimestrale della sessione in cui sono stati sorteggiati, salvo prolungamenti dovuti alla durata del singolo processo, come prevede l'art. 7, comma 1 della predetta legge; essi sono inoltre, in un certo qual modo, occasionali, non potendo essere sorteggiati una seconda volta prima di un determinato periodo (l'art. 32 L. n. 287 del 1951 prevede, infatti, che i giudici popolari che hanno prestato servizio in una sessione d'assise non possono essere chiamati ad esercitare le loro funzioni nelle sessioni della rimanente parte del biennio). Tali differenze strutturali e funzionali depongono pertanto, ha rilevato la Suprema Corte, nel senso di un'impossibile parificazione delle situazioni.
All'esito di tale rassegna, ha quindi concluso la Corte, può ritenersi come la mancanza di disciplina specifica per il caso di perdita del requisito anagrafico durante il processo da parte del giudice popolare autorizzi l'interpretazione per cui detto requisito debba esistere al momento dell'accesso alla funzione - specificamente, all'atto del giuramento che consacra l'assunzione dell'ufficio secondo la formula enunciata nell'art. 30 della Legge 10 aprile 1951, n. 287 - fino al completamento del processo nel cui corso il giudice popolare abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età. Eventuali esclusioni anticipate dall'ufficio di giudici popolari estratti prima del compimento di tale età, si è infatti osservato, alla luce della previsione di prolungamento dei processi oltre tale momento, non sarebbero giustificate dalla lettera della legge; così come non potrebbe darsi luogo all'immissione nell'ufficio di una persona il cui nominativo fosse stato estratto il giorno prima del compimento del 30 anno di età.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha, pertanto annullato con rinvio la sentenza della Corte d'Assise di Palermo, al fine di consentire lo svolgimento del processo di appello, non essendosi verificata alcuna nullità della sentenza di primo grado.