La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2399, pronunciata all'udienza del 04.12.2024 (deposito motivazioni in data 21.01.2025), ha preso in esame il tema concernente la responsabilità del medico specializzando.
Il fatto.
Un'imputata, medico specializzando in otorinolaringoiatria, proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Firenze ne aveva confermato la penale responsabilità, in ordine al reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1 e 2 c.p., unitamente al primario ed ad un dirigente medico dell'Unità operativa complessa di chirurgia maxillo facciale di un Policlinico Universitario. All'imputata ed al primario era stato contestato di aver omesso di verificare la corretta tenuta del conto dei corpi estranei all'interno del setto nasale durante il ricovero di un paziente, vittima di un grave incidente che gli aveva provocato fratture facciali multiple. Al dirigente medico era, invece, addebitato, di aver trascurato, durante una visita di controllo tenutasi dopo le dimissioni, le risultanze della TC del massiccio facciale e di disporre gli opportuni approfondimenti nonostante la sintomatologia del paziente.
Nella fattispecie, il paziente, dopo una diagnosi di politrauma da ribaltamento e contusioni multiple, era stato sottoposto in pronto soccorso ad un tamponamento nasale bilaterale. Trasferito nel reparto rianimazione del medesimo ospedale, era stato tracheotomizzato, ed il giorno successivo sottoposto ad un intervento di riduzione aperta di fratture facciali e mandibolari con equipe medica composta dal responsabile dell'U.O.C. di chirurgia maxillofacciale e da altri sanitari. All'esito dell'intervento, al fine di contenere il copioso sanguinamento prodottosi nelle cavità nasali, era stato applicato al paziente un ulteriore tamponamento nasale bilaterale, che andava ad aggiungersi al precedente applicato in pronto soccorso. Era stata, quindi, richiesta dall'endoscopista una consulenza maxillofacciale per ottenere il nulla osta all'inserimento di un sondino naso-gastrico, ed il primario, dopo avere provveduto alla rimozione del tampone nasale che egli stesso aveva inserito nel vestibolo destro della narice del paziente, aveva dato il nulla osta al posizionamento del sondino, stante l'errata convinzione che nessun altro tampone fosse ivi presente. Nella cartella clinica egli aveva annotato la dicitura: "si rimuove tampona", ed il giorno successivo l'endoscopista - dopo avere annotato in cartella: "presenza in ipofaringe di tampone per tamponamento nasale posteriore"-, aveva provveduto a posizionare il sondino naso-gastrico nella narice destra del paziente. Successivamente, l'imputata aveva rimosso dalla cavità nasale sinistra dell'uomo due tamponi Merocel, annotando in cartella: "si rimuove tamponamento nasale sinistro. Il tamponamento destro è già stato rimosso". Secondo i giudici del merito, l'effetto combinato delle condotte del primario e del medico specializzando aveva cagionato la perdurante collocazione nella cavità nasale destra del paziente di un corpo estraneo ben oltre il termine di cinque giorni dal suo posizionamento, con l'ulteriore effetto di averne favorito la persistente permanenza all'atto delle dimissioni; ciò aveva provocato alla persona offesa una persistente flogosi cronica rinosinusitica destra, con ulteriore complicanze, essendo stato rimosso il tampone ancora posizionato nella narice destra soltanto otto mesi dopo le dimissioni, in occasione di una visita presso altro ospedale.
Tramite i propri motivi di ricorso, l'imputata lamentava la manifesta illogicità della motivazione. La sentenza impugnata aveva infatti riconosciuto quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, ossia che l'annotazione inserita nella cartella clinica da parte del primario fosse tale da far supporre che la narice fosse libera; i giudici di merito avevano, infatti, testualmente ammesso che tale annotazione fosse fuorviante e incompleta, lasciando supporre che nella narice destra non vi fosse più alcun tampone. Ciononostante, avevano statuito che l'annotazione dell'endoscopista fosse indicativa della presenza di un tampone residuo nella fossa nasale destra, e ciò in contraddizione con le conclusioni cui erano pervenuti tutti i consulenti intervenuti nel corso delle indagini e del giudizio di primo grado. Tutti gli elementi raccolti in giudizio deponevano invece, secondo la difesa dell'imputata, nel senso che, al momento della visita dell'endoscopista, era stata evidenziata solo la presenza del tampone nasale a sinistra, effettivamente e correttamente rimosso dall'imputata. La Corte territoriale non aveva correttamente applicato il principio di affidamento, che trova il proprio temperamento solo nella evidenza dell'errore del sanitario intervenuto anteriormente, errore di gravità tale da essere rilevabile con l'uso della ordinaria diligenza. Nel caso di specie, occorreva tenere conto del fatto che la persona offesa era reduce da un delicato e difficile intervento chirurgico, eseguito in un reparto diverso da quello ove operava l'imputata; al momento in cui si era trovata ad intervenire, la stessa non poteva che consultare la cartella clinica proveniente dal reparto di chirurgia maxillo facciale, redatta dal primario. Avendo la Corte territoriale riconosciuto che dalle annotazioni ivi contenute fosse possibile giungere ad una sola conclusione, e cioè che la fossa nasale destra fosse libera da ogni tampone, erano, pertanto, del tutto contraddittorie le considerazioni dei giudici di merito secondo cui il medico specializzando avrebbe dovuto dare seguito ad ulteriori approfondimenti, non essendovi motivo alcuno per dubitare dell'operato dei colleghi che l'avevano preceduta, in assenza di segnali di equivocità o errori evidenti nella cartella clinica del paziente, il quale, per di più, era sedato e non cooperante. Ancora, non vi era motivo alcuno per dubitare circa la presenza di un corpo estraneo nella fossa nasale destra, stante l'apposizione del sondino naso gastrico, che viene posizionato solo in caso di fossa nasale libera. I giudici di merito avevano compiuto evidenti valutazioni ex post, quando l'errore sulla vicenda era ormai emerso. Ancora, secondo l'imputata era altresì contraddittorio ritenere censurabile solo la propria condotta rispetto a quella di tutti gli altri sanitari intervenuti nel corso della vicenda, non corrispondendo al vero quanto affermato nella sentenza impugnata, ossia che la ricorrente avesse trattato il paziente con superficialità: la stessa, in assenza di motivazioni evidenti e gravi, non avrebbe avuto motivo di rimuovere il sondino, necessario per l'alimentazione del paziente sedato. Era inoltre illogica l'argomentazione circa l'estrema facilità della rilevazione del tampone da parte di altro sanitario, che si era avvalso dell'ausilio della Tac, ed era intervenuto su paziente cooperante che riferiva una sintomatologia; parimenti illogico era da considerarsi il giudizio di irrilevanza dell'operato degli infermieri, che avevano inutilmente cercato di inserire il sondino senza guide ottiche, e dell'endoscopista che, posizionando il sondino, aveva reso difficilmente esplorabile la parte profonda della narice destra.
Sotto il profilo istruttorio, l'imputata riteneva, inoltre, fondamentale l'approfondimento di quanto accaduto nell'occasione in cui il personale infermieristico aveva invano tentato di inserire il sondino naso gastrico, nonché sull'operato dello stesso endoscopista, che aveva provveduto invece all'inserimento, al fine di stabilire in che misura e in che modo detta condotta avesse impattato sull'agire dei sanitari intervenuti successivamente. Inoltre, la Corte territoriale aveva trascurato di considerare che il tampone, secondo quanto affermato dal medico che lo aveva estratto, era posizionato molto profondamente e che ciò, unitamente alla apposizione del sondino naso gastrico, aveva impedito all'imputata sia di sospettare che, dato l'inserimento del sondino, vi fosse un tampone, sia di accorgersi della presenza del tampone medesimo.
La decisione.
La Suprema Corte ha in primis ribadito, in materia di pluralità di garanti e di cooperazione multidisciplinare, i consolidati principi per cui:
- nelle ipotesi di assunzione di posizioni di garanzia e successione di più garanti nella gestione dei pazienti, ciascun garante risponde del rispettivo comportamento doveroso omesso;
- nel caso di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico;
- ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio;
- persiste infatti la responsabilità di tutti i garanti in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l'abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata.
Ciò premesso, i giudici di legittimità hanno, innanzitutto, osservato come nel caso di specie l'imputata abbia certamente instaurato una relazione terapeutica con il paziente ed assunto, quindi, una posizione di garanzia, essendo accertato ed incontestato che la medesima, quale medico specializzando in otorinolaringoiatria, sia intervenuta sul paziente a seguito dell'intervento di chirurgia maxillo facciale eseguito dall'equipe del primario coimputato e dell'apposizione del sondino naso gastrico da parte dell'endoscopista.
Il Collegio, a fronte dei predetti dicta giurisprudenziali, ha, quindi, ritenuto non invocabile, da parte dell'imputata, il principio dell'affidamento, come già affermato dai giudici di merito. Non può infatti parlarsi di affidamento, si è osservato, quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento (Sez. 4 n. 692 del 14/11/2013, Russo; Sez. 4, n. 50038 del 10/10/2017, De Fina). Tale principio, si è inoltre rilevato, opera anche in riferimento all'affidamento sull'operato di chi precede nella posizione di garanzia (come affermato da Sez. 4, n. 40789 del 26/06/2008, Verani, in un caso in cui è stato ritenuto negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell'intervento il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto, e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all'operazione senza aver prima proceduto al riscontro della diagnosi).
Nel caso di specie, si è rilevato, l'imputata era stata chiamata a rimuovere le tamponature del naso; proprio l'imprecisione letterale contenuta nella cartella clinica ("si rimuove tampona") avrebbe dovuto imporre, secondo elementari regole prudenziali, di esplorare in situ quale fosse l'effettiva condizione di tamponamento. Ciò non era stato fatto, tuttavia, dal medico specializzando, come attestato dalla presenza del tampone nella narice di destra, nonché dalla rappresentazione in cartella, giudicata dalla Corte improvvida e ingannevole, effettuata dall'imputata circa l'assenza di tamponi nella narice destra; tale annotazione era stata conseguenza della colpevole mancata esplorazione, e comunque dal mancato approfondimento della situazione del paziente. L'imputata, infatti, senza porsi alcun dubbio, aveva provveduto ad aggiungere, nella cartella clinica del paziente, la dicitura: "si rimuove tamponamento nasale sinistro (due Merocel). Il tampone destro è già stato rimosso", così attestando apoditticamente un dato clinico che si presentava quanto meno equivoco e poco chiaro. Pertanto, ha ribadito il Collegio, il principio di affidamento non può trovare applicazione, poiché la superficialità dell'annotazione del precedente sanitario avrebbe dovuto imporre quel dovere di verifica che non era stato, invece, esercitato, impedendo di invocare l'esclusione della responsabilità. Inoltre, vi era stata la segnalazione dell'endoscopista ("presenza in ipofaringe di tampone per posizionamento nasale posteriore"), la quale, a sua volta, avrebbe dovuto far dubitare il medico specializzando.
La Corte ha ritenuto altresì non dirimente l'imprecisione dell'annotazione dell'endoscopista, riferita alla rilevazione di materiale da tamponamento in "ipofaringe", e cioè quasi in laringe, anziché in "rinofaringe". Una palese imprecisione circa la localizzazione di un materiale da tamponamento, la cui presenza era stata comunque registrata ed annotata dal sanitario precedentemente intervenuto sul paziente, non consentiva, infatti, di affermare con assoluta certezza la circostanza che tutto il materiale da tamponamento nella fossa nasale destra fosse stato già rimosso, stante anche l'obiettiva lacunosità della annotazione del primario "si rimuove tampona". Al contrario, hanno aggiunto i giudici di legittimità, la successiva erronea indicazione "ipofaringe", anziché "rinofaringe", avrebbe dovuto suggerire l'opportunità di ulteriori accertamenti: la presenza di materiale di tamponamento in "ipofaringe" avrebbe denotato, infatti, uno stato di urgenza, impedendo la respirazione. Si trattava, dunque, si è osservato, di un'ulteriore imprecisione, che avrebbe dovuto condurre all'approfondimento del quadro clinico del paziente, se del caso anche evidenziando la difficoltà di compiere un'ispezione della fossa nasale destra in presenza del sondino naso gastrico. La Corte ha quindi ritenuto logico e coerente il ragionamento dei giudici di merito, secondo cui non si poteva ragionevolmente sostenere che l'annotazione dell'endoscopista si riferisse apoditticamente alla fossa nasale sinistra, posto che l'intervento di quest'ultimo aveva riguardato l'apposizione del sondino all'interno della narice destra: l'operato e le conseguenti rilevazioni non potevano, quindi, che indirizzarsi verso la parte anatomica ove egli aveva operato.
Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha pertanto ritenuto come l'imputata, anche nella qualità di medico specializzando, avesse il dovere di accertarsi della reale situazione della fossa nasale destra, proprio in ragione dell'evidente contraddittorietà e lacunosità delle annotazioni dei sanitari precedentemente intervenuti sul paziente, rilevabili oggettivamente in base ad una semplice lettura. Le predette annotazioni, largamente imprecise, avrebbero, infatti, dovuto suggerire alla stessa di effettuare un doveroso approfondimento, essendo ella in possesso delle ordinarie nozioni di scienza medica acquisibili con la laurea in medicina e per di più, in ragione del corso di studi (specializzazione in otorinolaringoiatria), aveva approfondito la struttura e le patologie dell'apparato del naso, gola e orecchie.
Con riguardo alla responsabilità del medico specializzando, i giudici di legittimità hanno quindi richiamato i principi espressi, sul punto, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il concreto e personale espletamento di attività da parte dello specializzando comporta pur sempre l'assunzione diretta, da parte sua, della posizione di garanzia nei confronti del paziente, condivisa con quella che fa capo a chi le direttive impartisce, secondo i rispettivi ambiti di pertinenza e di incidenza (cd. colpa per assunzione). Anche sullo specializzando incombe, infatti, l'obbligo di osservanza delle "leges artis" che hanno come fine la prevenzione del rischio non consentito (Sez. 4, n. 32901 del 20/01/2004, Marandola; Sez. 4, n. 32424 del 10/07/2008, Sforzini), fermo restando che la sua responsabilità dovrà in concreto essere valutata in rapporto anche allo stadio nel quale al momento del fatto si trovava l'iter formativo (Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009, Pappadà).
Con riferimento alla casistica riguardante errori ed omissioni compiuti dai medici specializzandi, ha aggiunto la Corte, è stata esclusa la prevedibilità di un evento infausto da parte di un semplice medico specializzando sprovvisto delle nozioni che avrebbe potuto avere un medico di provata esperienza e specializzazione (Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia) ed è stata al contrario affermata la possibilità, per un medico in fase ormai finale del corso di specializzazione, di rendersi conto dei possibili effetti infausti di un dosaggio errato (Sez. 4 - , n. 20270 del 06/03/2019, Palmeri).
Più in generale, il Collegio ha ribadito, al riguardo, la perdurante validità del parametro dell'agente modello, basato sulla pluriennale elaborazione della giurisprudenza di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn) secondo cui, ai fini della imputazione soggettiva dell'evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento.
Nel caso di specie, ha pertanto concluso la Corte, in ragione della manifesta grossolanità e imprecisione nella compilazione della cartella posta all'attenzione dell'imputata e della presenza, segnalata dall'endoscopista, di "tampone in ipofaringe", il livello di nozioni posseduto dall'imputata avrebbe senz'altro consentito a quest'ultima di uniformarsi alla regola di diligenza consistente nell'approfondire la reale situazione, prima di annotare, del tutto superficialmente e frettolosamente, che il tampone nella narice destra era già stato rimosso.
Ciò posto, il Collegio ha pertanto rigettato le doglianze della ricorrente, con le quali si lamentava l'illogicità della motivazione, per l'asserita impossibilità, da parte della stessa, di dedurre la presenza di materiale da tamponamento, poiché era stato apposto il sondino nasogastrico, essendo stato lo stesso endoscopista, che aveva posizionato il sondino, ad annotare la presenza del materiale di tamponamento. E' stato, inoltre, ritenuto, parimenti, irrilevante, ai fini della esclusione di colpa, la dedotta impossibilità di ispezionare la fossa nasale per la presenza del sondino, in quanto la negligenza dell'imputata non era consistita solo nell'aver omesso di ispezionare la fossa nasale, ma anche nell'aver frettolosamente e superficialmente dedotto e scritto in cartella che il tampone nella narice destra fosse già stato rimosso, senza alcuna ulteriore indagine o approfondimento, nonostante le contrastanti ed equivoche precedenti annotazioni, che non avrebbero consentito una tale conclusione.
Infine, la Suprema Corte ha ritenuto, altresì, infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale il medico specializzando aveva lamentato vizio di motivazione in ordine al rigetto della istanza di rinnovazione istruttoria riguardante l'operato del personale infermieristico che aveva provato a inserire il sondino, nonché l'operato dell'endoscopista che lo aveva poi inserito. L'accertamento di una eventuale pregressa negligenza compiuta dai sanitari intervenuti antecedentemente alla ricorrente nella gestione del caso (consistita nell'aver inserito il sondino senza eliminare il tampone nella narice destra) non esclude infatti, si è osservato, la rilevata condotta colposa dell'imputata, alla luce dei sopra menzionati principi in materia di affidamento, e della concreta e indiscussa possibilità, in capo alla stessa, di rilevare - in base al bagaglio professionale posseduto - anomalie suscettibili di approfondimento, come emergenti dalle equivoche e imprecise annotazioni nelle cartelle cliniche.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto confermato la respnsabilità dell'imputata, seppur ai soli effetti civili, stante l'intervenuta prescrizione.