sabato 25 gennaio 2025

Le criptovalute non sono considerabili quale moneta avente corso legale nello Stato italiano ai fini del sequestro.

 La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 1760, pronunciata all'udienza del 20.11.2024 (deposito motivazioni in data 15.01.2025), ha preso in esame la questione se le criptovalute, quali i bitcoin, possano essere considerate alla stregua di moneta avente corso legale nello Stato italiano ai fini del sequestro probatorio.

Il fatto.

Una persona sottoposta ad indagini per il reato di cui all'art. 4 D.Lgs. 74/00 proponeva ricorso avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Firenze aveva rigettato il riesame cautelare da egli proposto, confermando il decreto di convalida del sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, avente ad oggetto una somma di denaro pari ad Euro 120.638,20, quale controvalore, al momento del trasferimento in Euro, di 1,88805294 Bitcoin, corrispettivo di imposte evase dal ricorrente rispetto ad una plusvalenza, derivante da operazioni di trading di criptovalute, quantificata in Euro 463.993,06.

Tramite i propri motivi di ricorso, l'indagato lamentava la violazione dell'art. 325 comma 1 c.p.p., per avere il Tribunale del riesame confermato il decreto di convalida del sequestro ex art. 355 c.p.p., attribuendo illegittimamente alla valuta virtuale la natura di profitto di un reato tributario. Il sequestro della valuta virtuale era stato, infatti, operato, e poi convalidato, in quanto ritenuto il profitto del reato di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, per il quale il ricorrente risultava indagato. Osservava, sul punto, la difesa che, rappresentando l'ammontare dell'imposta evasa il profitto del reato, ed essendo l'elemento fondamentale su cui si fonda il costrutto normativo del predetto reato tributario, l'attività di sequestro probatorio, per essere legittima, avrebbe dovuto avere ad oggetto esclusivamente l'ammontare dell'imposta che si considerava evasa, e cioè, nel caso di specie, la somma di Euro 120.638,20.

Nel caso in esame, invece, il sequestro probatorio - eseguito, di fatto, per equivalente - aveva avuto illegittimamente per oggetto un asset rappresentato da valuta virtuale bitcoin, al posto dell'ammontare in Euro dell'imposta ritenuta evasa.

L'indagato rilevava, inoltre, come le valute virtuali, tra cui i bitcoin, fossero qualificabili come una rappresentazione di valore non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata ad una valuta legalmente istituita e priva dello status giuridico di valuta o moneta. Essa è, infatti, accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio, e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente; la medesima è pertanto definibile come un asset digitale non assimilabile alla valuta corrente di uno Stato. Pertanto, nel caso di specie, la criptovaluta era stata considerata illegittimamente al pari dell'unica moneta avente corso legale all'interno dello Stato italiano, cioè l'Euro, senza attribuire alcun rilievo al fatto, di non secondaria importanza, per cui il controvalore in Euro dei bitcoin è soggetto a continue fluttuazioni.

La decisione.

I giudici di legittimità hanno dapprima rilevato come sul concetto di moneta virtuale si sia espressa la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte, con la Sentenza n. 44378 del 26/10/2022, Melis; in tale pronuncia si è precisato che, nella direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d. IV direttiva antiriciclaggio), la criptovaluta viene definita come: "una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente"; la ratio della norma, ha osservato la Corte, vuole evidentemente disciplinare i rapporti tra moneta virtuale e moneta corrente, senza, tuttavia, correttamente definire il fenomeno, ma limitandosi a determinare "in negativo" le caratteristiche della moneta virtuale. Il considerando n. 10 della Dir. antiriciclaggio afferma, invece, che: "sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online. L'obiettivo della presente direttiva è coprire tutti i possibili usi delle valute virtuali".

Il legislatore italiano ha accolto, sostanzialmente, tale definizione nell'art. 1 del D.Lgs. 231/2007, come modificato dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 dove la moneta virtuale viene definita (lett. qq) come: "la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente"; rispetto alla definizione fatta propria dal legislatore comunitario, si è aggiunta, pertanto, espressamente, la finalità di investimento.

Tanto premesso, si è quindi evidenziato come la predetta pronuncia della II Sezione Penale della Corte di Cassazione, nel descrivere i soggetti che operano nell'ambito delle valute virtuali, rilevi che per "exchanger" si intende il soggetto che gestisce la piattaforma exchange, ossia la piattaforma tecnologica che permette di scambiare questo prodotto finanziario, la cui funzione, quindi, è quella di poter permettere di effettuare l'acquisto e la vendita delle criptovalute e di realizzare un profitto; sono stati, quindi, inclusi i "prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale" tra i cc.dd. soggetti obbligati (art. 3, comma 5, lett. i), D.Lgs. n. 231/07) ad iscriversi in apposito registro tenuto presso l'OAM - Organismo competente in via esclusiva ed autonoma per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi - con relativo obbligo di comunicazione al Ministero Economia e Finanze (art. 17 bis, comma 8 bis, D.Lgs. n. 141/2010). Con la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio, recepite rispettivamente con il D.Lgs. n. 90/2017 e con il D.Lgs. n. 125/2019, sono stati, inoltre, previsti specifici obblighi nei confronti dell'exchanger (cambiavalute di bitcoin et similia, definiti come: "ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all'acquisizione, alla negoziazione o all'intermediazione nello scambio delle medesime valute", ex art. 1, comma 2, lett. ff, D.Lgs. n. 231/2007) e del "wallet provider" (gestore di portafogli virtuali, definito come: "ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali", ex art. 1, comma 2, lett. ff bis), entrambi inseriti nella categoria "altri operatori non finanziari".

Una precedente pronuncia della stessa Seconda Sezione Penale aveva, invece, affermato che, ove le monete virtuali vengano utilizzate come strumenti di investimento finanziario, la negoziazione è soggetta al rispetto delle norme in materia di intermediazione finanziaria, ivi compresa la necessaria abilitazione del soggetto intermediario (Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 17/09/2020, De Rosa).

Il Collegio ha quindi rilevato come gli inconvenienti e i rischi collegati ai bitcoin siano, dunque, facilmente percepibili: essi non sono, infatti, emessi da una banca centrale o da un'altra autorità pubblica, e per essi non vige il principio nominalistico, essendo per lo più privi di regolamentazione, almeno di regolamentazione vincolante. Non svolgono, inoltre, le funzioni tipiche della moneta, di unità di conto e riserva di valore, per via della mancanza di potere liberatorio nei pagamenti e dell'estrema volatilità: non vi è, infatti, chi possa stabilizzarne in via autoritaria i corsi, e ciò comporta le oscillazioni del cambio, che generano incertezze in sede di conversione.

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Tutto ciò premesso, con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte ha osservato come l'ordinanza del Tribunale del riesame risulti, innanzitutto, carente di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell'accertamento dei fatti (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua), facendo rinvio agli atti di P.G. richiamati nel decreto di convalida di sequestro probatorio, senza illustrarne il contenuto. Sotto altro profilo, nel qualificare come profitto del reato di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000 l'ammontare dell'imposta evasa collegata alle plusvalenze derivanti da operazioni di trading di criptovalute, attraverso account aperti presso diversi exchange, la medesima ordinanza afferma la sussistenza del nesso di derivazione tra i bitcoin sottoposti a sequestro ed il reato, senza adeguato confronto con le critiche contenute nell'atto di gravame. I giudici di legittimità hanno, infatti, ritenuto condivisibile il rilievo della difesa con cui è stata lamentata l'inconciliabilità delle motivazioni del Tribunale del riesame: valorizzando la sussistenza del nesso di derivazione tra l'oggetto del sequestro (bitcoin) e il reato, rispetto ad un profitto del reato consistente in un'imposta evasa quantificata in Euro 120.638,20, esse hanno, invero, finito con il legittimare un sequestro probatorio del profitto del reato non diretto, ma per equivalente, perché ricadente non su moneta avente corso legale nello Stato, utilizzata per effettuare i pagamenti ed avente valore liberatorio delle obbligazioni contratte anche nei confronti dell'erario per l'estinzione del debito tributario, ma su un asset digitale rappresentato da valuta virtuale, che non svolge le funzioni tipiche della moneta avente corso legale, e che è soggetta a continue fluttuazioni di mercato.

Sulla base di tali osservazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto annullato con rinvio l'ordinanza impugnata.