lunedì 1 marzo 2021

Particolare tenuità del fatto e condanna al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile.

La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 5433, pronunciata all'udienza del 18 dicembre 2020 (deposito motivazioni in data 11 febbraio 2021) ha preso in esame il tema relativo alla decisione sulla domanda della parte civile nell'ipotesi di sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto.

Il fatto.

Un imputato proponeva ricorso avverso la Sentenza con cui la Corte d'Appello di Salerno, in riforma della pronuncia di primo grado, nel dichiarare il medesimo non punibile per particolare tenuità del fatto di minaccia, aveva confermato la condanna generica al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti della parte civile.

La decisione della Corte: le ragioni di carattere normativo e i precedenti giurisprudenziali.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell'imputato. 

Con riguardo alla questione in oggetto - ha osservato il Collegio - la giurisprudenza di legittimità aveva peraltro già affermato come la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non consenta di decidere sulla domanda di liquidazione delle spese proposta dalla parte civile, in quanto "si può far luogo alle statuizioni civili nel giudizio penale solo in presenza di una sentenza di condanna o nelle ipotesi previste dall'art. 578 c.p.p., tra le quali non rientra quella di cui all'art. 131-bis c.p.".

Alla base di tale assunto sono individuabili, innanzitutto, ragioni di carattere strettamente normativo. 

L'art. 538 c.p.p., infatti, applicabile al giudizio d'appello ex art. 598 c.p.p., prevede la possibilità, per il giudice, di decidere sulla domanda di risarcimento del danno nella sola ipotesi in cui egli pronunci sentenza di condanna. Con riferimento, invece, alla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile, essa è consentita dall'art. 541 c.p.p. nel solo caso in cui sia pronunciata la sentenza prevista dall'art. 538 c.p.p..

La sentenza di condanna, a sua volta, è definibile, ai sensi dell'art. 533 c.p.p., come un "provvedimento giurisdizionale che irroga una pena all'imputato, provata la sua responsabilità penale per il reato ascrittogli oltre ogni ragionevole dubbio".

Pertanto, la sentenza che riconosce la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis c.p., non rientra nell'ambito delle pronunce di condanna: essa, infatti, pur accertando il reato, dispone il proscioglimento dell'imputato per tale causa di non punibilità.

Un analogo precedente giurisprudenziale - ha osservato la Corte - si è registrato in tema di responsabilità medica: una pronuncia della Quarta Sezione Penale della Suprema Corte affermò infatti come fosse illegittima la sentenza che, nell'assolvere l'imputato in applicazione dell'art. 3 comma 1 D.L. 158/12, condannasse il responsabile civile al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile costituita: in tal caso, si osservò come il giudice penale potesse decidere sulla domanda risarcitoria proposta dalla parte civile nella sola ipotesi di pronuncia di sentenza di condanna, fatta eccezione per quanto previsto dall'art. 578 c.p.p. (su questo Blog, cfr., con riguardo a tale pronuncia: 

https://ordinamentopenale.blogspot.com/2020/06/responsabilita-sanitaria-lassoluzione.html)

Ancora, la Suprema Corte ha ritenuto che al giudice penale sia precluso di pronunciarsi sulle statuizioni civili nell'ipotesi di proscioglimento per vizio totale di mente (Sez. I, Sent. n. 45228/13) o per avere l'imputato agito in stato di legittima difesa (Sez. 4, Sent. n. 33178/12).

Viceversa, hanno osservato i giudici di legittimità, quando il legislatore ha voluto prevedere la permanenza delle statuizioni civili a fronte di una sentenza diversa rispetto a quella di condanna, lo ha disposto espressamente.

Il riferimento, a tal riguardo, è quello del disposto di cui all'art. 578 c.p.p.. Tale norma, da sempre ritenuta di stretta interpretazione, in quanto espressiva di un'eccezione alla regola generale di cui agli artt. 538 e 533 c.p.p., prevede, come noto, che, in caso di proscioglimento dell'imputato per estinzione del reato dovuta ad amnistia o prescrizione, il giudice dell'impugnazione debba decidere sulle statuizioni civili,  qualora vi sia stata una condanna nel grado precedente.

Pertanto, nell'ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione nel giudizio d'appello, l'imputato può essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte civile, atteso che la prescrizione non può essere apprezzata quale indice di soccombenza (Sez. VI, Sent. n. 24768/16). 

Lo stesso non può invece avvenire in caso di accertamento, da parte del giudice di primo grado, già in fase predibattimentale, della maturazione della prescrizione, con conseguente pronuncia di sentenza ex art. 469 c.p.p.: in tale ipotesi, non è consentita né una pronuncia sulle richieste della parte civile costituita, né una condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. La decisione ex art. 469 c.p.p. è infatti incompatibile con tali statuizioni, che, come detto, devono fondarsi sull'accertamento della responsabilità dell'imputato (Sez. V, Sent. n. 28569/17).

Ad analoghe conclusioni, ancora, deve giungersi nell'ipotesi in cui la prescrizione sia maturata anteriormente alla condanna di primo grado, ma venga dichiarata solo in appello (Sez. V, Sent. n. 32636/18).

Le Sezioni Unite Schirru.

La Suprema Corte ha quindi richiamato quanto affermato nel 2016 dalla Sentenza Schirru, pronunciata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Sent. n. 46688/16).

In tale ipotesi, la Corte si trovò a prendere in esame la fattispecie relativa ad una sentenza di condanna per un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile. I giudici di legittimità affermarono, in tal caso, come il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non era più previsto dalla legge come reato, dovesse revocare anche i capi della sentenza concernenti gli interessi civili; la parte civile, dal canto suo, conservava il diritto, in tale fattispecie, di agire "ex novo" nella sede naturale per il risarcimento del danno e per l'eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile. 

Le Sezioni Unite ricordarono, al riguardo, la Sentenza della Corte Costituzionale n. 12 del 2016, allorché la Consulta fu interrogata circa la legittimità costituzionale dell'art. 538 c.p.p. nella parte in cui, al comma 1, collega, in via esclusiva, la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell'imputato. 

La questione di legittimità costituzionale fu giudicata infondata: la Corte osservò infatti come il sistema adottato nel codice di rito fosse coerente con la scelta di rendere tendenzialmente autonomo il giudizio penale da quello civile sullo stesso fatto; la costituzione di parte civile nel processo penale ha infatti natura accessoria, ed è da ritenersi subordinata alla finalità del processo penale, consistente nell'accertamento della responsabilità penale dell'imputato.

Le disposizioni di cui agli artt. 578 e 576 c.p.p. esprimono norme di carattere eccezionale, le quali costituiscono una deroga alla regola generale che consente la decisione sulla domanda della parte civile nella sola ipotesi di condanna dell'imputato; tali norme sono, perciò, inapplicabili oltre i casi e i tempi considerati, ai sensi dell'art. 14 preleggi.

L'art. 578 c.p.p., tuttavia - osservarono ancora le Sezioni Unite - consente al giudice di pronunciarsi sulla domanda di parte civile non sulla base del presupposto di una pronuncia di assoluzione dal reato, ma di riconoscimento di una causa di estinzione del medesimo dopo una sentenza di condanna. Per tale ragione, la norma in discorso non permette di condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile qualora tale pronuncia avvenga contestualmente alla declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, come conseguenza della riforma, ad opera del giudice d'appello, e su impugnazione del pubblico ministero, della sentenza di assoluzione di primo grado. In caso contrario, infatti, la decisione sulla domanda di parte civile sarebbe adottata in assenza di una sentenza di condanna che abbia accertato la responsabilità dell'imputato nel primo grado di giudizio, ed al di fuori dello specifico caso di impugnazione proposta dalla parte civile ex art. 576 c.p.p..

Sulla base di tali motivazioni, le Sezioni Unite stabilirono la la regola generale del "collegamento in via esclusiva della decisione sulla domanda della parte civile alla formale condanna dell'imputato, espressamente richiesta dall'art. 538 c.p.p., soluzione che dà attuazione al combinato disposto dell'art. 538 con l'art. 74 c.p.p. e con l'art. 185 c.p. - imposta, oltre che dalla sistematica, anche dal testuale rimando della prima alla seconda e della seconda alla terza -, norme dalle quali si desume che la domanda della parte civile nel processo penale è legittimata con riferimento ai danni e alle restituzioni cagionati da un fatto integrante reato, e che la risposta ad essa viene fatta dipendere da una sentenza che formalmente dichiari la responsabilità, non essendo sufficiente, di regola, una sentenza di proscioglimento, pur se includente l'accertamento del fatto reato. Diversamente ragionando, come ribadito anche nella sentenza n. 12 della Corte costituzionale citata, il risarcimento del danno verrebbe ancorato non già alla fattispecie prevista dall'art. 185 c.p., ma a quella prevista dall'art. 2043 c.c., in ordine alla quale manca la competenza del giudice penale".

Le Sezioni Unite, inoltre, ribadirono il carattere di eccezionalità dell'art. 578 c.p.p., disposizione da considerarsi non applicabile né alle diverse fattispecie di estinzione del reato per oblazione o per morte dell'imputato né ad altre cause estintive, diverse da quelle espressamente previste, quali la remissione di querela o la sanatoria edilizia.

Per converso, quando il legislatore ha voluto consentire la pronuncia sulla domanda di parte civile, lo ha fatto espressamente, richiamando l'art. 578 c.p.p.: ciò avviene, ad esempio, nella fattispecie di cui all'art. 448 comma 3 c.p.p., ove si prevede la pronuncia sulle statuizioni civili da parte del giudice dell'impugnazione, avverso sentenza di condanna, qualora egli ritenga che siano state ingiustamente non riconosciute, dal giudice di primo grado, le condizioni per accogliere la richiesta di patteggiamento, in assenza del consenso del pubblico ministero. 

Lo stesso si è previsto con la disposizione transitoria prevista, per gli illeciti penali depenalizzati, e non ricondotti ad illecito civile, dal D.Lgs. n. 8/16, ove si è espressamente previsto che il giudice che dichiara l'intervenuta depenalizzazione, in sede di appello a seguito di sentenza di condanna, è tenuto a decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili.

Le conclusioni.

I giudici della Quinta Sezione hanno, in conclusione, rilevato come il legislatore non abbia previsto una norma analoga all'art. 578 c.p.p. in relazione all'ipotesi di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.: la sentenza d'appello è stata quindi annullata in relazione alle statuizioni civili.

Naturalmente, si è osservato, il danneggiato può tutelare i propri diritti, in tale fattispecie, tramite l'azione in sede civile: a questo proposito, infatti, l'art. 651 bis c.p.p. prevede che la decisione irrevocabile di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ha efficacia di giudicato in ordine all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno.