sabato 25 agosto 2018

Delitto di calunnia e alternativa tra concorso di reati e post factum non punibile nell'ipotesi di plurimi atti di incolpazione.

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 3368, pronunciata all'udienza del 9 gennaio 2018 (deposito motivazioni in data 24 gennaio 2018) ha preso in esame, in tema di calunnia, la questione relativa alle conseguenze derivanti dalla presentazione di plurimi atti di incolpazione, ed in particolare in quali casi sia integrata la commissione di più reati ex art. 368 c.p. e in quali altri invece si possa invece inquadrare tale fattispecie in un post factum non punibile.

Il giudizio di legittimità è stato originato dal ricorso presentato dall'imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Catanzaro aveva confermato la pronuncia di condanna da parte del Tribunale di Cosenza per i reati di calunnia continuata ed uso di assegno bancario alterato nella data di emissione riportata nel titolo.
Nella fattispecie, l'imputato aveva dapprima modificato l'assegno emesso dal proprio debitore, anticipando la data di 20 giorni, e poi ne aveva fatto uso consegnandolo ad un dipendente di una società di cui era amministratore sostanziale, affinché egli lo ponesse all'incasso, come in effetti avvenne.
Successivamente, il ricorrente aveva indotto l'amministratore formale di tale società a presentare atto di denuncia-querela al fine di evidenziare l'alterazione del titolo, sostenendo che fosse stato ricevuto con la data modificata; infine, egli aveva dichiarato, in sede di sommarie informazioni testimoniali rese alla Polizia Giudiziaria, di aver ricevuto l'assegno da un avvocato nella data da lui falsamente indicata sull'assegno e di aver firmato lo stesso giorno per ricevuta presso lo studio del legale e sotto dettatura di quest'ultimo.
In tal modo l'imputato aveva incolpato, pur sapendolo innocente, l'avvocato, simulando inoltre a suo carico le tracce del delitto di falsità materiale dell'assegno, ex artt. 368, 485, 491 c.p..

Con uno dei due motivi di ricorso in cassazione, l'imputato lamentava l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, nonché un vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza da parte dei giudici di merito di più condotte di calunnia, in continuazione interna tra di loro.
La Corte d'Appello aveva infatti affermato l'esistenza di più calunnie in continuazione, individuandole la prima nella denuncia-querela sporta dal formale amministratore della società su induzione dell'imputato e la seconda nelle dichiarazione rese da quest'ultimo un anno dopo in sede di sommarie informazioni testimoniali.
Secondo il ricorrente, invece, non doveva essere ritenuta alcuna continuazione di reati, in quanto le s.i.t. erano valse a confermare e chiarire quanto già indicato nell'atto di denuncia-querela, il quale doveva quindi essere inteso quale unico fatto di calunnia.

La Corte ha ritenuto fondato il motivo proposto dall'imputato. I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato come il delitto di calunnia sia un reato istantaneo, che si consuma con la comunicazione all'autorità di una falsa incolpazione a carico di una persona che si sa essere innocente. 
Da ciò deriva pertanto come la reiterazione di eventuali, successive dichiarazioni di conferma della falsa accusa non possa determinare delle ulteriori violazioni della medesima norma incriminatrice. La giurisprudenza di legittimità ha infatti osservato che nel delitto di calunnia l'offesa all'interesse protetto (interesse che consiste  nell'impedire che si instaurino processi penali contro un innocente) resta unica, attesa l'unicità del pericolo che l'autorità giudiziaria venga sviata condannando un innocente.
Si è inoltre affermato in giurisprudenza come sia invece integrata un'autonoma fattispecie di calunnia nell'ipotesi in cui, susseguendosi nel tempo più atti di incolpazione, e ferma restando l'identità del titolo di reato e della persona incolpata, avvenga un ampliamento dell'accusa originaria, mediante l'individuazione di nuovi temi, definiti come un "apprezzabile novum" rispetto alla prima accusa.
Al contrario, qualora la pluralità di atti di accusa dia sostegno, anche da un punto di vista probatorio, ai contenuti degli atti precedenti, confermandoli o precisandoli in relazione a profili secondari, si può dire integrata un'ipotesi di progressione criminosa lesiva di un unico interesse, con la conseguenza per cui le successive condotte saranno considerabili come un post factum non punibile.
Peraltro, nell'ipotesi di mera conferma dei contenuti del precedente atto di incolpazione, l'atto di accusa successivo potrà essere idoneo a rendere "diverso" il fatto ai sensi dell'art. 521 c.p.p., con conseguente obbligo da parte del giudice di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero qualora quest'ultimo non ricomprenda il secondo atto di accusa nell'originaria contestazione. A questo proposito, i giudici di legittimità hanno osservato come un'ipotesi di fatto diverso fosse stata ravvisata dalla giurisprudenza di legittimità (Sent. n. 13416/2016 della Sesta Sezione Penale della Corte) anche in un caso di due fatti di incolpazione contenuti l'uno in un atto di opposizione ad una richiesta di archiviazione e l'altro in un atto di denuncia-querela, fattispecie non ricondotta al predetto concetto di post factum non punibile: "Ne consegue che costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un'ulteriore estrinsecazione dell'attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella in precedenza posta in essere".

Nella fattispecie concreta, la Corte ha inoltre osservato come l'elemento destinato a differenziare e rendere autonomi i diversi atti di calunnia susseguitisi nel tempo non possa essere d'altro canto individuato nel fatto che a sporgere l'iniziale denuncia calunniosa sia stato un terzo soggetto, qualificabile come autore mediato dell'effettivo calunniatore.
Come noto, infatti, la disciplina di cui all'art. 48 c.p. prevede che nell' ipotesi di errore sul fatto integrativo del reato, determinato dall'inganno, risponda del reato chi ha determinato la persona ingannata a commetterlo. 
Di conseguenza, nell'unicità della volontà colpevole, non è individuabile che un solo autore del reato: da ciò deriva pertanto come non si possa, in tale fattispecie, parlare, circa il secondo fatto, della sussistenza di un nuovo reato, soggettivamente connotato in maniera diversa rispetto a quello precedente, ed in continuazione con esso. 
Pertanto, nel caso concreto, essendo stato accertato come le s.i.t. rese dall'imputato alla P.G. fossero di mera conferma dei contenuti dell'atto calunnioso di denuncia-querela, dal momento che veniva affermata in entrambi i contesti la medesima circostanza, relativa alla presenza sull'assegno della data contraffatta, non poteva essere ravvisata una continuazione interna di reati. 

La Corte ha dunque annullato la sentenza perché il fatto non sussiste in relazione al fatto costituito dalle dichiarazione rese dall'imputato a s.i.t., con conseguente rideterminazione della pena.