sabato 25 agosto 2018

Ludopatia e riconoscimento della disciplina del reato continuato in sede esecutiva: la Corte di Cassazione ribadisce la non assimilabilità di tale patologia allo stato di tossicodipendenza.

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 866, pronunciata all'udienza del 20 aprile 2017 (deposito motivazioni in data 11 gennaio 2018), ha preso in esame, in tema di esecuzione penale, la questione relativa all'applicabilità alla ludopatia della disciplina di cui all'art. 671 c.p.p.; tale disposizione, avente ad oggetto, come noto, l'applicazione in sede esecutiva della disciplina del concorso formale di reati e del reato continuato, prevede infatti, nel primo comma, ultimo periodo, che tra gli elementi che incidono sull'applicazione della disciplina del reato continuato, vi è anche la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza. Da qui, la questione se si possa tenere conto, a tal fine, anche dello stato di ludopatia.

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso proposto da un condannato avverso l'ordinanza pronunciata dal Tribunale di Bari, in funzione di giudice dell'esecuzione, con la quale era stata rigettata un'istanza volta ad ottenere l'applicazione della disciplina del reato continuato in relazione a due sentenze emesse dallo stesso Tribunale a distanza di un anno l'una dall'altra.
Il Tribunale aveva osservato, in primo luogo, come, pur essendo state tali violazioni commesse in un arco di tempo ristretto, pari a due mesi, e pur trattandosi in entrambi i casi di delitti contro il patrimonio, esse si differenziavano tra di loro sia sotto il profilo delle modalità realizzative sia sotto quello della tipologia di beni sottratti: la prima fattispecie consisteva infatti  in una rapina di denaro e buoni pasto in un supermercato, commessa con l'uso di un'arma da taglio, la seconda in un tentato furto di uva commesso in campagna.
In secondo luogo, la necessità, in capo all'istante, di procurarsi denaro per pagare i debiti di gioco, contratti a causa di un documentato stato di ludopatia, poteva, secondo il giudice dell'esecuzione, rappresentare tutt'al più il movente che aveva determinato entrambi i delitti, ma non un indice dell'unicità del disegno criminoso, inteso quale rappresentazione, già al momento della realizzazione del primo reato, degli elementi essenziali dell'illecito che si sarebbe successivamente commesso. La scelta, infatti, di pagare i debiti di gioco con i proventi dei reati non poteva implicare una predeterminazione, nelle loro linee essenziali, dei reati poi commessi.

Secondo il ricorrente, invece, la circostanza che i reati fossero stati commessi in un breve arco di tempo, con la motivazione di pagare i debiti contratti a causa dello stato di ludopatia, doveva essere apprezzata come indice della sussistenza del vincolo della continuazione, applicando analogicamente il disposto dell'art. 671 c.p.p., che prevede la possibilità di tenere conto a tal fine dello stato di tossicodipendenza.
Inoltre, il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto, secondo il ricorrente, tenere conto di altri indici valutati dalla giurisprudenza ai fini dell'applicazione della disciplina in discorso, quali  la distanza cronologica tra i fatti, le modalità delle condotte e la tipologia dei reati, il bene protetto, l'omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo.

La Suprema Corte ha giudicato tale motivo di ricorso come manifestamente infondato.
I giudici di legittimità hanno infatti osservato come non sia possibile applicare la predetta disciplina di cui all'art. 671 primo comma ultimo periodo c.p.p. sulla base di un'asserita analogia tra lo stato patologico di documentata ludopatia e quello di tossicodipendenza, previsto da tale norma.
Al riguardo, la Corte ha ribadito un principio di diritto già affermato negli ultimi anni dalla giurisprudenza di legittimità: "Anche se il D.L. 158/2012, art. 5, coordinato con la legge di conversione 189/2012, ha introdotto un programma di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza "con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dalla Organizzazione mondiale della sanità (G.A.P.)", la ludopatia, pur potendo avere in comune con la tossicodipendenza la dipendenza dal gioco d'azzardo, non diversamente peraltro da altre situazioni che creano dipendenza come il tabagismo, l'alcolismo e la cleptomania, affonda le proprie radici in aspetti della psiche del soggetto e non presenta, al momento attuale, quegli aspetti di danno, che l'esperienza ha dimostrato essere alla base dei comportamenti devianti cui, nell'ambito della discrezionalità legislativa, la modifica normativa sopra indicata ha inteso porre un rimedio", pervenendosi al rilievo conclusivo che "in definitiva, l'estensione dei livelli di assistenza alle persone affette da ludopatia non ne ha comportato l'assimilazione alla tossicodipendenza, né consente, per la differenza che si riscontra tra le situazioni di base, il ricorso all'analogia" (Sez. 1, n. 18162 del 16/12/2015, dep. 2016, Bruno, n.m.).

Dunque, il giudice dell'esecuzione ha fatto, secondo la Corte, buon governo di tale principio di diritto, riaffermando la non assimilabilità, ai fini del riconoscimento in sede esecutiva della disciplina della continuazione, dello stato di alcoldipendenza o di altri stati patologici, come appunto la ludopatia, a quello di tossicodipendenza, in ragione della peculiarità di tale ultima patologia. 
Inoltre, la Corte ha condiviso la tesi del giudice dell'esecuzione per cui la necessità di procurarsi denaro per pagare i debiti di gioco, pur potendo rappresentare il movente degli illeciti commessi, non è idonea a dimostrare la riconducibilità dei medesimi ad un unico disegno, posto alla base di un unitario programma criminoso. Semmai, tale motivazione può dimostrare la propensione criminosa del condannato, le sue scelte di vita ispirate ad una sistematica consumazione di illeciti (non predeterminati, tuttavia, nelle loro linee essenziali), al fine di reperire denaro.
Infine, la Corte non ha giudicato positivamente neppure gli altri presunti indicatori dell'esistenza di un unico disegno criminoso menzionati dal ricorrente, essendo essi già stati considerati e disattesi dal giudice dell'esecuzione con idonea motivazione: i giudici di legittimità hanno quindi considerato tale motivo come di merito e volto ad ottenere una diversa lettura ed interpretazione di elementi di fatto già valutati in precedenza nell'ordinanza impugnata.

Il ricorso è stato dunque dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione.