Con la Sentenza n. 5832, pronunciata all'udienza del 18 Ottobre 2017 (deposito motivazioni in data 8 febbraio 2018), la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha preso nuovamente in esame il tema relativo alla categoria dei "delitti commessi con violenza alla persona", con riguardo, in particolare, alla riconducibilità ad essa del reato di "Atti sessuali con minorenne), p. e p. dall'art. 609 quater c.p..
La Sentenza ha avuto ad oggetto il ricorso presentato da un soggetto sottoposto ad indagini per il predetto reato avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Torino dichiarava inammissibile l'appello cautelare presentato dall'indagato avverso l'ordinanza pronunciata dal Giudice per le Indagini Preliminari, con cui quest'ultimo rigettava l'istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
A sostegno della propria pronuncia, il Tribunale affermava come fosse stata omessa, da parte dell'indagato, la notificazione dell'istanza alla persona offesa, essendo il delitto di cui all'art. 609 quater da ricomprendersi tra quelli per i quali è richiesta tale notificazione ai sensi dell'art. 299 c.p.p..
Con il proprio ricorso, l'indagato contestava tale tesi del Tribunale, sostenendo come la norma incriminatrice non preveda alcuna violenza dell'agente sulla vittima, ma sanzioni soltanto il compimento di atti sessuali con minorenni consenzienti. L'interpretazione operata dal Tribunale sarebbe quindi in contrasto con il tenore letterale della norma incriminatrice e con il divieto di analogia in malam partem.
La Suprema Corte ha, innanzitutto, ricordato come la norma incriminatrice di cui all'art. 609 quater c.p. sia stata introdotta nell'ordinamento dalla l. 66/1996 e poi modificata dalla l. 38/2006 e dalla l. 172/2012, che ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa di Lanzarote del 25 ottobre 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale.
Dal complesso di tali norme, di ispirazione anche internazionale, si ricava come il bene giuridico tutelato dalla norma in oggetto sia non la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale, giacché si ritiene che il minore non abbia ancora raggiunto la capacità di esprimere un valido consenso in ambito sessuale. Il bene giuridico protetto è pertanto da individuarsi nell'integrità psicofisica del minore in relazione alla sfera sessuale, al fine di salvaguardare il corretto sviluppo della sua sessualità, che può essere minacciato da approcci tali da incidere negativamente sul processo di maturazione.
Da ciò si desume - secondo i giudici di legittimità - la riconducibilità del reato previsto dall'art. 609 quater c.p.p. tra quelli commessi con violenza alla persona, alla luce del fatto che esso "comporta una lesione dell'integrità psicofisica del minore ed implica, per la sua commissione, una violazione della relativa sfera".
La Corte ha poi aggiunto come tale interpretazione non costituisca un'ipotesi di estensione analogica in malam partem della nozione di violenza alla persona, ma come, al contrario, sia coerente con gli obblighi convenzionali assunti dallo Stato e con le direttive comunitarie: nell'ambito internazionale, infatti, la nozione di violenza è più ampia di quella disciplinata dal codice penale italiano, essendo comprensiva di ogni forma di violenza di genere, anche nell'ambito delle relazioni affettive, sia o meno attuata con violenza fisica o anche solo morale, tale quindi da cagionare una sofferenza psicologica alla vittima del reato, come affermato anche dalle SS.UU. della Suprema Corte nella Sent. n. 10959/2016.
Il ricorso è stato quindi dichiarato non fondato e rigettato dalla Suprema Corte.