Con la Sentenza n. 7012, pronunciata all'udienza del 5 dicembre 2017 (deposito motivazioni in data 14 febbraio 2018), la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha preso in esame il tema relativo alla deducibilità, come motivo di gravame, della mancata ammissione di una prova cui era subordinata l'originaria istanza di rito abbreviato condizionato, rigettata dal Giudice dell'udienza preliminare.
A questo proposito, la Suprema Corte ha stabilito come, in caso di rigetto da parte del G.U.P. della richiesta di rito abbreviato condizionato ad un'integrazione probatoria, l'imputato sia tenuto alla riproposizione di tale istanza prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, così come previsto dall'art. 438 comma 6 c.p.p, nella versione risultante dalla Sentenza di illegittimità costituzionale n. 169 del 2003 della Consulta.
In assenza di rinnovazione dell'istanza, la mancata ammissione della prova cui era stata subordinata l'iniziale richiesta di giudizio abbreviato condizionato non potrà più essere dedotta come motivo di gravame, ma l'imputato godrà unicamente della facoltà di sollecitarne l'assunzione da parte del giudice d'appello, in virtù dell'ordinario potere di integrazione probatoria ex officio previsto dall'art. 603 comma 3 c.p.p..
Nella fattispecie, il giudizio di legittimità traeva origine dalla Sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano aveva confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Lecco in esito a giudizio abbreviato per reati consistenti in due episodi di atti sessuali con un minore di anni dieci e in un episodio di violenza sessuale commessa nei confronti di minore infraquattordicenne.
Con il primo motivo di ricorso, l'imputato lamentava la mancata assunzione di una prova, cui era stata subordinata l'originaria richiesta di rito abbreviato condizionato, consistente nell'espletamento di una perizia per valutare capacità a testimoniare e credibilità della persona offesa. Il G.U.P. aveva respinto tale richiesta, sulla base dell'assenza di elementi tali da mettere in discussione tale capacità della persona offesa, la quale aveva già dimostrato, secondo il giudice, sufficiente maturità in occasione dell'effettuazione dell'incidente probatorio. A seguito del rigetto dell'istanza principale, l'imputato era quindi stato giudicato, come da sua richiesta subordinata, con rito abbreviato non condizionato.
Egli aveva quindi proposto come motivo di gravame la mancata ammissione della perizia, ma la Corte d'Appello aveva a sua volta rigettato la richiesta di assunzione di tale prova, sulla base del consolidato principio di diritto in base al quale in tema di violenza sessuale nei confronti di minori, la perizia in ordine alla capacità a testimoniare della persona offesa non costituisce un presupposto indispensabile per la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni, ove non emergano elementi che possano far dubitare della predetta capacità.
La Suprema Corte, premessa l'impossibilità di sindacare la valutazione operata dalla Corte d'Appello, logicamente ed adeguatamente motivata, e fondata sul parametro dell'assoluta necessità di assunzione della prova di cui all'art. 603 comma 3 c.p.p., si è poi soffermata sul tema delle conseguenze processuali del rigetto da parte del G.U.P., dell'istanza di rito abbreviato condizionato.
In tale ipotesi - ha osservato la Corte - l'imputato che voglia contestare la decisione del giudice, esercitando il proprio diritto alla prova, ha l'onere, non essendo l'ordinanza del G.U.P. impugnabile, di rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, come previsto dall'art. 438 comma 6 c.p.p., nel testo risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale operata dalla Sentenza n. 169/2003 della Consulta.
Viceversa, se l'imputato viene giudicato, come da sua richiesta subordinata, con il rito abbreviato non condizionato, non potrà più dedurre come motivo di gravame la mancata ammissione della prova richiesta con l'originaria istanza di rito abbreviato condizionato. Quest'ultimo infatti - ha affermato ancora in motivazione la Corte - presenta regole processuali significativamente differenti rispetto al primo, come, su tutte, le facoltà riconosciute al Pubblico Ministero di richiedere l'ammissione di prova contraria e di modificare l'imputazione, come previsto dall'art. 438 comma 5 c.p.p..
Pertanto, se si ammettesse il diritto dell'imputato di ottenere in appello l'ammissione della prova oggetto dell'istanza, già rigettata, di rito abbreviato condizionato, nonostante la sua acquiescenza a tale decisione del G.U.P., si darebbe vita, di fatto, ad un tertium genus di rito abbreviato, non previsto dalla legge: si innesterebbe, infatti, "sull'abbreviato non condizionato (che preclude al pubblico ministero le facoltà processuali menzionate) un diritto all'assunzione in appello della prova magari non correttamente ammessa in occasione della valutazione dell'originaria istanza, poi non coltivata".
Di conseguenza, in tali casi, all'imputato è consentito unicamente di sollecitare il giudice d'appello all'esercizio del potere di integrazione probatoria ex art. 603 comma 3 c.p.p.. Tale valutazione da parte del giudice del gravame è insindacabile da parte della Corte di Cassazione se non è affetta da lacune o manifeste illogicità (ricavabili dal testo del provvedimento e riguardanti punti di decisiva rilevanza), le quali sarebbero state evitate provvedendo all'assunzione della prova.
Nella fattispecie in esame, tenuto conto di tutti gli elementi, tra cui l'età della persona offesa, ventunenne nel giudizio d'appello, e già vicina al raggiungimento della maggiore età al momento in cui rese le dichiarazioni, oltre agli elementi di riscontro a tali dichiarazioni ricavabili aliunde, la mancata ammissione della perizia non viene giudicata censurabile da parte della Suprema Corte.
Il motivo di ricorso è dunque ritenuto manifestamente infondato con conseguente dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte.