La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 1229, pronunciata all'udienza del 26 ottobre 2017 (deposito motivazioni in data 12 gennaio 2018) si è nuovamente soffermata sul concetto di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità, disciplinato dall'art. 41 comma 2 c.p..
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dall'impugnazione proposta dalla parte civile nei confronti della sentenza con cui la Corte d'Appello di Napoli aveva confermato la sentenza di assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto contestato, consistente nell'aver cagionato lesioni personali con violazione delle norme in tema di circolazione stradale.
Nella fattispecie, la persona offesa, percorrendo a bordo della propria automobile una strada statale, perdeva il controllo del mezzo a causa della scarsa visibilità e dei gravi allagamenti che avevano interessato la strada a causa delle forti piogge; tamponava così un'altra autovettura, mentre la propria si disponeva trasversalmente sulla carreggiata, invadendo la corsia di emergenza.
Successivamente, sia la persona offesa che il conducente dell'autoveicolo da questa tamponato scendevano dai rispettivi mezzi e venivano investiti dall'autovettura condotta dall'imputato; la persona offesa riportava lesioni personali, mentre il conducente dell'automobile originariamente tamponata rimaneva ucciso.
Di conseguenza, sia l'imputato sia la persona offesa ricorrente erano accusati di omicidio colposo, mentre al primo era contestato il delitto di lesioni personali colpose ai danni della seconda.
Il giudice di primo grado aveva assolto gli imputati, ritenendo insussistente il nesso di causa tra la loro condotta e l'evento mortale. Da un lato, infatti, non era stato possibile accertare in giudizio la velocità tenuta dalle autovetture condotte dagli imputati nelle fasi immediatamente precedenti il sinistro, non potendo quindi essere provata la violazione dell'art. 141 C.d.S.; dall'altro, il sinistro doveva ricondursi, da un punto di vista causale, alla presenza sulla strada di un'enorme pozzanghera, che aveva occupato sia la corsia di sorpasso sia la corsia di emergenza, costituendo quindi un ostacolo del tutto imprevedibile ed eccezionale, idoneo ad escludere il rapporto di causalità tra le condotte degli imputati e gli eventi lesivi.
La parte civile, che nel sinistro aveva riportato delle lesioni, proponeva, a seguito della conferma della sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d'Appello, ricorso per cassazione.
Nell'atto di impugnazione sosteneva come dovesse ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente alla produzione dell'evento, solo quella del tutto indipendente dal fatto dell'imputato, avulsa dalla sua condotta, operante con assoluta autonomia in modo da sfuggire al suo controllo ed alla sua prevedibilità. La sentenza di primo grado, era da considerarsi erronea, per aver considerato quali fattori eccezionali ed atipici la presenza di persone ferme sulla corsia di emergenza e la formazione di allagamenti in quel tratto di strada.
Nel caso in esame, dunque, poiché era in corso un forte temporale e, secondo quanto emerso dalle deposizioni testimoniali, l'imputato percorreva abitualmente quel tratto di strada che, anche a causa del cattivo stato di manutenzione, era frequentemente caratterizzato dalla presenza di pozzanghere e allagamenti, avrebbe dovuto, secondo la parte civile, essere riconosciuto un profilo di colpa in capo all'imputato. Egli infatti conosceva le insidiosità di quel tratto stradale in caso di pioggia e, nonostante ciò, aveva omesso di ridurre la velocità e aveva colpito entrambi i pedoni che si trovavano sulla corsia di emergenza ed indossavano i giubbotti fluorescenti.
La parte civile, inoltre, contestava anche la formula assolutoria pronunciata nei giudizi di merito, che avrebbe invece dovuto essere "perché il fatto non costituisce reato", così da permettere il riconoscimento in sede civile del diritto al risarcimento del danno, pregiudicato dalla sentenza impugnata.
La Suprema Corte non ha accolto i motivi di ricorso della parte civile.
Per quanto concerne il primo, la Corte ha affermato come non si potesse, nella fattispecie in esame, ritenere che l'evento verificatosi "fosse causalmente riconducibile ad una condotta colposa dell'imputato, trovando conseguentemente spazio anche la configurabilità di un fattore imprevedibile quale quello dell'allagamento della sede stradale".
Si è quindi riconosciuto che il fenomeno c.d. dell'"aquaplaning" sia un fattore eccezionale ed imprevedibile, idoneo, nel caso concreto, ad interrompere il nesso causale tra la condotta e l'evento. I giudici di legittimità hanno pertanto ribadito il principio di diritto per cui "le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall'agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente".
Circa il secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha invece osservato come, essendosi accertato nel giudizio il difetto del rapporto di causalità, non sussiste alcun interesse ad impugnare in capo alla parte civile, dal momento che l'art. 652 c.p.p. prevede che la sentenza di assoluzione "è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento dell'insussistenza del fatto, dell'impossibilità di attribuirlo all'imputato o della sussistenza delle cause di giustificazione dell'adempimento di un dovere o dell'esercizio di una facoltà legittima".
Dunque, la formula assolutoria utilizzata non è decisiva, essendo l'effetto del giudicato dipendente dall'accertamento dell'esistenza di una di tali ipotesi di non colpevolezza dell'imputato. Ciò può essere affermato anche alla luce del principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza della Cassazione civile, per cui il giudice non può limitarsi alla rilevazione della formula utilizzata, ma deve tenere conto anche della motivazione della sentenza penale per individuare l'effettiva ragione dell'assoluzione dell'imputato, eventualmente anche prescindendo dalla formula contenuta nel dispositivo, ove tecnicamente non corretta.
Nel caso concreto, pertanto, avendo il giudizio di merito accertato l'insussistenza del fatto, la sentenza avrebbe comunque prodotto l'effetto di giudicato nel giudizio civile, senza che possa avere alcuna rilevanza in tal senso il fatto che l'imputato non sia stato prosciolto con la formula "perché il fatto non costituisce reato".
Il ricorso è stato dunque ritenuto infondato e rigettato dalla Corte.
La parte civile, inoltre, contestava anche la formula assolutoria pronunciata nei giudizi di merito, che avrebbe invece dovuto essere "perché il fatto non costituisce reato", così da permettere il riconoscimento in sede civile del diritto al risarcimento del danno, pregiudicato dalla sentenza impugnata.
La Suprema Corte non ha accolto i motivi di ricorso della parte civile.
Per quanto concerne il primo, la Corte ha affermato come non si potesse, nella fattispecie in esame, ritenere che l'evento verificatosi "fosse causalmente riconducibile ad una condotta colposa dell'imputato, trovando conseguentemente spazio anche la configurabilità di un fattore imprevedibile quale quello dell'allagamento della sede stradale".
Si è quindi riconosciuto che il fenomeno c.d. dell'"aquaplaning" sia un fattore eccezionale ed imprevedibile, idoneo, nel caso concreto, ad interrompere il nesso causale tra la condotta e l'evento. I giudici di legittimità hanno pertanto ribadito il principio di diritto per cui "le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall'agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente".
Circa il secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha invece osservato come, essendosi accertato nel giudizio il difetto del rapporto di causalità, non sussiste alcun interesse ad impugnare in capo alla parte civile, dal momento che l'art. 652 c.p.p. prevede che la sentenza di assoluzione "è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento dell'insussistenza del fatto, dell'impossibilità di attribuirlo all'imputato o della sussistenza delle cause di giustificazione dell'adempimento di un dovere o dell'esercizio di una facoltà legittima".
Dunque, la formula assolutoria utilizzata non è decisiva, essendo l'effetto del giudicato dipendente dall'accertamento dell'esistenza di una di tali ipotesi di non colpevolezza dell'imputato. Ciò può essere affermato anche alla luce del principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza della Cassazione civile, per cui il giudice non può limitarsi alla rilevazione della formula utilizzata, ma deve tenere conto anche della motivazione della sentenza penale per individuare l'effettiva ragione dell'assoluzione dell'imputato, eventualmente anche prescindendo dalla formula contenuta nel dispositivo, ove tecnicamente non corretta.
Nel caso concreto, pertanto, avendo il giudizio di merito accertato l'insussistenza del fatto, la sentenza avrebbe comunque prodotto l'effetto di giudicato nel giudizio civile, senza che possa avere alcuna rilevanza in tal senso il fatto che l'imputato non sia stato prosciolto con la formula "perché il fatto non costituisce reato".
Il ricorso è stato dunque ritenuto infondato e rigettato dalla Corte.