sabato 22 settembre 2018

Diritto penale militare: la Suprema Corte ribadisce come la sospensione dall'obbligo di prestare il servizio di leva non abbia comportato l'abrogazione del delitto di diserzione.

In tema di diritto penale militare, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 23190, pronunciata all'udienza del 4 aprile 2018 (deposito motivazioni in data 23 maggio 2018), ha preso in esame il tema della revocabilità, in sede esecutiva, ex art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna irrevocabile per il reato di diserzione ex art. 148 c.p.m.p., a seguito della sospensione dell'obbligo di prestare il servizio di leva ad opera della l. 226/2004.

Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Napoli aveva confermato la pronuncia di condanna del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere alla pena di un anno di reclusione e duemila euro di multa per il reato di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/1990, con concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata recidiva reiterata.

Per quanto qui di interesse, con uno dei motivi di ricorso l'imputato aveva contestato la sussistenza della recidiva reiterata ed il conseguente diniego dell'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p..
Egli aveva infatti osservato come le precedenti condanne da lui riportate avessero avuto ad oggetto reati depenalizzati, tra i quali quello militare di diserzione, ex art. 148 c.pm.p., motivo per cui, stante altresì la mancanza di una precedente dichiarazione di recidiva semplice, il riconoscimento della recidiva reiterata doveva ritenersi illegittimo.

La Suprema Corte ha innanzitutto ribadito come, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il giudice della cognizione, al contrario di quello dell'esecuzione, può "accertare anche i presupposti di una recidiva che non sia stata previamente dichiarata", da ciò derivando come "la recidiva reiterata possa essere riconosciuta in sede di cognizione anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice". 
La Corte ha quindi respinto sul punto l'argomentazione dell'imputato, osservando inoltre come, ai fini della configurabilità della recidiva reiterata, ex art. 99 comma 4 c.p., possa essere qualificato come già recidivo solo il soggetto nei cui confronti, al momento della commissione del delitto, sia già passata in giudicato più di una condanna.

Per quanto invece concerne il motivo riguardante la depenalizzazione dei reati oggetto delle precedenti condanne inflitte al ricorrente, la Corte di Cassazione ha osservato quanto segue.

L'imputato, come premesso, aveva riportato una condanna per il reato militare di diserzione ex art. 148 c.p.m.p.. I giudici di legittimità hanno in proposito ribadito la giurisprudenza secondo la quale la sentenza di condanna per il reato di diserzione, ormai divenuta irrevocabile, non può essere revocata mediante incidente di esecuzione ex art. 673 c.p.p.. Infatti, la l. 226/2004, che ha disposto la sospensione dell'obbligo di prestare il servizio di leva, non ha abrogato la fattispecie incriminatrice in discorso, ma ha determinato una successione di leggi penali nel tempo. 
Pertanto, l'ipotesi delittuosa di diserzione continua ad applicarsi a speciali situazioni ed in determinate ipotesi, con la conseguenza per cui, qualora il fatto di reato sia stato commesso anteriormente alla modifica legislativa effettuata nel 2004, trova applicazione l'art. 2 comma 4 c.p., anziché il comma 2, concernente, come noto, l'ipotesi di abolitio criminis.

La Suprema Corte ha poi ritenuto non depenalizzato neppure il secondo illecito commesso dall'imputato, che riguardava la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 334 comma 2 c.p..

Pertanto, i giudici di legittimità hanno ritenuto come legittimamente fosse stata riconosciuta in capo all'imputato la recidiva reiterata; essa, inoltre, circostanza ad effetto speciale, deve essere computata quoad poenam ai fini della valutazione circa l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis comma 4 c.p..
Nella fattispecie oggetto del giudizio, relativa al delitto di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/90, l'aumento di pena conseguente al riconoscimento della recidiva reiterata è stato dunque riconosciuto come preclusivo all'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p..

Attesa perciò la manifesta infondatezza di questo motivo di ricorso, al pari degli altri proposti dall'imputato, il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte.