domenica 14 ottobre 2018

Giurisprudenza di legittimità 2018 in tema di giudizio abbreviato, parte 1: contrasto giurisprudenziale sul tema del rapporto con l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova.

In tema di giudizio abbreviato, la Corte di Cassazione ha preso in esame, nel corso del 2018, il tema relativo al rapporto tra tale rito speciale e quello di sospensione del procedimento con messa alla prova.
Con due pronunce, pervenute ad esiti opposti, i giudici di legittimità si sono interrogati sulla possibile alternatività tra l'istanza di rito abbreviato e quella di sospensione con messa alla prova e sulla parallela questione relativa alla deducibilità, nel giudizio d'appello, del carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, dell'istanza di sospensione con messa alla prova. 

Per quanto concerne la prima di tali pronunce (n. 9398), emessa dalla Quinta Sezione Penale il 21.12.2017 (deposito motivazioni in data 1.3.2018), il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da due imputati avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Bologna aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale della stessa città per il reato di tentato furto aggravato.
Con uno dei motivi di ricorso, i due imputati avevano contestato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 464 bis c.p.p.: la sospensione del procedimento con messa alla prova non era infatti stata ammessa, pur essendo stata proposta nei termini di legge, ossia nella sede dell'udienza fissata per la discussione del giudizio abbreviato  in seguito alla trasformazione del rito direttissimo ex art. 452 comma 2 c.p.p..

La Suprema Corte ha ritenuto tardiva tale richiesta. I giudici di legittimità hanno infatti osservato come l'art. 464 bis comma 2 c.p.p. preveda, in relazione ai termini per proporre istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, che, in caso di instaurazione del giudizio immediato, la richiesta debba essere formulata entro il termine previsto dall'art. 458 comma 1 c.p.p.; si tratta, cioè, del termine di quindici giorni previsto altresì ai fini della proposizione della richiesta di rito abbreviato. 
Sulla base di tale osservazione, la Corte ha affermato come la norma di cui all'art. 464 bis comma 2 c.p.p. fondi pertanto "un regime di alternatività tra il giudizio abbreviato e la sospensione del procedimento con messa alla prova".
La Sentenza n. 9398 ha dunque ribadito quanto già affermato dalla Sesta Sezione Penale della Suprema Corte nella Sentenza n. 22545 pronunciata in data 28 marzo 2017. In essa si era stabilito come, in seguito alla celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, l'imputato non possa dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Ciò in quanto la connotazione di rito alternativo riconoscibile in capo all'istituto di cui all'art. 168 bis c.p., da un lato, e l'analogia tra i termini per proporre richiesta di sospensione con messa alla prova e di rito abbreviato, dall'altro, precludono la possibilità di esperire differenti forme di definizione del giudizio, stante la mancanza di un'espressa previsione di convertibilità di un rito nell'altro.

Attesa dunque la manifesta infondatezza di tale motivo, così come degli altri proposti dai ricorrenti, il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte.

Come anticipato, ad un'opposta conclusione sul punto è giunta la seconda delle pronunce in oggetto, la n. 29622, emessa dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte il 15.02.2018 (deposito motivazioni in data 2.7.2018). 
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato dall'imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Ancona aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale della medesima città per il reato di cui agli artt. 73 D.P.R. 309/90 e 99 comma 2 n.1 c.p.
L'imputato aveva contestato, tra gli altri motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 168 bis c.p., 24 e 25 Cost. e 125 comma 3, 586 c.p.p.. La Corte d'Appello, secondo tale motivo di ricorso, aveva illogicamente dichiarato inammissibile l'appello proposto dal ricorrente avverso l'ordinanza con cui il Tribunale aveva rigettato l'istanza di messa alla prova (oltre all'istanza di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari), fondando la propria decisione sull'assunto per cui tale provvedimento fosse unicamente ricorribile per cassazione.
Al contrario, l'ordinanza di rigetto dell'istanza di messa alla prova, come quella di revoca delle misure cautelari, andrebbe considerata appellabile, a condizione che contestualmente venga proposto appello avverso la sentenza di merito emessa dal giudice di primo grado, la quale contenga una statuizione circa la responsabilità dell'imputato, come accaduto nel caso di specie.

La Corte ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso. 
E' stato innanzitutto osservato come le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la Sentenza n. 33216/16, abbiano affermato la non immediata impugnabilità dell'ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione con messa alla prova mediante ricorso per cassazione, essendo essa solo appellabile unitamente alla sentenza di primo grado ex art. 586 c.p.p.. L'art. 464 quater comma 7 c.p.p., infatti, secondo cui "contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa", deve essere interpretato come riferito al solo provvedimento di accoglimento della richiesta dell'imputato da parte del giudice, con conseguente sospensione del procedimento con messa alla prova.
I giudici di legittimità hanno quindi osservato come il sistema di rimedi avverso le ordinanze che decidono sull'istanza di sospensione con messa alla prova risulta strutturato nel seguente modo:
1) ricorso per cassazione in via autonoma ed immediata contro l'ordinanza di accoglimento;
2) non impugnabilità del provvedimento negativo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in quanto è offerta all'imputato la possibilità di rinnovare la richiesta;
3) impugnabilità del provvedimento di rigetto "predibattimentale", soltanto unitamente alla sentenza di primo grado, secondo la regola generale fissata dall'art. 586 c.p.p..

Venendo al tema già affrontato dalla Sentenza n. 9398, la Corte ha quindi affermato come non possa ritenersi preclusa l'impugnazione dell'ordinanza di rigetto a causa della circostanza per cui l'imputato, a seguito del rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, abbia scelto il rito abbreviato, come accaduto nella fattispecie in oggetto.
La Corte non ha infatti ritenuto condivisibile quanto affermato dalla predetta Sentenza n. 22545/17, e posto alla base delle conclusioni raggiunte dalla Quinta Sezione Penale nella prima delle pronunce qui esaminate.
Il principio di diritto, sopra riportato, su cui si è fondata la Sentenza n. 22545, riassumibile con il brocardo "electa una via, non datur recursus ad alteram", e già applicato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione ai rapporti tra rito abbreviato e patteggiamento, condurrebbe, secondo i giudici della Terza Sezione Penale, "ad una compressione ingiustificata del diritto dell'imputato ad avvalersi dei riti alternativi e, con esso, del diritto di difesa costituzionalmente garantito" , ex art. 24 Cost..
D'altro canto, secondo la Corte, non risulta fondata neppure l'applicazione, alla fattispecie processuale in oggetto, della medesima preclusione già affermata in relazione ai rapporti tra rito abbreviato e patteggiamento. L'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, causa speciale di estinzione del reato, si pone infatti in alternativa, secondo i giudici di legittimità, rispetto ad ogni tipo di giudizio di merito, compreso quello celebrato nelle forme del giudizio abbreviato, senza che si possa affermare la sussistenza di una preclusione sul punto, in assenza di una specifica previsione in questo senso.
Dunque, il parallelismo con il rapporto tra rito abbreviato e patteggiamento, procedimenti volti entrambi a definire il giudizio di merito, non risulta applicabile in relazione all'istituto della sospensione con messa alla prova, funzionale alla successiva estinzione del reato; la richiesta di tale procedimento assume quindi valenza prioritaria, e non è possibile ritenere che ad essa l'imputato abbia implicitamente rinunciato per effetto della richiesta di ammissione al rito abbreviato, la quale deve essere intesa come effettuata con riserva.

La Terza Sezione Penale ha quindi affermato come la celebrazione del giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato non precluda all'imputato la possibilità di dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del diniego, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova.

I giudici di legittimità hanno pertanto ritenuto in contrasto con tale principio la declaratoria di inammissibilità pronunciata dalla Corte d'Appello, annullando sul punto la Sentenza di merito, con conseguente rinvio alla Corte d'Appello di Perugia.