La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 1522, pronunciata all'udienza del 9 novembre 2017 (deposito motivazioni in data 15 gennaio 2018) ha preso in esame, in tema di diritto penale militare, una fattispecie relativa al reato di disobbedienza di cui all'art. 173 c.p.m.p.. In tale fattispecie, un sergente si era rifiutato di obbedire all'ordine di sottoscrivere, per presa visione e ricevuta di copia, l'atto con cui il comandante gli comunicava per iscritto un provvedimento sanzionatorio inflitto nei suoi confronti.
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato dall'imputato avverso la sentenza con cui la Corte Militare d'Appello di Roma, in riforma della sentenza di condanna del Tribunale Militare di Verona, lo aveva assolto dal reato di disobbedienza aggravata per particolare tenuità del fatto, applicando quindi la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..
La Corte, pur confermando la sussistenza del fatto e la sua commissione da parte dell'imputato, così come stabilito nella sentenza del Tribunale Militare di Verona, aveva riconosciuto nella condotta dell'imputato i requisiti di tale causa di non punibilità, in relaziona all'occasionalità della condotta, alla modalità di realizzazione della stessa ed alla lievità del pregiudizio arrecato.
Con il proprio ricorso, l'imputato contestava manifesta illogicità della motivazione nonché inosservanza od erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza stessa del fatto. Secondo il ricorrente, infatti, la Sentenza della Corte d'Appello non avrebbe sottoposto ad alcun vaglio i motivi esposti nell'atto d'appello.
In particolare, si sosteneva nel ricorso come il comandante avesse risposto in modo non veritiero, in sede dibattimentale, nell'affermare che il verbale che l'imputato si era rifiutato di sottoscrivere recasse la dicitura "per presa visione", la quale non era in realtà prevista per tale tipologia di procedure, richiedenti invece la notifica mediante consegna di copia; pertanto, se l'imputato avesse firmato il verbale, ciò avrebbe determinato esclusivamente il decorso dei termini per impugnare.
Inoltre, il comandante, che avrebbe utilizzato per le comunicazioni una modulistica risalente al 2011 e non più in vigore, aveva affermato che le obiezioni avanzate dall'imputato erano state verbalizzate, ma di ciò non risultava traccia nel verbale della riunione.
Ancora, nel ricorso si sosteneva l'infondatezza dell'affermazione della Corte per cui il dovere del superiore di comunicare per iscritto il provvedimento sanzionatorio e quello del militare cui viene inflitta la sanzione di obbedire all'ordine di sottoscrivere l'atto per presa visione discendano direttamente dalla legge; la Corte non avrebbe anzi considerato come l'aver seguito tale procedura da parte del comandante avrebbe comportato, in caso di sottoscrizione del verbale da parte dell'imputato, la mancata consegna al medesimo della documentazione a lui relativa, con una conseguente limitazione del diritto di difesa.
La procedura sarebbe quindi stata errata, e la ragionevole percezione da parte dell'imputato dell'illegittimità dell'ordine avrebbe dovuto escludere, sul piano dell'elemento soggettivo, il reato di disobbedienza, con eventuale permanenza, al più, di profili di rilevanza disciplinare. Il comandante, da parte sua, a fronte delle obiezioni da parte dell'imputato in merito all'illegittimità dell'ordine di sottoscrivere il verbale, avrebbe invece dovuto reiterare e confermare l'ordine; solo allora il militare sarebbe stato tenuto ad eseguirlo.
La Suprema Corte ha innanzitutto osservato come la Corte Militare d'Appello abbia richiamato un precedente, nella giurisprudenza di legittimità, relativo ad un caso esattamente identico a quello in esame. In tale pronuncia ("De Salvo", n. 8987, ud. 5 febbraio 2008, dep. motiv. 28 febbraio 2008) si era affermato come integri il reato di disobbedienza "il rifiuto del militare di sottoscrizione, per presa d'atto, del documento che attesta l'avvenuta inflizione a suo danno della sanzione disciplinare della consegna, per la quale il Regolamento di disciplina militare prevede la comunicazione per iscritto al soggetto punito".
Tuttavia, la Corte ha ritenuto come tale principio non possa essere applicato nella fattispecie oggetto del giudizio.
Infatti, successivamente alla menzionata pronuncia, è intervenuta una Sentenza della Corte Costituzionale (n. 39/2011), adita in merito alla legittimità dell'art. 173 c.p.m.p. in relazione agli artt. 3, 13, 24, 25 comma 2 e 112 Cost.; in particolare, il giudice a quo aveva prospettato un problema di violazione, da parte di tale norma, dei principi di legalità e determinatezza, in quanto l'individuazione del comportamento penalmente rilevante sarebbe totalmente rimessa alla volontà del superiore gerarchico che emana l'ordine cui il militare disobbedisce.
La Consulta dichiarò la manifesta infondatezza di tale questione, ma ebbe occasione di soffermarsi sulla struttura e sull'ambito operativo di tale reato, affermando come esso non fosse riconducibile allo schema della norma penale in bianco. La norma di cui all'art. 173 c.p.m.p. deve infatti essere interpretata alla luce degli artt. 52 Cost. e 4 l. 382/78 ("Norme di principio sulla disciplina militare"): conseguentemente, commette il reato di disobbedienza il militare che non ottempera non ad un qualunque ordine impartitogli, ma solo a quello funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non eccedente i compiti di istituto.
La Corte ebbe infatti modo di osservare come la "tutela apprestata dalla norma censurata non è il prestigio del superiore in sé e per sé considerato, ma il corretto funzionamento dell'apparato militare, in vista del conseguimento dei suoi fini istituzionali, così come puntualmente messo in rilievo da quella giurisprudenza di legittimità e di merito che ha sottolineato che l'ordine deve sempre avere fondamento nell'interesse del servizio o della disciplina e non può trovare causa in pretese di carattere personale o in contrasti di natura privata tra superiore e inferiore".
Pertanto, applicando tali statuizioni nella fattispecie in esame, la Suprema Corte ha affermato come sia necessario effettuare, ai fini del giudizio circa la sussistenza del reato di disobbedienza, tre verifiche:
1) "se l'ordine di sottoscrivere "per presa visione" il verbale di riunione della commissione di disciplina e successivamente l'avviso di conclusione del procedimento fosse conforme, ai sensi dell'art. 4 comma 4 l. 382/1978, alle norme in vigore all'epoca dello stesso";
2) "se l'ordine concernesse la disciplina riguardante il servizio;
3) "se l'ordine non eccedesse i compiti di istituto ed attenesse, quindi, ai sensi dell'art. 5 comma 1 D.P.R. 545/86, al servizio ed alla disciplina".
All'epoca della pronuncia della Corte di Cassazione "De Salvo", i giudici di legittimità aderirono alla tesi accusatoria: si rilevò infatti come l'art. 59 D.P.R. 545/1986 (Regolamento di disciplina militare) stabilisse lo svolgersi del procedimento disciplinare "oralmente in tutte le sue fasi, che vanno dalla contestazione degli addebiti, alla comunicazione all'interessato del provvedimento adottato"; l'art. 64 del medesimo D.P.R. prevedeva invece, nel caso in cui la sanzione inflitta fosse quella della consegna (come accaduto nella fattispecie in esame), che al soggetto punito venisse data comunicazione scritta, da trascriversi nella documentazione personale del militare; tale trascrizione legittimava la prova scritta della presa d'atto da parte del medesimo.
Nella motivazione di tale pronuncia si osservò infatti: "E' vero che, così come nel caso delle notifiche di atti processuali in genere, il rifiuto di sottoscrizione opposto dal destinatario non blocca il relativo iter, ma nel caso della disciplina militare, dove è generalizzato l'obbligo di obbedienza all'ordine legittimo del superiore, la diversa scelta legislativa, cui deve ovviamente seguire l'invito a sottoscrivere la comunicazione della punizione inflitta, si pone come funzionale (rispondendo così al requisito di legittimità costituzionalmente imposto, come giustamente evoca la decisione impugnata) e attinente al servizio, tutelando anche l'interesse del militare punito, il cui fascicolo personale viene ad introitare l'atto".
La Suprema Corte ha tuttavia rilevato come la conclusione cui pervenne la pronuncia "De Salvo" non possa essere applicata alla fattispecie oggetto del ricorso, essendo nel frattempo mutato il quadro normativo di riferimento.
All'epoca in cui svolsero i fatti, era già entrata in vigore la nuova disciplina, introdotta con il D.Lgs. n. 66/2010 ("Codice dell'ordinamento militare"). Tale disciplina prevede, all'art. 1398 comma 4, che "la decisione dell'autorità competente è comunicata verbalmente senza ritardo all'interessato anche se l'autorità stessa non ritiene di far luogo all'applicazione di alcuna sanzione", mentre al comma 5 si afferma che "al trasgressore è comunicato per iscritto il provvedimento sanzionatorio contenente la motivazione, salvo che sia stata inflitta la sanzione del richiamo".
Dunque, in forza di tale disciplina, è vero come nel caso di specie la sanzione della consegna di rigore inflitta all'imputato richiedesse la comunicazione per iscritto del relativo provvedimento, corredato da motivazione; tuttavia, a differenza di quanto stabilito nella Sentenza "De Salvo", stante il mutamento della disciplina di riferimento, l'ordine di sottoscrizione per presa visione non era funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, essendo attinente ad un atto avente natura esclusivamente endoprocedimentale.
Quanto affermato nella Sentenza del 2008 della Corte di Cassazione, quindi precedentemente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 39/2011, "presupponeva un diverso quadro normativo di riferimento in cui la notifica del provvedimento sanzionatorio avveniva attraverso la sottoscrizione per presa visione, per cui l'ordine del superiore era, non soltanto legittimo, ma anche funzionale e attinente al servizio, determinando l'obbligo di obbedienza del militare sottoposto".
Tali ultime considerazioni non sono invece più attuali a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 66/2010: i giudici di legittimità hanno pertanto stabilito come, nell'ipotesi di un rifiuto di sottoscrizione per presa visione da parte del militare, non sia più integrato il reato di cui all'art. 173 c.p.m.p..
Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha pertanto ritenuto fondato il ricorso proposto dall'imputato, annullando senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto.
All'epoca della pronuncia della Corte di Cassazione "De Salvo", i giudici di legittimità aderirono alla tesi accusatoria: si rilevò infatti come l'art. 59 D.P.R. 545/1986 (Regolamento di disciplina militare) stabilisse lo svolgersi del procedimento disciplinare "oralmente in tutte le sue fasi, che vanno dalla contestazione degli addebiti, alla comunicazione all'interessato del provvedimento adottato"; l'art. 64 del medesimo D.P.R. prevedeva invece, nel caso in cui la sanzione inflitta fosse quella della consegna (come accaduto nella fattispecie in esame), che al soggetto punito venisse data comunicazione scritta, da trascriversi nella documentazione personale del militare; tale trascrizione legittimava la prova scritta della presa d'atto da parte del medesimo.
Nella motivazione di tale pronuncia si osservò infatti: "E' vero che, così come nel caso delle notifiche di atti processuali in genere, il rifiuto di sottoscrizione opposto dal destinatario non blocca il relativo iter, ma nel caso della disciplina militare, dove è generalizzato l'obbligo di obbedienza all'ordine legittimo del superiore, la diversa scelta legislativa, cui deve ovviamente seguire l'invito a sottoscrivere la comunicazione della punizione inflitta, si pone come funzionale (rispondendo così al requisito di legittimità costituzionalmente imposto, come giustamente evoca la decisione impugnata) e attinente al servizio, tutelando anche l'interesse del militare punito, il cui fascicolo personale viene ad introitare l'atto".
La Suprema Corte ha tuttavia rilevato come la conclusione cui pervenne la pronuncia "De Salvo" non possa essere applicata alla fattispecie oggetto del ricorso, essendo nel frattempo mutato il quadro normativo di riferimento.
All'epoca in cui svolsero i fatti, era già entrata in vigore la nuova disciplina, introdotta con il D.Lgs. n. 66/2010 ("Codice dell'ordinamento militare"). Tale disciplina prevede, all'art. 1398 comma 4, che "la decisione dell'autorità competente è comunicata verbalmente senza ritardo all'interessato anche se l'autorità stessa non ritiene di far luogo all'applicazione di alcuna sanzione", mentre al comma 5 si afferma che "al trasgressore è comunicato per iscritto il provvedimento sanzionatorio contenente la motivazione, salvo che sia stata inflitta la sanzione del richiamo".
Dunque, in forza di tale disciplina, è vero come nel caso di specie la sanzione della consegna di rigore inflitta all'imputato richiedesse la comunicazione per iscritto del relativo provvedimento, corredato da motivazione; tuttavia, a differenza di quanto stabilito nella Sentenza "De Salvo", stante il mutamento della disciplina di riferimento, l'ordine di sottoscrizione per presa visione non era funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, essendo attinente ad un atto avente natura esclusivamente endoprocedimentale.
Quanto affermato nella Sentenza del 2008 della Corte di Cassazione, quindi precedentemente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 39/2011, "presupponeva un diverso quadro normativo di riferimento in cui la notifica del provvedimento sanzionatorio avveniva attraverso la sottoscrizione per presa visione, per cui l'ordine del superiore era, non soltanto legittimo, ma anche funzionale e attinente al servizio, determinando l'obbligo di obbedienza del militare sottoposto".
Tali ultime considerazioni non sono invece più attuali a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 66/2010: i giudici di legittimità hanno pertanto stabilito come, nell'ipotesi di un rifiuto di sottoscrizione per presa visione da parte del militare, non sia più integrato il reato di cui all'art. 173 c.p.m.p..
Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha pertanto ritenuto fondato il ricorso proposto dall'imputato, annullando senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto.