Con la Sentenza n. 40127, pronunciata all'udienza del 9 luglio 2018 (deposito motivazioni in data 6 settembre 2018), la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha preso in esame la questione relativa alla ricorribilità per cassazione dell'ordinanza ex art. 410 bis c.p.p. emessa all'esito del procedimento di reclamo presentato dalla persona offesa avverso il provvedimento di archiviazione.
Nella fattispecie, il Tribunale di Novara, pronunciandosi su di un reclamo proposto dalla persona offesa ex art. 410 bis c.p.p., aveva confermato il decreto di archiviazione del procedimento nei confronti dell'imputato per il reato di violazione di domicilio.
La persona offesa aveva pertanto proposto ricorso per cassazione, contestando violazione di legge per la mancata instaurazione del contraddittorio a seguito della proposizione dell'opposizione alla richiesta di archiviazione.
La Suprema Corte ha innanzitutto premesso che la l. 103/2017 ha, come noto, modificato il regime di impugnabilità del provvedimento di archiviazione, mediante l'abrogazione dell'art. 409 comma 6 c.p.p. e l'introduzione di una nuova, specifica disciplina contenuta nell'art. 410 bis c.p.p.. Tale norma sostituisce il ricorso per cassazione con il reclamo innanzi al Tribunale in composizione monocratica; l'ordinanza conclusiva di tale procedimento - hanno ricordato i giudici di legittimità - risulta non impugnabile per espressa previsione dell'art. 410 bis comma 3 c.p.p.. Conseguentemente, in virtù del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, non è possibile proporre ricorso per cassazione avverso tale ordinanza e, qualora tale ricorso venga ugualmente presentato, esso deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 comma 1 c.p.p..
A quest'ultimo riguardo, il ricorrente aveva sostenuto come l'espressa inoppugnabilità dell'ordinanza in oggetto non fosse in realtà ostativa alla proponibilità del ricorso per cassazione: ciò in quanto la disposizione di cui all'art. 410 bis comma 3 c.p.p. andrebbe interpretata in senso costituzionalmente orientato, nel rispetto, in particolare dell'art. 24 Cost., con conseguente ammissibilità del ricorso.
Pronunciandosi su tale argomentazione, la Corte ha ricordato come l'art. 111 comma 7 Cost. preveda come garanzia costituzionale il ricorso per cassazione, ma con esclusivo riferimento alle sentenze ed ai provvedimenti in materia di libertà personale.
Con riferimento all'ordinanza conclusiva del procedimento di reclamo, i giudici di legittimità hanno osservato come la più recente giurisprudenza della Corte abbia escluso che la stessa abbia natura e carattere sostanziale di sentenza (Sez. VI, n. 17535 del 23/03/2018; sentenza già oggetto di un articolo pubblicato su questo blog, ndr: https://ordinamentopenale.blogspot.com/2018/08/procedimento-di-reclamo-ex-art-410-bis.html).
I provvedimenti in materia di archiviazione - si è osservato- sono infatti privi di uno specifico valore decisorio che non sia quello rebus sic stantibus, attesa la loro revocabilità mediante lo strumento della riapertura delle indagini; a maggior ragione, il provvedimento conclusivo della procedura di reclamo non comporta alcun effetto definitorio della regiudicanda, essendo tale procedura attivabile solo in relazione alle violazioni del contraddittorio previste dall'art. 410 bis comma 1 c.p.p. e certo non con riguardo a questioni che attengano al merito della decisione cui si riferisce tale procedura.
La Corte ha poi osservato come non sia possibile travalicare i limiti previsti dall'art. 111 Cost. in relazione all'accesso alla giurisdizione di legittimità neppure invocando il diritto costituzionale di difesa ex art. 24 Cost.: tale norma, infatti, al secondo comma si limita a garantire l'esercizio di tale diritto in ogni stato e grado del procedimento, ma non prevede certamente una specifica articolazione dei gradi in cui debba svolgersi il procedimento medesimo. Se così non fosse, d'altra parte, sarebbe infatti svuotato di contenuto l'art. 111 comma 7 Cost. e si produrrebbe l'effetto - ovviamente da escludersi - di una proponibilità costituzionalmente necessaria di impugnazioni tendenzialmente all'infinito.
Infine, i giudici di legittimità hanno altresì escluso un contrasto tra l'art. 410 bis comma 3 c.p.p. e le disposizioni CEDU: esse infatti prevedono la garanzia del doppio grado di giurisdizione solo in caso di condanna e, volendo estendere tale garanzia alla fattispecie in esame, essa sarebbe comunque assicurata dalla stessa procedura di reclamo.
Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte ha dunque dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla persona offesa.