sabato 10 novembre 2018

Giurisprudenza di legittimità 2018 in tema di giudizio abbreviato (parte 6), Sezioni Unite: a quali reati dev'essere applicata la riduzione di pena ex art. 442 comma 2 c.p.p. in caso di applicazione della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato?

Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 35852, pronunciata all'udienza del 22 febbraio 2018 (deposito motivazioni in data 26 luglio 2018), hanno preso in esame la seguente questione di diritto: in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato, a quali di essi debba essere applicata la riduzione di un terzo della pena ex art. 442 comma 2 c.p.p., e se sia al riguardo in qualche modo rilevante la distinzione tra il reato che integri la violazione più grave ed i reati satellite.

Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Napoli, in sede di giudizio di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione, aveva parzialmente riformato le precedenti sentenze di condanna per i reati di cui agli artt. 416 bis commi 1-6 e 8 c.p., 74 D.P.R. 309/90, 10, 12 e 14 l. 497/74 e 7 l. 203/91; la Corte aveva proceduto a rideterminare la pena in complessivi anni ventisei di reclusione a seguito del riconoscimento della continuazione tra i reati in esame, giudicati con rito abbreviato, ed altri oggetto di precedenti sentenze della Corte d'Assise d'Appello e dalla Corte d'Appello di Napoli.

L'annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte aveva avuto ad oggetto esclusivamente la questione relativa all'applicazione della continuazione con i reati oggetto delle precedenti condanne a carico dell'imputato, giudicati, a differenza di quelli più recenti, con rito ordinario.
In sede di rinvio, la Corte d'Appello di Napoli aveva seguito il principio per cui la riduzione della pena per il rito alternativo dev'essere operata solo su quella inflitta all'esito del giudizio abbreviato, se il reato più grave è stato giudicato con il rito speciale. La Corte territoriale, pertanto, aveva individuato una pena base di anni ventiquattro di reclusione per il reato più grave di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90, l'aveva aumentata ad anni trentadue di reclusione per la recidiva specifica contestata e, ancora, ad anni trentotto di reclusione per la continuazione con gli altri delitti per cui l'imputato era stato condannato con l'ultimo giudizio; aveva poi ridotto la pena dapprima ad anni trenta di reclusione ex art. 78 c.p. e poi ad anni venti di reclusione in applicazione della diminuente per il rito abbreviato ed infine aveva aumentato la pena di anni tre di reclusione per ciascuno dei reati satellite già divenuti irrevocabili, in virtù del riconoscimento della continuazione. La pena finale era quindi stata individuata in anni ventisei di reclusione.

Con il proprio ricorso, l'imputato lamentava la violazione degli artt. 81 c.p., 442 comma 2 e 533 comma 2 c.p.p. nonché carenza, contraddittorietà, illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena ed al mancato riconoscimento della continuazione con i reati oggetto delle precedenti sentenze divenute irrevocabili.
In particolare, il ricorrente sosteneva come la Corte d'Appello fosse incorsa in errore nella determinazione della pena, avendo applicato un aumento di anni sei di reclusione per la continuazione con i reati precedentemente giudicati; i giudici di merito - secondo l'imputato - avrebbero invece dovuto aumentare la pena base per la continuazione con tutti gli altri reati giudicati, compresi quelli oggetto delle precedenti sentenze irrevocabili, e solo all'esito di tale aumento avrebbero dovuto operare la riduzione per il rito abbreviato, così da non attribuire alcuna rilevanza al fatto che i reati satellite fossero stati giudicati con rito ordinario.
L'imputato chiedeva pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza, a seguito di rideterminazione della pena da parte della Suprema Corte, ed in subordine l'annullamento con rinvio alla Corte d'Appello per un nuovo esame della questione.

Nel nuovo giudizio di legittimità, la Quinta Sezione Penale della Suprema Corte ha ravvisato un contrasto giurisprudenziale con riguardo al tema dell'incidenza della diminuzione per il rito abbreviato nei casi di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con tale rito speciale ed altri giudicati con rito ordinario, ed ha pertanto rimesso il ricorso alle Sezioni Unite; nel caso di specie, la scelta dell'uno o dell'altro orientamento avrebbe comportato l'individuazione di pene finali molto diverse tra di loro. 
Il contrasto giurisprudenziale ravvisato dai giudici di legittimità si è posto in questi termini:
1) secondo un primo orientamento, seguito dalla Corte d'Appello di Napoli, in caso di applicazione in sede esecutiva della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato, la riduzione di pena ex art. 442 comma 2 c.p.p. deve essere applicata solo sulla pena inflitta per i secondi, quand'anche si tratti di quella irrogata per il reato più grave da porre a fondamento del calcolo della pena complessiva; ne consegue che l'aumento a titolo di continuazione dev'essere applicato solo in seguito alla riduzione della pena per i reati giudicati con rito abbreviato;

2) un secondo orientamento sostiene invece che, allorché il reato più grave tra quelli posti in continuazione sia stato giudicato con rito abbreviato, la riduzione di pena in virtù della scelta del rito speciale vada applicata solo a seguito dell'aumento operato a titolo di continuazione con tutti i reati satellite, a prescindere dal rito con il quale essi siano stati giudicati.
Tale orientamento giurisprudenziale è stato fondato su di un precedente arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite Penali (n. 45583/2007), a mente del quale l'operazione di riduzione della pena per il rito abbreviato è prettamente commisurativa e si colloca a valle di tutte le altre, compresa quella di cui all'art. 81 cpv. c.p.. 
In base a tale seconda tesi, quindi, "i reati giudicati con rito ordinario diverrebbero così, in ragione del cumulo con quello più grave accertato in abbreviato, oggetto del rito speciale, sebbene limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio"; ciò in quanto "l'applicazione della continuazione tra reato già giudicato e reato sub iudice implica in ogni caso una riconsiderazione del fatto già definitivamente accertato sia pure al solo fine di riconoscerne la dipendenza da un unico disegno criminoso, restando solo precluso un giudizio, non più modificabile, sul fatto costituente reato, ma non la rettificazione del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna".

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno innanzitutto osservato come il contrasto giurisprudenziale in discorso sussista solo nel caso in cui la violazione più grave sia stata giudicata con il rito abbreviato, mentre i reati satellite, avvinti alla prima dal vincolo della continuazione, siano stati oggetto di rito ordinario. Nel caso inverso, infatti, la giurisprudenza di legittimità è pacifica nel sostenere che la diminuzione di un terzo conseguente alla scelta del rito speciale debba essere operata esclusivamente sull'aumento di pena computato per i reati satellite giudicati con rito abbreviato.
Inoltre, si è osservato come la questione in oggetto sorga sia nell'ipotesi in cui la valutazione sia effettuata dal giudice della cognizione che proceda con il rito abbreviato e ritenga che alcuni reati già oggetto di sentenze definitive debbano essere riuniti con quello/i oggetto del giudizio pendente; sia nel caso in cui la medesima valutazione sia invece effettuata dal giudice dell'esecuzione, chiamato nell'ambito del procedimento ex art. 671 c.p.p., a riconoscere il vincolo della continuazione tra più reati oggetto di differenti sentenze irrevocabili, alcune emesse all'esito di giudizio abbreviato, altre di giudizio ordinario.

Con riguardo al primo orientamento giurisprudenziale sopra esposto, la Corte ha evidenziato come esso si fondi sulla natura processuale della diminuzione di pena prevista dall'art. 442 comma 2 c.p.p., con la conseguente applicabilità di essa soltanto alle pene inflitte per i reati giudicati con rito abbreviato; in altre parole - si è osservato - l'autonomia dei procedimenti ed il principio di premialità comportano che tale diminuente debba essere riconosciuta solo in relazione al rito speciale, senza estensioni oltre i casi espressamente previsti, con la conseguenza per cui la riduzione resta subordinata alla pronuncia di una condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato.
L'opposta soluzione interpretativa, invece, "darebbe luogo ad un'ingiustificata omologazione del trattamento per situazioni radicalmente diverse, equiparando la posizione dell'imputato giudicato col rito abbreviato a quella dell'imputato giudicato col rito ordinario" d'altra parte, anche la più recente giurisprudenza di legittimità ha sottolineato la funzione premiale di cui all'art. 442 comma 2 c.p.p. dovuta alla scelta dell'imputato di procedere nelle forme del rito abbreviato, mentre tale funzione "sarebbe del tutto assente nell'ipotesi dell'eventuale applicazione del beneficio successivamente alla definizione irrevocabile del giudizio"; ancora, lo stesso testo dell'art. 533 c.p.p. attribuisce rilevanza, in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, alle norme sul concorso di reati o di pene o sulla continuazione, e non invece alle norme sui riti.

Relativamente al secondo orientamento, i giudici di legittimità hanno rilevato come esso abbia preso a proprio sostegno due pronunce delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
La prima di esse (n. 45583/07, "Volpe") aveva affermato che l'implicito richiamo effettuato dall'art. 442 comma 2 c.p.p. ("in caso di condanna, la pena che il giudice determina è diminuita di un terzo") alla disposizione di cui all'art. 533 c.p.p. ("se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione") potesse far ritenere la riduzione per il rito abbreviato un posterius rispetto alle altre operazioni di determinazione della pena previste dalla legge, come quella di cui all'art. 78 c.p. Inoltre, dovrebbe considerarsi indiscutibile, secondo tale orientamento, che l'aumento per la continuazione debba essere effettuato anteriormente alla riduzione per la scelta del rito, la quale opera "sulla pena determinata in concreto per tutti i reati che hanno formato oggetto del giudizio abbreviato e che abbiano dato luogo alla configurazione del reato continuato".
Traendo spunto da una seconda pronuncia delle Sezioni Unite, molto più risalente (n. 7682/1986, "Nicolini") si considerano i reati satellite, giudicati con le sentenze irrevocabili emesse all'esito di rito ordinario, "oggetto del giudizio abbreviato", nell'ambito del quale il giudice della cognizione proceda ad emettere sentenza di condanna per il reato più grave. Al riguardo, si è infatti osservato come non vi sia dubbio che "formino oggetto del rito speciale, sebbene limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, anche i reati già giudicati che abbiano dato luogo alla configurazione del reato continuato, quando la pena irrogata con la precedente sentenza non sia mantenuta ferma ma sia stata complessivamente rideterminata sulla base di quella da infliggersi per il reato più grave sottoposto al giudizio (abbreviato) in corso con applicazione dell'aumento ritenuto equo in riferimento al reato meno grave già giudicato". 
Nella menzionata pronuncia delle Sezioni Unite si affermava che "l'applicazione della continuazione tra reato già giudicato e reato sub iudice implica in ogni caso una riconsiderazione del fatto già definitivamente accertato sia pure al solo fine di riconoscerne la dipendenza da un unico disegno criminoso", restando solo precluso un giudizio, non più modificabile, sul fatto costituente reato, ma non la rettificazione del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna".

Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno rilevato come la Corte Costituzionale, fin dalle prime pronunce in tema di giudizio abbreviato, abbia evidenziato la natura processuale della diminuente di cui all'art. 442 comma 2 c.p.p., con un argomento che si pone dunque a sostegno del primo degli orientamenti giurisprudenziali sopra esposti.
Già infatti all'indomani dell'entrata in vigore del nuovo codice, la Consulta, con la Sentenza n. 277/90, osservò come il rito abbreviato "abbia lo scopo di assicurare la rapida definizione del maggior numero di processi" e "poiché lo scopo dell'istituto del procedimento abbreviato è quello di consentire la sollecita definizione del giudizio, escludendo la fase dibattimentale, è del tutto razionale che, per i reati pregressi e per i procedimenti in corso, tale istituto sia stato reso applicabile soltanto quando il suo scopo possa essere ugualmente perseguito, e cioè soltanto quando non si sia ancora giunti al dibattimento".
Con la Sentenza n. 284/90, la Corte Costituzionale affermava invece che "l'adozione del rito abbreviato col conseguente beneficio, in caso di condanna, della riduzione della pena, non che estranea alla condotta dell'imputato, presuppone al contrario l'impulso costituito dalla richiesta dell'imputato stesso. Tale richiesta comporta la rinuncia alle maggiori possibilità di verifica dei fatti offerte dal dibattimento, nonché una limitazione del potere di proporre appello contro la sentenza pronunciata a conclusione del giudizio. Che poi si tratti di un'attività dell'imputato in sede processuale, non attinente perciò alla commissione del reato, è altra questione che (...) rappresenta uno degli elementi caratterizzanti il nuovo istituto".
Dal canto loro, le stesse Sezioni Unite, con la Sentenza n. 7707/1991, esclusero che la diminuente ex art. 442 c.p.p. potesse in alcun modo essere assimilabile alle circostanze del reato e dunque da considerare ai fini della determinazione della pena rilevante per la determinazione del tempo necessario per la maturazione della prescrizione del reato ex art. 157 comma 2 c.p.. In tale Sentenza si osservò infatti che: "la diminuente ex art. 442 comma 2 c.p.p. (...) risponde a un'esigenza utilitaristica di sollecita definizione dei giudizi, proponendo all'imputato uno sconto secco della pena, già determinata, come premio della scelta del rito abbreviato contro la rinunzia alle maggiori garanzie del dibattimento. L'istituto - che nel nostro ordinamento giuridico ha carattere di assoluta originalità - assolve, nell'intendimento del legislatore, alla funzione di prevenzione generale correlata alla stessa definizione rapida dei processi, per la quale la sollecita assicurazione della pronunzia di condanna o di proscioglimento realizza più e meglio di tardive e pesanti condanne o di snervantemente attesi proscioglimenti, il conseguimento dello scopo del processo penale teso a garantire la effettività dell'attuazione corretta e incisiva del diritto penale sostanziale. La definizione della diminuente come incentivo al cosiddetto "patteggiamento sul rito", congeniale all'obiettivo della deflazione processuale, trova conferma esplicita nella Legge Delega 81/1987 (art. 2, direttiva n. 53) e nella relazione al progetto preliminare".
Dunque - ha osservato la Corte - fin dai primi anni di applicazione del nuovo codice di rito non vi è mai stato alcun dubbio circa la natura processuale della diminuente di cui all'art. 442 comma 2 c.p.p..

Non sono invece parse convincenti, alle Sezioni Unite, le ragioni poste a fondamento del secondo degli orientamenti giurisprudenziali in conflitto.
La Corte ha infatti osservato come la stessa pronuncia "Volpe" del 2007, menzionata dai sostenitori di tale orientamento, smentisca in realtà, nella sua seconda parte, tale tesi.
Essa infatti affermò come "la ratio legis dell'art. 442 comma 2 c.p.p. è, d'altra parte, quella di garantire all'imputato in ogni singolo processo un vantaggio conseguente alla scelta strategica del rito alternativo in ordine a tutte le imputazioni contestate in quello specifico processo, e questo vantaggio viene assicurato in ciascuno dei processi celebrati con tale rito e conclusisi con la condanna, all'esito di ognuno dei quali si determina la pena applicando la relativa diminuente; quest'ultima opera, dunque, in modo identico nei confronti di tutti coloro che si trovano nel medesimo contesto processuale, ma non può, viceversa, per alcun profilo essere duplicata in sede esecutiva, laddove si debba procedere al cumulo materiale o giuridico delle pene inflitte per più reati in distinti procedimenti, nei quali l'imputato ha di volta in volta ritenuto di attivare, o non, la scelta deflativa del rito speciale".
I giudici di legittimità hanno inoltre ritenuto improprio l'argomento consistente nel richiamo al combinato disposto degli artt. 442 comma 2 c.p.p. e 533 comma 2 c.p.p..
Da un lato, infatti, è vero che, nel rito abbreviato, il giudice applica la riduzione di pena tenendo conto "di tutte le circostanze", compresa anche, con tale espressione, la continuazione tra i reati contestati, stante il richiamo all'art. 533 comma 2 c.p.p.; tuttavia, tale riduzione di pena è operata in quanto tali reati sono stati giudicati con un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, con la conseguenza per cui il riconoscimento della continuazione, in relazione a reati giudicati con rito ordinario, non può certamente essere seguita dall'applicazione della diminuente in discorso.
In altri termini - hanno osservato le Sezioni Unite - "l'ordine che il giudice deve seguire nelle operazioni di calcolo della pena, nel quale la diminuente del rito è successiva a tutte le altre, è funzionale ad un processo in cui sono stati giudicati tutti i reati riuniti per continuazione al fine di determinare una pena complessiva; non lo è più se alcuni reati sono stati giudicati in separati processi celebrati con rito ordinario". La tesi invece per cui anche i reati giudicati con rito ordinario andrebbero considerati oggetto del rito speciale, e dunque meritevoli di beneficiare della riduzione per il rito alternativo, "si risolve in una ricostruzione che non soltanto è artificiosa e non ha alcuna base normativa, ma che appare in irriducibile contrasto con la natura e la ratio dell'istituto premiale".
Dopotutto, la circostanza per cui i precedenti fatti vengano riconsiderati dal giudice del giudizio abbreviato ai fini del riconoscimento del vincolo della continuazione, con la conseguente possibilità per l'organo giudicante di intervenire sulle pene precedentemente inflitte, non significa affatto che per tali reati venga celebrato un nuovo processo, cosa per altro impossibile da porre in essere, sia per il giudice della cognizione sia per quello dell'esecuzione.
Come già evidenziato, d'altra parte, la riduzione di pena di cui all'art. 442 comma 2 c.p.p. è legata ad una scelta dell'imputato effettuata nel giudizio di cognizione entro limiti temporali fissati perentoriamente dal codice di rito: non sarebbe quindi possibile operare tale diminuzione anche sulle pene inflitte per reati in relazione ai quali si era scelto di procedere con il rito ordinario, pena la violazione del principio di uguaglianza, che impone un trattamento diverso per situazioni diverse.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, aderendo al primo degli orientamenti giurisprudenziali tra di loro in contrasto, hanno dunque affermato il seguente principio di diritto: "L'applicazione della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi deve operare la riduzione di un terzo della pena a norma  dell'art. 442 comma 2 c.p.p.".
Conseguentemente, i giudici di legittimità hanno ritenuto infondato, e dunque rigettato, il ricorso dell'imputato fondato sulla contestazione della sentenza di merito per non aver applicato la diminuente di un terzo all'aumento per la continuazione computata per i reati precedentemente giudicati con sentenze irrevocabili emesse all'esito di giudizio ordinario.