La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 574, pronunciata all'udienza del 9 luglio 2019 (deposito motivazioni in data 10 gennaio 2020), ha preso in esame la questione relativa alla configurabilità della circostanza aggravante della premeditazione del delitto di omicidio nell'ipotesi di mera preordinazione del medesimo, ossia di apprestamento dei mezzi minimi necessari alla sua esecuzione nella fase ad essa immediatamente precedente.
Il giudizio di legittimità ha tratto origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la Sentenza con cui la Corte d'Assise d'Appello di Firenze aveva confermato la pronuncia di condanna resa dal Giudice dell'Udienza Preliminare di Lucca per i delitti di omicidio pluriaggravato, atti persecutori aggravati e furto in abitazione aggravato commessi nei confronti di persona alla quale egli era stato legato da relazione affettiva.
Con uno dei motivi di ricorso, si contestava la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione.
L'imputato sosteneva come i giudici d'appello fossero caduti in errore nel ritenere dimostrato che egli avesse svolto un'accurata pianificazione della condotta concretizzatasi nell'aggressione mortale nei confronti della vittima, senza mai desistere dal proprio proposito delittuoso. La Corte territoriale aveva infatti confuso gli elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione con la diversa situazione consistente nella mera preordinazione del delitto. Tra le due fattispecie intercorrerebbe invece una sostanziale differenza: la prima richiederebbe infatti il radicamento e la costante persistenza del proposito omicida, quantomeno per un apprezzabile lasso di tempo; la seconda, invece, consisterebbe nell'apprestamento dei mezzi minimi necessari all'esecuzione nella fase immediatamente antecedente all'azione.
La Corte di Cassazione ha innanzitutto osservato come i giudici di merito abbiano ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante in discorso sulla base, innanzitutto, dell'elemento cronologico della medesima: si era infatti affermato come il proposito omicida fosse insorto fin dalle ore 08.00 del mattino (quando all'imputato era stato contestato, da parte della vittima, il furto del telefono cellulare, con minaccia di sporgere denuncia nei suoi confronti) e come si fosse poi definitivamente radicato alle ore 11.30, allorchè la vittima aveva riferito all'imputato di aver effettivamente proceduto alla presentazione della denuncia medesima.
Secondo la sentenza della Corte d'Appello, quindi, era trascorso un lasso di tempo congruo, ai fini del riconoscimento della premeditazione, sia sotto il profilo quantitativo (era trascorsa non meno di un'ora e mezza) sia sotto quello qualitativo, essendosi verificati dei fatti tali da poter indurre l'imputato a desistere dal proprio proposito delittuoso.
L'intenzione criminosa era infatti perdurata senza alcun cedimento, avendo l'imputato dapprima predisposto i mezzi dell'azione (una lattina riempita di liquido infiammabile), ed essendosi poi recato presso l'abitazione della persona offesa, ove aveva visto la medesima insieme ai figli, senza che ciò avesse inciso minimamente sulla sua coscienza di padre. Egli, infatti, aveva proceduto con l'individuazione del luogo più adatto all'azione ed aveva poi appiccato con freddezza il fuoco al corpo della donna.
I giudici di legittimità hanno tuttavia ritenuto non persuasiva l'argomentazione dei giudici di merito, stante, innanzitutto, l'omessa dimostrazione, al di là di ogni ragionevole dubbio, del preciso momento in cui potesse ritenersi accertata la maturazione del proposito omicidiario in capo all'imputato, con la conseguente osservazione critica circa la limitatezza dell'intervallo di tempo cui ricollegare l'elemento cronologico della circostanza aggravante in discorso.
A questo riguardo, la Corte ha ricordato come, secondo consolidata giurisprudenza, gli elementi costitutivi della premeditazione siano da rintracciarsi, da un lato, nell'elemento cronologico, definibile come un "apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso" e, dall'altro, nell'elemento di natura ideologica, ossia "la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine". Da ciò consegue, come affermato dalle Sezioni Unite Antonucci del 18 dicembre 2008 (n. 337), che "tale circostanza aggravante va esclusa quando l'occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, ossia tale da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato".
I giudici di legittimità hanno quindi rilevato come, con riferimento al primo di questi due elementi, esso ricorre nell'ipotesi del decorso di un intervallo di tempo apprezzabile tra l'insorgenza e l'attuazione del proposito delittuoso. L'entità di tale intervallo non può tuttavia essere quantificata in via generale ed astratta; è invece fondamentale accertare che "tale lasso sia risultato in concreto sufficiente a far riflettere l'agente sulla grave decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere, per modo che egli - avendo avuto il tempo adeguato a permettergli di attivare la controspinta inibitoria della pulsione criminosa formatasi nel suo orizzonte volitivo, ma non essendosi avvalso di questa concreta possibilità di recedere dal suo proposito antisociale, mantenendolo fermo senza soluzione di continuità - si sia reso, in tal modo, responsabile di un comportamento più riprovevole e, quindi, più grave".
Sulla base di tali principi - si è quindi osservato - non può essere ritenuto un sicuro indice rivelatore della premeditazione, con un proposito criminoso necessariamente coltivato nel tempo e mai abbandonato, il trascorrere dell'intervallo di una notte tra la preparazione e l'esecuzione della condotta; nè, ugualmente, può offrire certezza in tal senso la predisposizione di un agguato: essa, infatti, attiene alla realizzazione del delitto, e non è quindi idonea ad offrire un'adeguata dimostrazione circa la sussistenza di quel processo psicologico di "intensa riflessione e fredda determinazione" proprio della premeditazione.
Altra fondamentale osservazione al riguardo è stata quindi effettuata, da parte della Corte, con riferimento al rapporto tra la premeditazione e la normale riflessione, costituita dalla consapevolezza e volontà, rappresentante il precedente grado della scala del dolo. La premeditazione, infatti, è stata in tal senso definita come una "situazione psicologica e volitiva in cui emerge l'aggiunta di un quid pluris all'ordinario grado di riflessione comune alla maggior parte delle azioni delittuose dolose, perchè - quando attinge a tale grado - la riflessione dell'agente inerente al proposito di delinquere si caratterizza per la sua protrazione più o meno lunga nel tempo, senza soluzione di continuità, e conclama l'irriducibile continuità della conservazione del proposito stesso, ricercando o attendendo l'occasione per attuare il divisato reato, sicchè tale proposito resta robusto e sopravanza tutte le controspinte inibitorie che, nell'intervallo temporale suddetto, si presentano via via alla coscienza e che, ordinariamente, avrebbero vinto un normale proposito delittuoso". Solo, quindi, la sussistenza di questo quid pluris consente di attribuire alla condotta dell'agente una particolare perversità e pericolosità, con conseguente, congruo aumento di pena.
Tanto premesso, i giudici di legittimità hanno quindi rilevato, con riferimento, ancora, all'ipotesi di un agguato, come essa possa, in linea di principio, costituire indice rivelatore della premeditazione qualora esso "si traduca in un'imboscata o insidia preordinata, allorché postuli un appostamento, protratto per un tempo più o meno lungo, in attesa della vittima designata e in presenza di mezzi e modalità tali da non consentire dubbi sul reale intendimento dell'insidia; in tali condizioni, il pur non lunghissimo tempo dell'attesa può valere a soddisfare gli elementi - ideologico e cronologico - costitutivi della premeditazione, sempre che, però, risulti dimostrato che il delitto sia stato comunque deliberato da un arco di tempo apprezzabile e in concreto sufficiente a far riflettere l'agente sulla decisione presa". La premeditazione andrà invece esclusa allorché l'agguato sia avvenuto previo avvistamento casuale della vittima, o quando sia stato effettuato un appostamento mediante un'iniziativa estemporanea, senza che il proposito omicidiario sia maturato attraverso una lunga riflessione con possibilità di recesso prima del compimento dell'attentato.
Al contrario, la mera preordinazione del delitto di omicidio, ossia, come anticipato, l'apprestamento dei mezzi minimi necessari all'esecuzione nella fase ad essa immediatamente precedente, non può mai integrare la circostanza aggravante della premeditazione: la Corte infatti, ribadendo il principio di diritto affermato dalla Sentenza Scanni (n. 5147) pronunciata il 14 luglio 2015, ha rilevato come la premeditazione richieda "il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, in relazione al quale costituiscono indici sintomatici il previo studio delle occasioni ed opportunità per l'attuazione, un'adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive".
Corollario di tali principi - si è infine osservato - è quello per cui, quanto più il lasso di tempo intercorso tra l'insorgere nel soggetto agente del proposito criminoso e la sua attuazione sia stato circoscritto, tanto più specifica deve essere l'individuazione e la dimostrazione degli altri indici sintomatici dell'avvenuta deliberazione del piano omicidiario e della ferma e pervicace volontà dell'agente di portare lo stesso a termine senza cedimenti.
Nel caso di specie - ha rilevato la Corte - i giudici d'appello hanno attribuito particolare rilevanza al periodo di tempo successivo alle ore 11.30, allorchè si formava nell'imputato il proposito omicidiario, non essendosi soddisfatta la condizione (necessaria al fine di abbandonare tale proposito) consistente nel dissuadere la vittima dalla propria volontà di sporgere denuncia nei confronti dell'uomo.
Il Collegio ha tuttavia ritenuto come tale intervallo di tempo sia da considerarsi inidoneo strutturalmente e funzionalmente ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della premeditazione. Esso, infatti, è stato considerato, da un lato, obiettivamente esiguo da un punto di vista quantitativo; dall'altro caratterizzato, in primo luogo, da una pluralità di condotte dal carattere concretamente ed ininterrottamente preparatorio ed esecutivo dell'azione omicidiaria deliberata, e poi dall'autonomo sopraggiungere della vittima sul luogo dell'incontro conclusivo.
Per tali ragioni, si è ritenuto come sia problematico individuare, in tale intervallo di tempo, un lasso sufficiente affinché l'imputato "potesse essere indotto a riflettere sulla decisione poc'anzi presa", e senza che si possa porre a ciò rimedio attraverso il richiamo di elementi relativi alle altre circostanze aggravanti contestate all'imputato.
La Corte ha quindi affermato come le evenienze di fatto prese in esame dai giudici di merito rivelino la mera preordinazione dell'omicidio, avvenuta durante il periodo di tempo sopra considerato, e come difettino invece elementi per affermare che si fosse "determinata nella predisposizione e nella realizzazione della condotta messa in essere dall'imputato e finalizzata all'omicidio anche la duplice convergenza degli elementi costitutivi della premeditazione".
Sulla base di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione ha quindi disposto l'annullamento senza rinvio della Sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Firenze, limitatamente all'accertamento della circostanza aggravante della premeditazione, che ha provveduto ad escludere.