sabato 25 giugno 2022

Sicurezza sul lavoro: i casi di esclusione della responsabilità del committente.

In materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 23109, pronunciata all'udienza del 4 novembre 2021, ha preso in esame il tema concernente la responsabilità del committente.

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Nella fattispecie, la Corte d'Appello di Catanzaro aveva assolto un imputato dal reato di omicidio colposo, ad egli contestato in quanto, nella qualità di committente dei lavori di una ditta, ed assumendo, in tale veste, la qualifica di datore di lavoro, aveva cagionato la morte di un lavoratore per colpa consistita nell'inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro. In particolare, secondo la tesi accusatoria, egli aveva omesso di applicare le necessarie armature di sostegno al muro oggetto di lavori di scavo; pertanto, la vittima, nell'effettuare tali lavori, finalizzati alla posa di una conduttura per lo scarico delle acque, nella zona retrostante l'abitazione dell'imputato, aveva trovato la morte dopo essere stata seppellita in seguito alla caduta di una parete, a causa del terreno non sufficientemente stabile e della mancanza di un muro di sostegno.

La Corte d'Appello, in particolare, aveva osservato come l'imputato dovesse essere qualificato come "committente di opera edile", anziché come "committente datore di lavoro" - e che egli, in tale veste, aveva rispettato gli obblighi previsti dall'art. 90, comma 1 D.Lgs. n. 81 del 2008.

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La Suprema Corte ha, dapprima, rilevato come la responsabilità del committente debba essere esclusa sia laddove l'evento dannoso non sia causalmente collegato ad un'omissione colposa, specificamente determinata, che possa ritenersi direttamente imputabile alla sua sfera di controllo, sia nel caso in cui egli non disponga di una specifica competenza tecnica sulle procedure precauzionali da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine.

Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno osservato come l'imputato non fosse titolare di alcuna posizione di garanzia nei confronti del lavoratore autonomo, assumendo questi il rischio rispetto alle attività svolte in autonomia e con attrezzatura propria. Inoltre, i giudici d'appello avevano correttamente qualificato l'imputato come un privato, mero committente di opera edile, e sprovvisto delle specifiche competenze tecniche relative alla realizzazione di un'armatura a consolidamento del terreno, mediante la c.d. puntellatura. Il medesimo, inoltre, esercitante la professione di insegnante, non aveva attuato, nelle attività proprie dell'impresa appaltatrice, la c.d. "ingerenza", espressiva di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, e tale da renderlo destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, tra i quali quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere. 

Tale ingerenza, considerata fattore idoneo a coinvolgere il committente nella responsabilità per eventi lesivi occorsi agli addetti, si distingue per il fatto di aver causato - unitamente ad eventuali altri fattori, come la condotta illecita dell'appaltatore - l'evento di danno, e deve consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altruitale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull'esecuzione degli stessi.

Ciò non aveva avuto luogo nel caso in esame, con conseguente insussistenza, in capo all'imputato, di una culpa in vigilando, e stante, altresì, l'assenza di rischi interferenziali, non ricorrendo un'ipotesi di convergenza di più imprese.

La Corte di Cassazione, infine, ha ritenuto congrua e corretta in diritto l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui il privato, che abbia affidato l'esecuzione di alcune opere ad un lavoratore, non può essere ritenuto datore di lavoro, come definito dall'art. 2 D.Lgs. n. 81 del 2008, difettando i presupposti dell'attività e della sua organizzazione (atteso che in un'abitazione privata non si producono beni né si erogano servizi) nonché dei relativi poteri decisionali. Da ciò consegue, quindi, con riguardo a tale figura, l'inapplicabilità dell'art. 26  D.Lgs. n. 81/08

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, confermando la pronuncia assolutoria.