mercoledì 10 maggio 2023

Confisca per equivalente del saldo di un conto corrente intestato ad un terzo, ma ritenuto nella disponibilità dell'imputato delegato. Il contrasto giurisprudenziale e la posizione della Prima Sezione Penale della Suprema Corte.

 La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 19081, pronunciata all'udienza del 30 novembre 2022 (deposito motivazioni in data 5 maggio 2023), ha preso in esame il tema concernente la confisca per equivalente del saldo di un conto corrente intestato ad un terzo, ma ritenuto nella disponibilità dell'imputato, quale soggetto delegato.

Il fatto.

Il Tribunale di Ascoli Piceno, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza di revoca del provvedimento con il quale il Procuratore della Repubblica aveva disposto la confisca per equivalente sul saldo attivo di un rapporto bancario intestato al soggetto istante, ma ritenuto nella disponibilità del padre di questi, condannato per il reato di cui all'art. 5. D.Lgs. n. 74 del 2000.

Il Tribunale richiamava, in primo luogo, i due orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul tema riguardante la delega ad operare rilasciata dal titolare di un conto corrente a soggetto indagato, imputato o condannato per reato fiscale.

Secondo un primo orientamento, la delega ad operare rilasciata dal titolare di un conto corrente all'indagato, ove non caratterizzata da limitazioni, è sufficiente a dimostrare la disponibilità da parte di quest'ultimo delle somme depositate; altro orientamento, invece, a fronte di tale delega ad operare, anche ove non caratterizzata da limitazioni, richiede, per la dimostrazione della piena disponibilità delle somme depositate, ulteriori elementi di fatto sui quali fondare il giudizio di ragionevole probabilità in ordine alla libera utilizzabilità delle somme da parte del delegato.

Il Tribunale, sulla scorta delle risultanze in atti, riteneva che, sia accedendo alla tesi della c.d. disponibilità in astratto da parte del delegato delle somme esistenti sul conto corrente, sia accedendo alla tesi della c.d. disponibilità in concreto delle stesse somme, vi fossero plurimi indizi per ritenere che sulla giacenza di tale conto corrente fosse esercitata "una signoria piena del condannato, che su di essa può confidare per esigenze sue proprie". Il giudice dell'esecuzione individuava, in particolare, tali indici - in linea con quelli enucleati dalla giurisprudenza di legittimità - nel rapporto di parentela tra delegante e delegato, nella mancata confluenza sul conto di competenze stipendiali ovvero di altre somme di pertinenza del titolare del conto stesso, ed infine nella presenza di reiterati addebiti diretti SDD da Telepass Spa, relativi a spese di trasporto che, stante l'acclarata residenza all'estero del titolare del conto corrente, sin dal 2016, erano da considerarsi, plausibilmente, relative al delegato.

Tramite il proprio ricorso, il titolare del conto corrente lamentava come il provvedimento ablativo da egli subito fosse stato adottato in spregio al fondamentale principio di personalità della responsabilità penale, costituzionalmente garantito, siccome patito a mero titolo di responsabilità oggettiva, su somme di denaro di cui egli era titolare esclusivo, trattandosi di giacenze derivanti da trattamenti stipendiali pregressi, ivi lasciati sull'unico conto corrente di cui egli era titolare in Italia, del quale fruiva in occasione del proprio rientro nel territorio nazionale e con riferimento al quale egli aveva conferito, nell'anno 2019, delega al padre.

Inoltre, la difesa aveva depositato gli estratti conto dal 2012 al 2022, i quali cristallizzavano l'assenza di qualsiasi movimentazione (prelievo ovvero versamento) riconducibile al condannato, peraltro titolare di delega solo a far data dal 2019, dopo ben sei anni dalla data di commissione del reato. Del pari illogica era da ritenersi, secondo il ricorrente, la deduzione del Tribunale secondo la quale gli addebiti diretti da Telepass Spa erano da ritenersi riconducibili al condannato, posto che la documentazione bancaria rendeva ragione dell'esistenza di analoghi addebiti anche negli anni 2017 e 2018, in epoca antecedente al rilascio di delega in favore del genitore.

Il ricorrente, pertanto, rivendicando la propria qualità di terzo estraneo rispetto al fatto di reato contestato al padre, deduceva il vizio di violazione di legge e quello di mancanza di motivazione correlati all'errata individuazione del presupposto del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, lamentando come il provvedimento avesse fondato la dimostrazione della disponibilità diretta delle somme depositate sul proprio conto corrente sul solo dato dell'esistenza di una delega a operare rilasciata al condannato.

La decisione.

La Corte di Cassazione ha, in primo luogo, dato atto dell'esistenza, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ai sensi dell'art. 648-quater, comma 2 c.p., di due distinti orientamenti giurisprudenziali di legittimità.

Come già rilevato dal Tribunale, il primo di essi ritiene come la delega a operare rilasciata dal titolare di un conto corrente all'indagato, ove non caratterizzata da limitazioni, sia sufficiente a dimostrare la disponibilità da parte di quest'ultimo delle somme depositate (Sez. 3, n. 23046 del 09/07/2020, Cavinato; Sez. 3, n. 13130 del 19/11/2019, dep. 2020, Cattaneo); il secondo, invece, afferma come la delega ad operare rilasciata dal titolare di un conto corrente all'imputato, anche ove non caratterizzata da limitazioni, non sia, di per sé, sufficiente a dimostrare la piena disponibilità da parte di quest'ultimo delle somme depositate, occorrendo ulteriori elementi di fatto sui quali fondare il giudizio di ragionevole probabilità in ordine alla libera utilizzabilità delle somme da parte del delegato (Sez. 2, n. 29692 del 28/05/2019, Tognola).

I giudici di legittimità hanno aderito a tale ultimo, più rigoroso, orientamento.

Si è osservato, al riguardo, come nella sentenza Tognola si sia ribadito come con la nozione di "disponibilità" debba intendersi la relazione effettuale del condannato con il bene, connotata dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà: "La disponibilità coincide, pertanto, con la signoria di fatto sulla res indipendentemente dalle categorie delineate dal diritto privato, riguardo al quale il richiamo più appropriato sembra essere quello riferito al possesso nelle definizioni che ne dà l'art. 1140 c.c. Non è necessario, quindi, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi e quindi la disponibilità degli stessi" (Sez. 3, n. 14605 del 24/03/2015, Zaza, che richiamava Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012, Costagliola; Sez. 1, n. 11732 del 09/03/2005, De Masi).

Il Collegio ha, inoltre, ritenuto di condividere l'affermazione per cui, ove la disponibilità dei beni da sottoporre a sequestro sia desunta dalla titolarità di una delega a operare su conti correnti o altri rapporti bancari, lo specifico contenuto della delega diviene metro imprescindibile per valutare in quale misura l'atto negoziale sia in grado di attribuire la disponibilità delle somme depositate sui conti correnti, o utilizzabili mediante i rapporti bancari. E' evidente, infatti, che la delega non può, da sé, ritenersi elemento dimostrativo del potere di esercitare autonomamente le facoltà del proprietario o del possessore delle somme, non foss'altro per l'esistenza di un negozio - riferibile alla struttura del mandato - che implica un dovere di rendere conto, al titolare delle somme, dell'attività svolta dal delegato.

Pertanto, ha affermato la Corte, ove la delega sia caratterizzata da limiti fissati dal delegante, dovrà essere valutato se quei limiti costituiscano già ostacolo nell'ipotizzare che mediante quello strumento negoziale il delegato possa di fatto esercitare i poteri delegante. Si è inoltre chiarito come - anche ove la delega non sia caratterizzata da limiti, avuto riguardo all'autonomia del concetto penalistico di disponibilità - al dato documentale dell'esistenza di un negozio di delega rilasciata all'indagato, debbano affiancarsi ulteriori elementi di fatto che possano fondare il giudizio circa la disponibilità delle somme su cui il delegato possa operare.

Con riferimento al caso di specie, i giudici di legittimità hanno rilevato come - a fronte dell'indicazione da parte del Tribunale, quali elementi dai quali inferire la riconducibilità del saldo attivo sul conto del ricorrente da parte del condannato - del rapporto di parentela, della residenza all'estero del titolare del conto, dell'assenza di addebiti su tale conto di spese riconducibili al suo formale titolare e della presenza di addebiti diretti da Telepass Spa per spese "ragionevolmente ricondotte" al condannato, invece residente sul territorio nazionale, la difesa aveva documentato come detti addebiti Telepass risultassero anche in epoca antecedente al rilascio (nel 2019) della delega in favore del padre del ricorrente, siccome riconducibili a spese dello stesso titolare del conto corrente nel periodo di residenza in Italia.

Inoltre, la difesa aveva valorizzato il dato, risultante per tabulas, che il condannato, pur titolare di delega, non avesse mai operato su detto conto.

Il Tribunale, si è rilevato, ha, tuttavia, completamente omesso l'esame di tali deduzioni difensive, confermando il provvedimento senza dare conto di quali elementi obiettivi potessero sorreggere la tesi per cui, attraverso la delega, il condannato avesse, di fatto, esercitato poteri corrispondenti a quelli riservati al titolare del rapporto bancario.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno, demandando al Tribunale di verificare, sulla scorta degli elementi a disposizione e dei predetti principi di diritto, se le somme depositate sul conto corrente del ricorrente siano da ritenere nella disponibilità del condannato.