La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26012, pronunciata all'udienza del 15 febbraio 2023 (deposito motivazioni in data 16 giugno 2023) ha preso in esame le fattispecie di reato di cui all'art. 189 commi 6 e 7 D. Lgs. 285/1992.
Il fatto.
Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Palermo ne aveva confermato la penale responsabilità per i reati di cui agli artt. 189, commi 6 e 7 D.Lgs. n. 285/1992, e 590 c.p..
Nella fattispecie, la persona offesa, in prossimità di un semaforo, era stata violentemente tamponata da una vettura condotta dall'imputato, a lei noto. La vittima era scesa dall'auto per ottenere le generalità dell'uomo e i dati dell'assicurazione, ma questi le aveva risposto di conoscerla e di escludere che vi fossero dei problemi. Poco dopo, a segnale semaforico verde, egli si era allontanato. La persona offesa era, tuttavia, riuscita ad annotare il numero di targa, prima di accusare un mal di testa e di essere accompagnata al Pronto Soccorso, ove le erano state refertate lesioni.
Tramite il proprio ricorso, l'imputato lamentava difetto di prova e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'elemento soggettivo del dolo eventuale con riguardo al reato di cui all'art. 189, commi 6 e 7, C.d.S.. Illogico appariva affermare come egli si fosse fermato dopo l'impatto e, al contempo, ritenerlo responsabile del reato contestato: in realtà, non solo non si era reso conto di aver provocato un incidente idoneo ad arrecare lesioni, considerato che il proprio veicolo era rimasto illeso e che l'urto era stato minimo, ma era altresì sceso dal veicolo, aveva riconosciuto la persona offesa e ne era stato riconosciuto, le aveva chiesto se avesse bisogno di aiuto, e le aveva indicato, stante la necessità imminente di rientrare in casa, dove si trovava la sua abitazione.
La decisione.
La Corte ha, in primo luogo, rilevato come l'art. 189, comma 1, C.d.S., dispone: "L'utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare l'assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona." Il successivo comma 6 prevede, invece, che "Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all'obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (...)".
I giudici di legittimità hanno quindi preso in esame la fattispecie di delitto di fuga previsto dall'art. 189, comma 6, C.d.S., osservando come essa, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, costituisca un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire, essenzialmente, l'inosservanza dell'obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone, e non anche l'esistenza di un effettivo danno per le stesse (Sez. 4 n. 34335 del 3/6/2009, Rizzante). Inoltre, ha osservato la Corte, analogamente a quanto avviene per tutte le altre ipotesi di norme incriminatrici volte alla tutela avanzata d'interessi, "la concretezza dell'evento che giustifica la previsione non può giungere sino ad un'effettiva constatazione del tipo di nocumento procurato". Non è infatti un caso che la norma utilizzi il termine aspecifico di "danno", e non operi un più preciso riferimento a quello di "lesione".
Il comma 7 sanziona, invece, una condotta ulteriore e diversa rispetto a quella repressa dal comma precedente: ossia quella del conducente che, coinvolto in un incidente stradale, comunque ricollegabile al suo comportamento, non ottemperi all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite. In tale ipotesi, hanno rilevato i giudici di legittimità, non basta la consapevolezza che dall'incidente possano essere derivate conseguenze per le persone, essendo necessario "che un tale pericolo appaia essersi concretizzato, almeno sotto il profilo del dolo eventuale, in effettive lesioni dell'integrità fisica". Il reato di mancata prestazione dell'assistenza occorrente dopo un investimento esige, pertanto, un dolo meramente generico, riconoscibile in capo all'utente della strada il quale, nell'ipotesi di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall'incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti (Sez. 4, n. 33294 del 14/05/2008, Curia). Tale dolo, ha ricordato la Corte, può ben configurarsi anche come eventuale (Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017, Dentice Di Accadia Capozzi, la quale ha affermato che l'elemento soggettivo del reato di mancata prestazione dell'assistenza occorrente in caso di incidente può essere integrato anche dal dolo eventuale, ravvisabile in capo all'agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall'incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all'obbligo di prestare assistenza ai feriti. In motivazione, la Corte ha osservato che il dolo eventuale, pur configurandosi normalmente in relazione all'elemento volitivo, può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio).
Con riferimento al caso di specie, la Corte ha rilevato come la persona offesa avesse subito danni alla propria integrità psicofisica, direttamente riconducibili al tamponamento posto in essere dall'imputato, come ritraibile dal contenuto del referto medico. L'imputato, dopo il tamponamento, non si era tuttavia fermato per sincerarsi delle condizioni della persona offesa: dalla ricostruzione dei fatti, era infatti emersa dall'istruzione dibattimentale la circostanza per cui era stata la stessa persona offesa a scendere dal veicolo, in seguito all'impatto automobilistico, avvicinandosi all'imputato (rimasto alla guida della sua autovettura ferma al semaforo) al fine di acquisire le sue generalità; quest'ultimo, anziché rispondere alla vittima ed accertarsi delle sue condizioni di salute, aveva ripreso la marcia non appena era scattato il semaforo verde. Egli pertanto, dopo il tamponamento, non si era fermato per prestare soccorso o aiuto alla persona offesa, ma unicamente per l'obbligo di arrestare la marcia proveniente dall'impianto semaforico.
Ciò posto, la Suprema Corte ha tuttavia osservato come, pur a fronte dell'incensurabilità della motivazione della sentenza con riguardo alla consumazione del reato di fuga di cui al comma 6 dell'art. 189 C.d.S., non altrettanto possa dirsi in relazione all'inottemperanza all'obbligo di prestare la necessaria assistenza, previsto dal comma 7 della medesima disposizione, con particolare riferimento alla consapevolezza, in capo all'imputato, delle conseguenze fisiche subite dalla persona offesa.
Il Collegio ha ribadito, sul punto, come la condotta omissiva sanzionata dall'art. 189, comma 7, C.d.S. possa considerarsi un'ipotesi speciale del delitto di omissione di soccorso previsto dall'art. 593, comma 2 c.p. (come già affermato da Sez.4, n. 20649 del 10/05/2012, Shehi; e da Sez.4, n. 9128 del 2/02/2012, Boffa), del quale condivide l'oggettività giuridica e la condotta dell'omessa assistenza alla persona ferita. In aggiunta, hanno rilevato i giudici di legittimità, essa presenta, tuttavia:
a) l'elemento tipico del reato proprio mediante individuazione, nell'utente della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l'incidente, del soggetto sul quale grava l'obbligo di garanzia, genericamente indicato nella norma generale in "chiunque";
b) un antefatto non punibile, consistente nell'essersi verificato un sinistro stradale, idoneo a concretare una situazione di pericolo attuale, da cui sorge l'obbligo di agire.
La Corte ha, inoltre, osservato come, secondo la preferibile interpretazione della norma generale, il bene giuridico tutelato dal reato in questione (inserito tra i delitti contro la vita e l'incolumità personale) sia da individuarsi in un bene di natura superindividuale, ossia quello della solidarietà sociale, da tutelarsi soprattutto allorché siano in discussione i beni della vita e della incolumità personale di chi versa in pericolo. In particolare, lo stato di pericolo è espressamente previsto per la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 593 c.p., e proprio la necessità di prevenire un danno futuro impone l'obbligo di un intervento soccorritore. Nella materia della circolazione stradale, il legislatore ha introdotto, come risulta dal tenore dell'art. 189, comma 1, C.d.S., la presunzione che il verificarsi di un incidente comporti una situazione di pericolo: di conseguenza, ha individuato nei soggetti coinvolti nel sinistro i titolari della posizione di garanzia, prescrivendo loro l'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza. Tale fattispecie costituisce, pertanto, un reato istantaneo di pericolo, da accertarsi con valutazione ex ante e non ex post.
Tale reato trova, pertanto, il suo fondamento nell'obbligo giuridico di attivarsi previsto dall'art. 189, comma 1, C.d.S.: tale disposizione attribuisce, infatti, all'utente della strada, coinvolto in un sinistro comunque riconducibile al suo comportamento, una posizione di garanzia, al fine di proteggere altri utenti coinvolti nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso. La ratio della posizione di garanzia, a sua volta, è da rinvenirsi nel dato di esperienza per cui i protagonisti del sinistro sono normalmente in condizione di percepirne, nell'immediatezza, le conseguenze dannose o pericolose, e di evitare, pertanto, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa derivare un danno alla vita e all'integrità fisica delle medesime.
Tornando alla fattispecie in esame, i giudici di legittimità, sulla base di tali premesse, hanno censurato la motivazione della Corte territoriale, la quale avrebbe dovuto spiegare se, nel caso di specie, la situazione di pericolo scaturita dal tamponamento provocato dall'imputato fosse dallo stesso immediatamente percepibile e percepita. Tale circostanza avrebbe dovuto essere approfondita proprio in considerazione del comportamento della stessa persona offesa: ella, infatti, subito dopo il tamponamento, come detto, era scesa dall'auto per ottenere le generalità dell'imputato e i dati dell'assicurazione, ma non aveva fatto alcun cenno al mal di testa, riferito, in un secondo momento, ad altra persona, ma solo quando l'imputato si era già allontanato a bordo della propria autovettura.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 189, comma 7, C.d.S., confermando, invece, l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato in relazione ai reati di cui all'art. 189, comma 6, C.d.S. e di cui all'art. 590 c.p..