venerdì 16 giugno 2023

Sicurezza sul lavoro: rischi interferenziali e rischi specifici propri dell'attività della singola impresa. La responsabilità del coordinatore per la progettazione.

 In materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, la Quarta Sezione Penale, con la Sentenza n. 24165, pronunciata all'udienza del 9 marzo 2023 (deposito motivazioni in data 6 giugno 2023), ha preso in esame il tema concernente la nozione di rischio interferenziale ed il rapporto del medesimo con il rischio specifico proprio dell'attività della singola impresa.

Il fatto.

Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ne aveva dichiarato la penale responsabilità per il reato di omicidio colposo ai danni di un lavoratore. L'evento mortale era avvenuto durante il trasporto di due lastre in latero cemento vuote del peso di circa 1.365 Kg. l'una, mediante un mezzo sollevatore telescopico, condotto da altro soggetto, preposto di una ditta e datore di lavoro del lavoratore deceduto, nonché privo del patentino per la conduzione del mezzo. Durante tale trasporto, anche a causa delle condizioni del terreno, consistente in una strada scivolosa e in discesa, dell'erroneo posizionamento del carico e dell'imperizia del conducente, questi aveva perduto il controllo del mezzo, il quale si era ribaltato, schiacciando il corpo dell'operaio; la vittima si trovava, su disposizione dello stesso preposto, accanto al mezzo per accompagnare il carico lungo la discesa, al fine di impedire l'innescarsi di pericolosi basculamenti del medesimo.

La Corte territoriale aveva affermato la responsabilità dell'imputato sulla base della ritenuta inadeguatezza del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) da questi redatto, nella sua qualità di coordinatore per la progettazione ex D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 91. I giudici del gravame avevano, infatti, rilevato come il PSC non avesse prescritto le modalità lavorative da seguire per trasportare (qualunque) materiale dal piano stradale allo scavo; inoltre l'imputato, essendo a conoscenza dell'utilizzo del sollevatore, presente in cantiere, avrebbe dovuto rendersi conto dell'inadeguatezza del PSC da lui stesso redatto, in quanto esso "consentiva" al manovratore del mezzo di trasporto di avvalersi dell'ausilio di un "aiutante", mentre il suo impiego imponeva l'assoluta assenza di persone nel raggio d'azione del braccio telescopico. In sostanza, quindi, il coordinatore aveva erroneamente stimato il rischio di "interferenza" correlato alla fase lavorativa del trasporto di materiale dal piano stradale allo sbancamento. I giudici torinesi avevano pertanto addebitato all'imputato la genericità delle indicazioni contenute nel PSC, quanto alla possibilità per il trasportatore del materiale di avvalersi di un non meglio indicato "aiutante", in tal modo generando il relativo rischio interferenziale, "in quanto aveva legittimato la presenza di un soggetto nell'area di manovra del mezzo di trasporto senza avere preventivamente valutato se per l'utilizzo di tale mezzo di trasporto (...) fosse consentita la presenza di soggetti nell'area di manovra dello stesso", così rendendo "possibile la manovra imprudente, negligente ed imperita posta in essere dal conducente".

Tramite il proprio ricorso, l'imputato lamentava mancanza di motivazione in relazione all'interferenzialità del rischio da cui avrebbe tratto origine l'infortunio. La sentenza aveva, infatti, spesso operato un riferimento al c.d. "rischio interferenziale" cui l'imputato non avrebbe prestato la dovuta attenzione in sede di redazione del PSC, ma nulla aveva affermato per dare dimostrazione che il sinistro fosse effettivamente scaturito da un tale rischio, ricorrente in caso di compresenza di più imprese nel cantiere. La Corte di merito, al riguardo, non aveva considerato come la lavorazione di posa e trasporto delle lastre fosse di esclusiva competenza della ditta di cui era preposto il conducente del mezzo, tanto che tutti i soggetti interessati dalla lavorazione erano dipendenti della stessa ditta. I giudici di merito, quindi, non si erano confrontati con la questione della ricorrenza o meno di un rischio interferenziale nel caso di specie.

Inoltre, la disposizione del PSC redatto dall'imputato, secondo cui il manovratore del mezzo poteva avvalersi dell'ausilio di un "aiutante", non significava, come aveva correttamente rilevato il Tribunale, che l'ausiliario dovesse seguire il trasporto delle lastre guidandole a mano, come era avvenuto, ma solo che l'ausiliario avrebbe potuto collaborare a terra per migliorare la visuale ed il trasporto dei carichi; in ogni caso, la previsione andava letta nella sua interezza, atteso che nel prosieguo imponeva come nessuno dovesse stazionare nei pressi della macchina durante il trasporto.

Infine, si osservava nel ricorso come l'imputato non avesse affatto trascurato di prescrivere nel PSC le modalità di movimentazione dei carichi. L'ausilio dell'aiutante era previsto solo per garantire il "controllo delle condizioni di tutto il percorso" e non per lo spostamento dei carichi. Non spettavano, dunque, al coordinatore poteri di intervento immediato o di controllo delle singole lavorazioni, essendo le stesse demandate esclusivamente all'organizzazione del datore di lavoro quanto ai rischi specifici dell'impresa.

La decisione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto sussistenti plurimi vizi di legittimità della sentenza, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della erronea applicazione dei principi giuridici attinenti alla materia prevenzionistica.

I giudici di legittimità hanno, innanzitutto, premesso come la sentenza di appello non abbia fatto buon governo del noto principio in base al quale l'overturning in appello della decisione assolutoria di primo grado debba essere argomentato sulla base di una "motivazione rafforzata" (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005; Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015). Tale principio implica, infatti, che, in mancanza di elementi sopravvenuti, la valutazione peggiorativa compiuta nel processo d'appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado debba essere sorretta da argomenti dirimenti, tali da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella d'appello, non più razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di colpevolezza. Affinché possa dirsi, dunque, rispettato il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio non è sufficiente una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio", in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna, infatti, secondo quanto affermato dalla nota pronuncia della Sesta Sezione Penale della Suprema Corte, n. 40159 del 03/11/2011 "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza".

Tanto premesso, il Collegio ha rilevato come il principale errore logico-giuridico rilevato nella decisione dei giudici torinesi sia quello concernente l'interpretazione da essi offerta circa la nozione di rischio interferenziale e la sua concreta applicazione nel caso di specie.

L'iter argomentativo della sentenza impugnata aveva, infatti, individuato rischi interferenziali del tutto estranei alla lavorazione da cui era conseguito il sinistro, che aveva visto pacificamente coinvolta la sola, predetta, ditta e i suoi lavoratori; erroneamente, dunque, era stata ravvisata, nella specifica attività lavorativa, il verificarsi di una situazione di interferenza, tipicamente attinente al coinvolgimento, nell'ambito di uno stesso cantiere, di lavorazioni di più imprese, non necessariamente in maniera simultanea. Il concetto di interferenza, su cui si fondano gli obblighi di coordinamento e cooperazione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26 - ha osservato la Corte - è formulato dalla giurisprudenza con riferimento al contatto rischioso tra il personale di imprese diverse, operanti nello stesso contesto aziendale, e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018; Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016; Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015).

Nel caso in esame, l'incidente era stato determinato sia dall'imperizia del preposto nella guida del mezzo noleggiato dalla sua azienda, sia, soprattutto, dall'aver consentito al lavoratore deceduto di entrare nello spettro di azione del mezzo, impegnando, in tal modo, il dipendente in un'attività altamente pericolosa, ossia contenere a mano il basculamento delle lastre trasportate, in nessun modo rispettosa delle norme di sicurezza riguardanti l'uso del veicolo impiegato. Ciò posto, si era dunque trattato non di una situazione concretizzante un rischio interferenziale, ma di gestione di un rischio specifico riguardante l'attività appaltata alla ditta del preposto; tale rischio non era in alcun modo riconducibile, quindi, alla responsabilità dell'imputato nella sua qualità di coordinatore per la progettazione; tale figura è, infatti, chiamata a gestire, fra le altre cose, i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese (Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020 - dep. 2021).

I giudici di legittimità hanno poi rilevato come il PSC redatto dal ricorrente prevedesse il divieto per qualunque operaio di operare nei pressi del mezzo durante la movimentazione delle lastre. Sotto questo profilo, la figura denominata nel PSC come "aiutante" non poteva che fare riferimento ad un soggetto cui era demandato il compito di dare supporto - ma a debita distanza - al conducente del sollevatore, per meglio orientarsi nel percorso ed anche per segnalare ad altri operai (eventualmente di altre ditte operanti nel cantiere) la situazione di pericolo derivante dal sopraggiungere dello stesso. In tal senso, si era propriamente fatto riferimento, rispetto al ruolo dell'aiutante, al rischio interferenziale derivante dal potenziale coinvolgimento di operai di altre ditte nel corso delle operazioni di movimentazione del sollevatore.

Invero, imporre al proprio lavoratore di restare accanto al mezzo (per controllare con le sole mani il basculamento delle lastre) aveva integrato un'evidente violazione della regola cautelare - secondo cui nessuno doveva stazionare nei pressi della macchina durante il trasporto - contenuta nel PSC. Tale violazione, tuttavia, era chiaramente addebitabile al solo datore di lavoro, quale soggetto cui è demandata, per legge, la gestione degli specifici rischi lavorativi cui sono sottoposti, in via esclusiva, i propri dipendenti.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha affermato come sia improprio, nel caso di specie, parlare di interferenza: lo stesso Tribunale, d'altra parte, aveva già, logicamente, riscontrato che l'infortunio era derivato dall'attribuzione al lavoratore di una mansione pericolosa da parte del suo datore di lavoro, nell'ambito di una attività lavorativa specificamente demandata alla stessa impresa. Il Collegio ha dunque ritenuto non ricorrente la condizione dell'infortunio riconducibile all'inadeguata valutazione, nel piano di sicurezza e di coordinamento predisposto dall'imputato, del rischio interferenziale, e alla mancata previsione di misure di sicurezza idonee a prevenirlo.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha dunque annullato senza rinvio la sentenza, assolvendo l'imputato per non aver commesso il fatto.