La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 41842, pronunciata all'udienza del 31 maggio 2023 (deposito motivazioni in data 16 ottobre 2023) è tornata a prendere in esame il tema concernente la posizione di garanzia del legale rappresentante di una RSA, in relazione al decesso di un ospite, dovuto all'inadeguatezza della struttura.
Il fatto.
Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Brescia ne aveva confermato la penale responsabilità in ordine al reato di cui agli artt. 113, 40 e 589 c.p., perché, in qualità di legale rappresentante di una società avente la gestione di residenze sanitarie assistenziali, aveva cagionato per colpa la morte di un ospite di una delle strutture. In particolare, era al medesimo rimproverato di aver omesso l'adozione di tutte le misure necessarie al fine di assicurare un maggiore e più efficace controllo della vittima all'interno della struttura; di non essersi rifiutato di accettare una permanenza dell'ospite in tale struttura, rivelatasi non idonea e non sufficientemente contenitiva, malgrado le condizioni psicofisiche dell'uomo, conseguenti alla sua patologia e la sua intolleranza alla struttura, nonché a fronte di alcuni episodi di vagabondaggio all'interno, a tre tentativi di fuga da parte del medesimo e ad alcuni episodi di fuga accertata.
L'anziano degente era stato rinvenuto a terra sui gradini di una scala, dopo essere caduto dalla finestra della propria camera, posta a circa 3,8 metri di altezza, dalla quale aveva tentato di calarsi. Verificatasi la frattura del femore destro in seguito a tale evento, il medesimo era in seguito deceduto per arresto cardiaco.
Nel corso del giudizio di merito, era stato accertato come l'uomo - inizialmente collocato in altra struttura, rivelatasi inadeguata - fosse caduto nel tentativo di calarsi giù dall'unica finestra della stanza di degenza, priva di balconi o altre aperture limitrofe. La finestra in questione non era assistita da sbarre o griglie, era liberamente apribile ed era dotata di un parapetto posto all'altezza di circa 130 cm. dal pavimento, ed in prossimità del quale erano collocati una sedia e un tavolo. Inoltre, l'istruttoria dibattimentale aveva confermato la condizione di fragilità, sul piano fisico-psichico, dell'anziano ospite, versante in condizioni di conclamata compromissione psichica, dovuta alla demenza associata a episodi di agitazione psicomotoria, incapace di attendere con raziocinio alle normali operazioni di vita quotidiana, e perciò necessitante di continuativa assistenza, al fine di scongiurare concreti pericoli per la sua incolumità.
Durante il ricovero, lo stesso aveva, inoltre, manifestato più volte l'intento di lanciarsi dalla finestra ed aveva tentato la fuga il giorno prima della caduta dalla finestra, tanto da essere spostato dal terzo al primo piano.
I profili di colpa.
I giudici di merito avevano riconosciuto la sussistenza di plurime e concorrenti posizioni di garanzia in capo ai responsabili della gestione della RSA, i quali erano chiamati a verificare e controllare le fonti di pericolo per l'incolumità degli anziani, sulla base del cd. contratto di spedalità, stipulato dal paziente con la struttura. Tale contratto obbligava, infatti, quest'ultima a fornire una prestazione complessa, non certo limitata alle cure mediche, ma estesa a varie altre prestazioni, quali, nel caso di specie, la messa a disposizione di locali adeguatamente protetti e la sorveglianza assidua. Stante la diagnosticata tendenza al wandering (vagabondaggio) della vittima, era infatti da ritenersi necessario l'impiego di misure prevenzionali, quali la contenzione fisica e farmacologica e l'adozione di sistemi di allarme o di assicurazione della chiusura delle porte e delle finestre, o l'implementazione del personale destinato al costante controllo dell'ospite.
Inoltre, le condizioni del paziente erano state rappresentate dai parenti, per cui la struttura avrebbe dovuto valutare con cautela la congruità del suo apparato ricettivo, quanto alle dotazioni strutturali ed alla sufficiente presenza di personale infermieristico o di OSS, al fine di assicurare una ricettività sicura e un adeguato contrasto delle eventuali condotte incongrue e pericolose che il paziente avrebbe potuto prevedibilmente porre in essere. In particolare, la RSA avrebbe dovuto possedere una dotazione strutturale e umana adeguata ad attendere alle predette necessità di prevenzione dei potenziali e prevedibili comportamenti incongrui e irrazionali dell'ospite, ovvero locali idonei a ricevere l'anziano debilitato, senza necessità di ricorrere alla contenzione fisica o farmacologica, con aperture verso l'esterno (sia porte che finestre) praticabili solo dagli operatori (condizione facilmente ottenibile mediante l'applicazione di maniglie a inserto a disposizione del solo personale o con apertura a vasistas) o, in alternativa, dotate d'inferriate o serrature e prive di elementi di arredo collocati in posizione tale da facilitare lo scavalcamento delle finestre.
All'imputato era, inoltre, ascritta la condotta colposa costituita dalla mancata predisposizione di un più costante, continuo e penetrante monitoraggio medico e comportamentale e di una capacità di immediata risposta farmacologica o di più generico contrasto contenitivo al manifestarsi di fasi acute della patologia o di sintomi di aggravamento della stessa, tali da richiedere l'adeguamento dei presidi in essere. Tali esigenze, secondo i giudici di merito, potevano essere adeguatamente soddisfatte tramite:
1) l'attento esame e lo screening medico e psicologico del paziente al momento della sua accettazione in struttura, al fine di valutare la compatibilità delle condizioni dello stesso con i servizi erogati dalla RSA;
2) la costante verifica dell'evoluzione in negativo delle condizioni del paziente, che richiedevano prontezza ed efficacia di diagnosi e di intervento;
3) la tempestiva adozione degli opportuni rimedi (contrasto farmacologico, accentuata sorveglianza e/o allocazione in contesti maggiormente cautelati, quali stanze con finestre non apribili in maniera completa dall'utente, installazione di cicalini o altri presidi di allarme, etc.), fino a giungere, solo nei casi estremi, alla dimissione del paziente.
In altri termini, si rimproverava all'imputato di aver omesso di imporre, nell'accettazione degli ospiti, l'adozione di severe e rigide valutazioni di compatibilità tra le condizioni di questi ultimi e le disponibilità d'idonei presidi strutturali e di risorse umane della singola casa di riposo, e di garantire l'adeguatezza della RSA per accettare pazienti aventi problematiche di natura psichiatrica assimilabili a quelle della vittima.
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La Corte d'appello, in particolare, condividendo quanto affermato dai giudici di primo grado, aveva aggiunto come la circostanza che la RSA fosse stata debitamente autorizzata dalla competente A.S.L. all'assistenza residenziale degli anziani non autosufficienti non esimesse i suoi responsabili, tra cui l'imputato, dal verificare, al momento dell'accettazione e in corso di ricovero, l'idoneità dei presidi esistenti e dall'adottare speciali misure di tutela. La società di cui l'imputato era legale rappresentante gestiva una pluralità di RSA, che difficilmente il medesimo poteva controllare direttamente. Pertanto, egli avrebbe dovuto allestire un sistema in grado di garantire il massimo della sicurezza, anche per ospiti affetti da gravi patologie o, almeno, un'attenta valutazione della compatibilità tra le specifiche esigenze di tutela dei potenziali ospiti e i presidi strutturali e di risorse umane della singola casa di riposo, nonché un adeguamento delle misure di tutela di fronte al peggioramento delle patologie del singolo ospite; l'imputato avrebbe, inoltre, dovuto monitorare l'operato di colei alla quale aveva, di fatto, delegato ogni incombente in materia di selezione, organizzazione e gestione degli ospiti e del personale e attuazione degli impegni contrattualmente assunti con l'A.S.L. e il Comune e con i familiari dei ricoverati.
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Tramite il proprio ricorso, l'imputato lamentava, in primis, come l'affermazione, operata in sentenza, relativa al deficit di organizzazione ed all'omesso controllo e monitoraggio dell'operato dei suoi sottoposti, contrastasse con le risultanze processuali.
Il referente della società per gli appalti, infatti, in ordine alle gare e all'organizzazione del lavoro dalla sede centrale, aveva riferito di rispondere direttamente al Consiglio di amministrazione, per cui anche all'imputato; aveva chiarito di sentire spesso la direttrice della struttura per la gestione ordinaria e il direttore sanitario; aveva dato atto dei monitoraggi della società sul rispetto dei minutaggi di assistenza agli ospiti previsti dalla normativa e delle verifiche da parte degli organismi regionali di controllo. Il medesimo si dedicava alle problematiche relative alla gestione delle strutture assistenziali gestite in appalto, riferiva al C.d.A. e svolgeva altre funzioni inerenti alla verifica del quantum di assistenza fornito ed all'adeguamento della gestione alle prescrizioni impartite dagli organismi di vigilanza.
Sotto il medesimo profilo, l'imputato lamentava, inoltre, con riferimento alla mancata conoscenza, in capo a se medesimo, dell'esistenza e delle problematiche legate alla permanenza della vittima presso la R.S.A., come non potesse essergli addebitato l'omesso adeguamento dei presidi della RSA alla specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni del dell'ospite, in quanto egli ne era del tutto ignaro.
In secondo luogo, l'imputato sosteneva come la sentenza impugnata avesse individuato specifiche condotte in contrasto con la diligente necessità di assicurare un efficace controllo dell'ospite, le quali tuttavia erano ascrivibili alla direttrice della struttura ed al direttore sanitario, sia per la presenza in loco sia per le rispettive competenze professionali, e non al legale rappresentante della società. A carico di quest'ultimo si era ipotizzata, pertanto, la violazione di una regola di diligenza organizzativa vaga e priva di reale contenuto prescrittivo.
Ancora, si lamentava come nell'imputazione si individuasse l'obbligo di adozione della misura preventiva di "assegnare una stanza con sbarre alle finestre o con finestre apribili solo mediante particolari chiavi o dal personale". L'addebito consisteva, pertanto, nel non avere assegnato una simile stanza all'ospite o nel non averne creata una apposta per il medesimo; ciò era, tuttavia, impossibile per la società, atteso che l'immobile era di proprietà del Comune, ed a questo competevano gli interventi di manutenzione straordinaria quale la modifica degli infissi.
Infine, l'imputato osservava come la RSA in questione fosse organizzata e gestita nel rispetto delle normative di settore, in quanto il personale disponeva delle prescritte qualifiche sociosanitarie, e prestava assistenza in quantità superiore a quella richiesta dalle specifiche delibere regionali relative alle strutture accreditate. I soggetti apicali della RSA, garanti dell'incolumità degli ospiti, per andare esenti da colpa avrebbero dovuto adeguare le misure cautelari e preventive alla specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni fisico-psichiche dell'ospite; situazione di rischio tuttavia ignorata dall'imputato. Il direttore sanitario avrebbe, pertanto, dovuto segnalare all'imputato il peggioramento della patologia psichica dell'ospite e sollecitare l'adozione di presidi, avvisando la famiglia dell'impossibilità di continuare a gestirlo e tutelarlo adeguatamente all'interno della struttura, invitando il personale medico a valutare un cambio delle terapie, a riorganizzare i turni del personale in modo da assicurare all'ospite una più assidua vigilanza e ad eliminare le fonti di pericolo interne della camera. Nelle aziende di grandi dimensioni, quale quella di cui l'imputato era legale rappresentante, caratterizzata da plurime unità produttive autonome e da elevata specializzazione delle attività svolte di carattere sanitario e sociosanitario, i compiti e le responsabilità devono, infatti, essere suddivisi tra i diversi soggetti in base alle rispettive capacità, competenze e qualifiche, al fine di rendere più efficienti e sicure le attività produttive. Era perciò inesigibile, in concreto, dal legale rappresentante della società un controllo ulteriore rispetto a quello esistente e caratterizzato dalla destinazione di referenti aziendali, specificamente destinati a ricevere e a gestire le segnalazioni e le problematiche delle singole strutture.
La decisione.
La Corte di Cassazione ha, in primo luogo, ritenuto corretta la decisione della Corte territoriale di escludere che l'imputato potesse essere esonerato da responsabilità per il fatto di aver appreso della gravità della situazione dell'ospite solo a seguito delle segnalazioni della direttrice della struttura e del direttore sanitario al referente. I giudici di merito avevano, infatti, ben posto in evidenza la natura artigianale dell'organizzazione, posto che sarebbe stato necessario, a monte, prevedere un accurato meccanismo di controllo al momento dell'accettazione, al fine di stabilire se le condizioni della struttura e del personale potessero consentire di accogliere il ricoverando - che versava già in condizioni di salute molto gravi - ed evitare rischi per la salute del medesimo.
Correttamente, inoltre, si era specificato che sarebbe stato necessario predisporre un sistema di monitoraggio delle condizioni dei pazienti e delle loro necessità, al fine di garantire assistenza e sicurezza per gli stessi e adeguare l'organizzazione dei turni del personale e la struttura ricettiva alle mutate condizioni di salute del degente, oppure stabilire che non dovesse più essere ospitato. La Corte d'Appello aveva, pertanto, logicamente evidenziato che l'imputato aveva lasciato "carta bianca" ai propri sottoposti in ordine all'espletamento delle più svariate attività, anche di carattere non strettamente organizzativo, in assenza di qualsivoglia forma di monitoraggio e controllo. Da ciò conseguiva come la mancata conoscenza, in capo al predetto, delle problematiche che affliggevano la vittima dimostrasse il totale disinteresse dell'imputato in ordine alle problematiche della RSA.
Sotto ulteriore profilo, si era sottolineato come nessuno fosse mai stato delegato per la sicurezza degli ospiti e per la gestione del contratto di spedalità. La direttrice della struttura ed il direttore sanitario non erano stati onerati di specifici obblighi di informazione, per cui le predette incombenze inevitabilmente permanevano in capo al legale rappresentante della società. Inoltre, lo svolgimento delle limitate funzioni che il referente dichiarava di svolgere per conto della società non erano servite a risolvere le problematiche organizzative e ad impedire l'evento letale.
Ciò evidenziato, i giudici di legittimità hanno richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui, affinché si configuri la responsabilità del procuratore e delegato di una RSA per violazione degli obblighi di garanzia nei confronti degli anziani, non è sufficiente l'esistenza di una procura generale in materia antinfortunistica, essendo necessaria l'attribuzione e l'effettivo esercizio di poteri relativi alla specifica area di rischio della gestione e della protezione dei pazienti (Sez. 4, n. 32244 del 01/06/2022, Mazzoleni). Nel caso in esame, invece, non risultava provata una delega della posizione di garanzia da parte del legale rappresentante, in materia di verifica dell'idoneità ad accettare il ricovero degli ospiti, di sicurezza della struttura e controllo dei pazienti, a soggetto professionalmente idoneo, avente potere di spesa. L'unica delega esistente in materia era stata, infatti, conferita allo stesso imputato, unico amministratore, al quale competeva l'espletamento di tali funzioni. Egli era stato investito delle intere residue attribuzioni del Consiglio medesimo, salvi i limiti di legge, sottratte alla competenza del consiglio di amministrazione inteso nella sua collegialità; la delega era conferita in forma piena ed esclusiva con pieni poteri di spesa e possibilità di subdelega, mentre all'unico altro membro del Consiglio era riservata la sola competenza in materia di gestione finanziaria e amministrativa.
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Stante la natura assolutamente rudimentale dell'aspetto organizzativo, i giudici di legittimità hanno quindi osservato come non potessero ascriversi alla responsabilità esclusiva del direttore sanitario o della direttrice della struttura problematiche di fondo, che in una RSA del livello di quella rappresentata dall'imputato avrebbero dovuto formare oggetto di una specifica e dettagliata regolamentazione, del tutto assente nel caso di specie. Proprio a conferma di tale assenza totale di pianificazione, la Corte distrettuale aveva evidenziato il contenuto di una lettera raccomandata del direttore sanitario, indirizzata alla direttrice ed all'imputato, con cui egli segnalava la necessità di prevedere la consultazione del direttore sanitario, prima di permettere l'accoglimento dell'ospite nella struttura, al fine di verificare lo stato di salute del candidato e di esprimere un giudizio sulla possibilità di seguirlo adeguatamente, anche alla luce della mancanza di sicurezze alle finestre nell'orario notturno e della mancanza dell'assistenza OSS su tutti i tre piani. Tale circostanza poneva, pertanto, in risalto la mancanza di regole scritte e precise e l'impossibilità, per gli altri soggetti della struttura, di rimediare autonomamente ai deficit di carattere organico. La missiva era stata, inoltre, logicamente ritenuta dalla Corte bresciana come indicativa del totale disinteresse dell'imputato per le problematiche strutturali, esistenti sin dalla fase dell'accesso del paziente, e per la predisposizione di efficaci meccanismi di controllo e di sicurezza. Egli avrebbe, invece, dovuto valutare la compatibilità fra le esigenze di tutela dei potenziali ospiti e i presidi strutturali della casa di riposo; tale carenza, inoltre, era da ritenersi ancor più grave, alla luce della circostanza per cui la società di cui l'imputato era legale rappresentante gestiva molteplici RSA, per cui avrebbe dovuto programmare un apparato organizzativo ben più articolato di quello sommariamente allestito. Il coordinamento si era, invece, dimostrato, di fatto, scarsamente penetrante e, in ogni caso, inidoneo ad ovviare alle criticità connesse all'espletamento di simili attività, perché queste non avevano mai formato oggetto di discussione da parte del referente e/o di altri e, a maggior ragione, di decisioni aziendali per porvi rimedio.
Ciò posto, il Collegio ha ritenuto come la Corte d'Appello si sia correttamente attenuta alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui sussiste la responsabilità del titolare di una casa di cura e di riposo, qualora non ponga rimedio all'evidente insufficienza e inadeguatezza delle strutture assistenziali (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan; Sez. 6, n. 49276 del 28/10/2015, Giliberto; Sez. 4, n. 45431 del 20/11/2001, Statello, relativa a fattispecie in tema di reato di cui all'art. 591 c.p.).
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Infine, la Corte di Cassazione ha ritenuto lineare e coerente la motivazione con cui la Corte territoriale aveva affermato che la mancata imposizione da parte della normativa regionale dell'utilizzo di serramenti apribili unicamente dal personale, o con apertura a vasistas, non esentava i responsabili della struttura dall'installazione di tali presidi, laddove evidentemente necessari per l'assistenza di uno o più ospiti, né, tantomeno, dall'adottare misure di tipo organizzativo per un più assiduo controllo degli stessi o cautele, come l'eliminazione del tavolo e della sedia usati dalla vittima per arrampicarsi sulla finestra o la chiusura del portone e del cancello, da cui solo un giorno prima della tragica caduta l'anziano era uscito indisturbato. Correttamente si era osservato come l'omessa predisposizione di presidi di sicurezza avrebbe imposto il rifiuto del ricovero, trattandosi di meccanismi cautelativi doverosi in presenza di un soggetto che già aveva manifestato plurimi sintomi della propria irrequietezza, adeguatamente segnalati dai propri familiari e di intensità tale da imporre l'abbandono di una pregressa struttura rivelatasi insufficiente sotto il profilo della sicurezza.
Inoltre, si era specificato che, in caso di immobile appartenente al Comune, ciò non avrebbe in alcun modo potuto considerarsi fattore ostativo all'espletamento di attività di controllo e vigilanza da parte dell'imputato: egli, infatti, avrebbe potuto compulsare gli enti all'uopo preposti, affinché si adoperassero per la rimozione delle situazioni di pericolo per l'incolumità dei pazienti, anche in considerazione dello stato di salute fisica e mentale in capo ai medesimi.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso.