La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 2764, pronunciata all'udienza del 19 dicembre 2023 (deposito motivazioni in data 22 gennaio 2024), ha preso in esame la questione se la misura cautelare degli arresti domiciliari possa trovare esecuzione in altro Stato membro dell'Unione Europea.
Il fatto.
Una persona sottoposta alla misura cautelare degli arresti
domiciliari proponeva ricorso avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Roma
aveva confermato il rigetto della richiesta di modifica del luogo di esecuzione
della misura, ed in particolare di trasferimento di tale luogo da una comunità
sita in Italia all'abitazione dell'indagato, sita in Spagna, ove questi
risiedeva.
Il ricorrente lamentava violazione di legge e vizio di
motivazione, in ordine alla ritenuta inidoneità della sottoposizione agli
arresti domiciliari all'estero: egli sosteneva come, nel caso di specie, dovesse
trovare applicazione la disciplina introdotta dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n.
36, avente ad oggetto il reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure
alternative alla detenzione cautelare, in base al quale il cittadino di uno
Stato dell'Unione ha diritto di essere sottoposto nel proprio paese di origine
alla misura diversa dalla detenzione.
Il contrasto giurisprudenziale.
La Suprema Corte ha, in primis, evidenziato come la suddetta fattispecie renda necessario l'esame della questione preliminare concernente l'individuazione dell'ambito di applicabilità del d.lgs. n. 36 del 2016: in particolare, è necessario verificare se la disciplina concernente il reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare sia applicabile anche agli arresti domiciliari.
Sul tema, hanno osservato i giudici di legittimità, si registra un contrasto giurisprudenziale.
Secondo, infatti, un primo, maggioritario, orientamento, la misura cautelare degli arresti domiciliari può trovare esecuzione nello Stato membro dell'Unione europea di residenza dell'interessato. Tale misura rientra, infatti, nell'ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle "misure alternative alla detenzione cautelare"; nonché del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione, trattandosi di misura che, imponendo l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra nelle ipotesi di cui all'art. 4, lett. c) di tale decreto legislativo (Sez.4, n. 37739 del 15/9/2021, Garda; Sez. 1, n. 8864 del 3/2/2022, Pocev).
Tale orientamento, ha rilevato la Corte, trae origine da un'interpretazione estensiva dell'espressione "detenzione cautelare" utilizzata dalla decisione quadro 2009/829/GAI, alla luce degli obiettivi da essa perseguiti, ed in particolare di quello espresso nel Considerando n. 5, secondo cui: "Per quanto concerne la detenzione di persone sottoposte a procedimento penale, esiste il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe. In uno Spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente".
Si afferma, pertanto, che, limitando la nozione di "detenzione cautelare" alla sola custodia in carcere - escludendo quindi gli arresti domiciliari (riconducibili, conseguentemente, alle "misure alternative alla detenzione cautelare" disciplinate dalla norme attuative della decisione quadro) - si garantisce il rispetto dell'obiettivo prefissatosi dall'Unione con la decisione quadro, evitando la discriminazione basata sulla residenza, la quale si realizzerebbe, invece, ove si ritenesse che non sia mai possibile disporre la misura degli arresti domiciliari nei confronti del residente in uno Stato diverso dell'Unione, privo di indirizzo sul territorio italiano, trattandosi di "detenzione cautelare". Applicando tale principio, ne conseguirebbe, pertanto, l'impossibilità, per il giudice nazionale, in sede di scelta della misura cautelare da applicare, di negare una misura alternativa alla detenzione carceraria - ivi compresa quella degli arresti domiciliari - sul mero presupposto dell'assenza di un indirizzo di esecuzione sul territorio nazionale, perché la disponibilità di un indirizzo presso altro Stato dell'Unione, in cui l'interessato sia radicato, equivale alla disponibilità di un indirizzo in Italia.
Nella sola ipotesi in cui lo Stato ove è radicato l'interessato
rifiuti la sorveglianza sull'esecuzione della misura, per uno dei motivi di cui
all'art. 15 della Decisione Quadro 2009/829/GAI, il giudice italiano potrà
ritenere l'interessato privo di indirizzo per l'esecuzione di una misura
alternativa alla detenzione, disponendo di conseguenza.
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Un orientamento minoritario ritiene, invece, come la misura cautelare degli arresti domiciliari non rientri nell'ambito applicativo del d.lgs. n. 36/2016, atteso che tale decreto legislativo si riferisce esclusivamente alle misure cautelari non detentive (Sez. 3, n. 26010 del 29/4/2021, Syski).
Secondo i giudici della Terza sezione, tale conclusione si imporrebbe sulla base della valorizzazione del dato letterale dell'art. 4 del d.lgs. n. 36 del 2016, delineante l'ambito applicativo del decreto il quale "...si applica alle seguenti misure cautelari: a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un'audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali".
In particolare, l'art. 4, lett. c) D. Lgs. 36/2016, nel contemplare l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, si riferirebbe
chiaramente all'obbligo di dimora, che prevede anche la possibilità di imporre
l'obbligo di non allontanarsi dal domicilio in determinate ore del giorno.
L'adesione dei giudici della Sesta Sezione all'orientamento minoritario.
I giudici della Sesta Sezione hanno ritenuto di aderire a quest'ultima soluzione, sulla base di ragioni desumibili sia dall'assetto codicistico, che dal coordinamento tra il d.lgs. n. 36 del 2016 e la disciplina in tema di mandato di arresto europeo.
Per quanto concerne la normativa codicistica, la Suprema Corte ha evidenziato come l'art. 284, comma 5 c.p.p. preveda l'equiparazione degli arresti domiciliari alla custodia in carcere, in tal modo sottolineando la sostanziale equiparazione delle due misure; essa si evince, inoltre, dall'identica disciplina sanzionatoria applicabile nel caso di evasione, ex art. 385 comma 3 c.p.. Le due misure cautelari divergono, infatti, essenzialmente per il diverso luogo ove si attua la restrizione della libertà personale, ma gli effetti sono i medesimi.
In mancanza, pertanto, di una previsione normativa che preveda espressamente l'applicazione del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36 anche alla misura degli arresti domiciliari, deve ritenersi prevalente l'equiparazione tra tale misura e la custodia in carcere, stabilita in via generale dal codice di rito.
In tal senso, hanno altresì rilevato i giudici di legittimità, depone anche l'interpretazione letterale e sistematica della previsione contenuta nell' art. 4, lett. c) del d.lgs. n. 36 del 2016, ove si fa riferimento alle misure alternative alla detenzione comportanti l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite. Tale norma, infatti, appare pienamente compatibile con altra misura cautelare, ed in particolare con l'obbligo di dimora, rispetto al quale può essere previsto anche l'obbligo aggiuntivo di non allontanarsi dall'abitazione in determinate ore del giorno. Tale previsione è, infatti, perfettamente collimante con la disciplina dell'obbligo di dimora di cui all'art. 283 c.p.p., piuttosto che con quella degli arresti domiciliari ex art. 284 c.p.p.. Quest'ultima norma, infatti, non contempla l'obbligo di permanere in un "luogo determinato", bensì impone la permanenza nell'abitazione, termine, questo, con il quale si fa riferimento ad una nozione ben più ristretta e delimitata rispetto a quella di "luogo determinato", di norma coincidente con l'ambito del territorio comunale.
In buona sostanza, ha aggiunto la Corte, deve ritenersi che così come il codice di rito distingue l'obbligo di dimora dagli arresti domiciliari, prevedendo per il primo l'obbligo di permanenza in un ambito territoriale esteso (Comune o, al più, specifica frazione), analoga nozione è stata recepita anche nel d.lgs. n. 36 del 2016, nella parte in cui non si menziona l'obbligo di permanenza nell'abitazione, bensì in un "luogo determinato", in tal modo richiamando una nozione perfettamente riconducibile alla previsione di cui all'art. 283 c.p.p., anziché a quella concernente gli arresti domiciliari. Analoghe considerazioni, del resto, valgono anche in relazione alla previsione contenuta nella decisione quadro 2009/829/GAI, ove, all'art. 8, lett. c), si indica, tra le misure contemplate, l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite. Vi è, pertanto, una piena coincidenza tra la decisione quadro e la normativa nazionale di recepimento, ed in nessuna di esse si opera alcun riferimento, neppure implicito o indiretto, all'intenzione di ricomprendere, nella misura dell'obbligo di rimanere in un luogo determinato, anche gli arresti domiciliari.
Ciò posto, si è altresì osservato come, anche operando un'interpretazione sistematica della normativa, appaia, comunque, evidente l'eccentricità della misura degli arresti domiciliari rispetto alle restanti misure cautelari sicuramente contemplate nella decisione quadro e nel d.lgs. n. 36 del 2016. Le misure cautelari indicate dall'art. 8 della decisione quadro e dall'art. 4 del d.lgs. n. 36 del 2016 appaiono, infatti, tutte omogenee tra di loro, riguardando: a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un'audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali.
Ebbene, il carattere comune di tali misure cautelari, ha rilevato la Suprema Corte, consiste nell'imposizione di limitazioni alla libertà personale, ma non certo nella privazione della stessa che, invece, costituisce il fondamento della misura degli arresti domiciliari e costituisce la ragione di fondo dell'equiparazione di tale misura con quella della custodia cautelare in carcere.
L'ultimo argomento, di ordine sistematico, a favore della tesi secondo cui gli arresti domiciliari non rientrano tra le misure eseguibili all'estero, è stato individuato dai giudici della Sesta Sezione nel complessivo assetto della disciplina della restrizione delle libertà personali in ambito comunitario, ed in particolare nella normativa sul mandato di arresto europeo.
In base alla l. 22 aprile 2005, n. 69, infatti, i rapporti di consegna, attivi e passivi, tra autorità giudiziarie europee si attuano mediante il ricorso al mandato di arresto europeo.
Sul punto, si è osservato come, nel caso di procedura attiva di consegna richiesta dall'autorità italiana, l'art. 28 l. 69/2005 stabilisca espressamente l'applicabilità del mandato di arresto europeo non solo nel caso in cui il giudice italiano abbia disposto la custodia in carcere, ma anche qualora la misura da eseguire sia quella degli arresti domiciliari. Tale circostanza induce a ritenere che, qualora il d.lgs. n. 36 del 2016 si applicasse anche agli arresti domiciliari, ne deriverebbe una palese incongruenza ed una sovrapposizione con la disciplina in tema di procedura attiva di consegna mediante mandato di arresto europeo. Infatti, se all'esito dell'applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di un cittadino di uno Stato europeo residente all'estero fosse consentita l'esecuzione di tale misura nello Stato di residenza, non avrebbe alcuna ragion d'essere l'espressa previsione, per tale ipotesi, della procedura attiva di consegna.
Pertanto, la normativa in tema di mandato di arresto europeo e quella sul riconoscimento delle ordinanze in materia cautelare richiedono, al fine di evitare indebite sovrapposizioni, un necessario coordinamento, il quale può essere raggiunto esclusivamente ritenendo che il mandato di arresto europeo si applichi nei casi in cui il destinatario della misura della custodia cautelare o degli arresti domiciliari risieda all'estero e, per essere sottoposto alla misura, se ne renda necessaria la consegna allo Stato di emissione del provvedimento restrittivo. Per tutte le restanti misure cautelari contemplate dal d.lgs. n. 36 del 2016, invece, l'esecuzione non richiede la consegna allo Stato di emissione della misura, potendo procedersi all'esecuzione all'estero.
Tale interpretazione, ha affermato la Corte, determina, pertanto, una piena complementarità tra la disciplina sul mandato di arresto e quella in tema di riconoscimento delle misure cautelari da eseguirsi all'estero, evitando indebite sovrapposizioni. A tal riguardo, si è ulteriormente segnalato come la stessa Corte di Cassazione abbia precisato che, in caso di richiesta di mandato di arresto europeo per l'esecuzione della misura degli arresti domiciliari, il giudice, prima di emettere il provvedimento, deve verificare se nello Stato richiesto è prevista la misura domiciliare tra gli strumenti cautelari, al fine di evitare che, nelle more della consegna, lo Stato richiesto applichi all'interessato una misura maggiormente afflittiva di quella da eseguire in Italia (Sez.3, n.35879 del 28/6/2016, Castillo). Tale affermazione costituisce ulteriore prova del fatto che, nel caso in cui la misura da eseguire sia quella degli arresti domiciliari, sia esclusa la permanenza all'estero del soggetto richiesto in consegna, tant'è che la verifica in ordine all'esistenza della misura degli arresti domiciliari nella normativa estera è finalizzata, esclusivamente, a prevenire la sottoposizione, nelle more della procedura di consegna, ad una misura più gravosa.
Infine, la Corte di Cassazione ha rilevato come, in ordine alla questione in esame, la dottrina sia tendenzialmente propensa a ritenere che il d.lgs. n.
36 del 2016 svolga una funzione complementare al mandato di arresto europeo,
cui è rimessa la disciplina in tema di provvedimenti restrittivi, anche
cautelari, della libertà personale. La complementarità con la l. 69/2005, infatti, emerge in più punti della decisione quadro 2009/829/GAI, a
cominciare dalla possibilità di ricorrere al mandato di arresto per garantire
"il regolare corso della giustizia e, in particolare, la comparizione
dell'interessato in giudizio" (considerando n. 12); la
prevalenza del mandato di arresto è, inoltre, ribadita anche nel successivo considerando
n. 13 e, nell'art. 15, par. 1 lett. h), ai fini del rifiuto di riconoscimento.
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A fronte di tali argomenti logico-sistematici, i giudici di legittimità hanno ritenuto come l'obiezione posta a fondamento dell'orientamento contrario sia da considerarsi recessiva.
I sostenitori della tesi secondo cui anche la misura degli arresti domiciliari sarebbe eseguibile all'estero fondano, infatti, tale assunto sul ritenuto rischio di disparità di trattamento tra cittadini italiani e di altri Stati europei, nell'ipotesi in cui a questi ultimi siano negati gli arresti domiciliari in considerazione dell'indisponibilità di un'abitazione. Tuttavia, si è osservato, tale ipotesi rappresenta un'eventualità che non dipende da una carenza normativa, ma da specifiche condizioni di fatto che possono configurarsi anche nei confronti del cittadino italiano. L'indisponibilità di un luogo idoneo ove rimanere in regime di arresti domiciliari è, infatti, un fattore ostativo che vale per chiunque, a prescindere dalla sua nazionalità e residenza.
Ciò posto, potrebbe, nondimeno, obiettarsi che il cittadino di altro Stato
residente all'estero ben difficilmente avrà la disponibilità di un'abitazione in
Italia, circostanza, questa, tale da giustificare l'interpretazione estensiva del d.lgs. n. 36
del 2016.
Sul punto, la Corte ha richiamato i principi per cui: "In tema di scelta della misura idonea a soddisfare le ritenute esigenze cautelari, è legittima l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nel caso in cui il giudice ritenga che la pericolosità del soggetto da sottoporre a cautela possa essere neutralizzata attraverso l'applicazione degli arresti domiciliari, ma il predetto soggetto non disponga di un domicilio all'uopo idoneo (Sez. 2, n. 3429 del 20/12/2012, dep. 2013, Di Mattia); ed ancora che: "Ai fini della sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, è onere dell'interessato privo di un'abitazione (nella specie, perché senza fissa dimora nel territorio dello Stato), fornire tutte le indicazioni necessarie circa la concreta disponibilità di uno dei luoghi di esecuzione indicati dall'art. 284, comma 1, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in mancanza di queste, il tribunale del riesame, in quanto sprovvisto di poteri istruttori, può legittimamente rigettare la richiesta di applicazione della forma di cautela meno afflittiva pur in presenza di una prognosi di condanna a pena non superiore a tre anni di reclusione (Sez. 3, n. 41074 del 30/9/2015).
Secondo il Collegio, tali pronunce dimostrano come l'assenza di una abitazione ove rimanere agli arresti domiciliari sia una questione che può sorgere nell'ambito delle dinamiche cautelari a prescindere da quella che è la condizione particolare dello straniero e che, conseguentemente, dev'essere risolta individuando un luogo alternativo idoneo, ovvero valutando una diversa modulazione della misura cautelare applicabile.
A fronte della difficoltà pratica di reperire un alloggio, tuttavia, si è rilevato, il rimedio non può essere individuato nell'estensione di un istituto (la sottoposizione all'estero di misure non detentive) dettato con riguardo a misure cautelari diverse dagli arresti domiciliari, omettendo di considerare come per le misure restrittive della libertà personale l'ordinamento preveda espressamente il ricorso alla disciplina del mandato di arresto europeo.
In conclusione, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha pertanto affermato il principio per cui la misura cautelare degli arresti domiciliari non rientra nell'ambito applicativo del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, in quanto tale decreto legislativo si riferisce esclusivamente alle misure cautelari non detentive.
Sulla base di tali motivazioni, i giudici di legittimità hanno pertanto dichiarato infondato il ricorso, stante il difetto del presupposto stesso per richiedere la sottoposizione agli arresti domiciliari presso la residenza in Spagna dell'indagato.