La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 51602, pronunciata all'udienza del 6 dicembre 2023 (deposito motivazioni in data 29 dicembre 2023) ha preso in esame il tema della responsabilità del medico per omessa diagnosi differenziale.
Il fatto.
Un'imputata proponeva ricorso avverso la Sentenza con cui la Corte d'Appello di Catanzaro ne aveva confermato la penale responsabilità per il delitto di cui all'art. 589 c.p.. Si era contestato alla medesima, nella qualità di sanitario in servizio presso il Pronto soccorso, ed in cooperazione con altri colleghi, in seguito assolti, di aver cagionato per colpa la morte di un paziente, deceduto per scompenso multi organo da shock settico da endocardite metastatizzata ad encefalo e bronchi. In particolare, si era rimproverato all'imputata di non aver disposto l' immediato ricovero del paziente, quando questi si era presentato al pronto soccorso, non avendo rilevato l'esistenza di un quadro clinico del tutto allarmante.
La vittima, a seguito di un infortunio sul lavoro, si era recata al pronto soccorso, ove era stata sottoposta a radiografia del piede sinistro. L'uomo era stato dimesso con la diagnosi di trauma al piede sinistro con terapia farmacologica da praticare a domicilio. Continuando, tuttavia, ad avvertire dolore, il paziente si era recato presso altro ospedale, ove, a seguito dell'esame obiettivo e della radiografia eseguita, era stata formulata la diagnosi di "ferita infetta dorso piede sinistro con frattura distacco base 1 metatarso ed infrazione secondo e terzo metatarso, notevole edema - trattato presso altro nosocomio". Il medico aveva quindi prescritto l'uso di un tutore e terapia antibiotica e antitrombotica, con successivo controllo. Successivamente, il medesimo sanitario aveva eseguito la medicazione e disposto il "controllo ferita chirurgica" a due giorni.
Il paziente era, tuttavia, ritornato al Pronto soccorso dopo 11 giorni, lamentando un persistente stato febbrile e difficoltà respiratorie; era stato quindi preso in carico dall'imputata, che aveva disposto esami ematici - i quali avevano evidenziato alterazione della Proteina c reattiva e fortissima alterazione dei D Dimeri - nonchè radiografia al torace; ella lo aveva quindi dimesso con diagnosi di "sospetto addensamento polmone dx" con terapia domiciliare. Trasportato nuovamente in pronto soccorso, era stato riscontrato uno stato di: "dispnea in pregressa frattura piede sx, febbre. Riferito trauma da schiacciamento piede sx con ferita infetta e frattura. Iperteso, in terapia con Triatec, ciproxin eparina". L'esame obiettivo aveva rivelato "condizioni cliniche del paziente in rapido e improvviso peggioramento, con grave stato ipertensivo, iperpiressia 39. Segni di stato iniziale di shock verosimilmente settico". All'esito degli esami strumentali ed ematochimici, il sanitario del pronto soccorso aveva quindi formulato diagnosi di "sospetto shock settico in paziente con processo infiammatorio infettivo al piede sinistro", disponendone il ricovero in terapia intensiva, ove il paziente era in seguito deceduto.
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Il Tribunale aveva assolto i medici, coimputati in cooperazione colposa, ed aveva, invece, ritenuto censurabile la condotta della sola imputata, medico del Pronto soccorso, per non aver disposto l'immediato ricovero del paziente. I giudici avevano accertato che la causa della morte, dovuta a MOF (multi organ failure) o scompenso multi organo da shock settico da endocardite metastatizzata ad encefalo e bronchi, era riconducibile all'errato trattamento della sepsi della ferita al piede, escludendo rilevanza causale alla mancata diagnosi della frattura; avevano, quindi, ritenuto che il decesso fosse ricollegabile al mancato ricovero, non disposto dall'imputata: attraverso accertamenti clinici e strumentali, infatti, ella avrebbe potuto effettuare la corretta diagnosi della patologia in atto, individuando la causa del riferito stato febbrile resistente ai farmaci, attraverso l' isolamento del germe patogeno; inoltre, il valore del D dimero testimoniava l' insorgenza di un processo patologico in atto di rilevante importanza, tale da suggerire l' immediato ricovero; così come il valore elevato della proteina c reattiva indicava con chiarezza uno stato infettivo grave.
La Corte d'Appello, a sua volta, aveva ribadito che la causa della morte era riconducibile all'infezione batterica in atto, veicolata dalla ferita infetta al piede sinistro, affermando, altresì, l'irrilevanza della mancata individuazione del germe patogeno, posto che, essendo stato il paziente sottoposto a terapia antibiotica, in simili casi sono frequenti gli antibiogrammi con risultato "falso negativo", come avvenuto nel caso di specie; doveva dunque ritenersi certo l'errore diagnostico commesso dall'imputata, consistente nell'aver dato importanza al dato dei leucociti, che si erano presentati nel range normale in relazione all'effetto della terapia antibiotica, piuttosto che al valore elevatissimo del D. dimero e della Proteina c reattiva, che avrebbero imposto l' immediato ricovero del paziente.
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Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputata lamentava come i giudici di merito avessero violato il principio dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio. Pur dando atto, infatti, che i leucociti si presentavano nei valori normali ed, anche a voler dar rilievo all'elemento del cd "falsi negativi", non si era considerato che il quadro clinico del paziente, così come si presentava al pronto soccorso, non era chiaro, ed era peraltro privo di dati allarmanti; invero il paziente non mostrava segni clinici di sofferenza cardiocircolatoria, nè patologia polmonare infettiva, nè segni di embolia, nè di infezione, poichè i globuli bianchi erano normali; i valori del D Diimero e Pcr non erano dunque associati ad un quadro clinico definito.
La decisione.
La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondato il motivo di ricorso. In via preliminare, i giudici di legittimità hanno rilevato, con riferimento alla dedotta violazione del principio dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio, come il principio secondo cui la condanna può essere pronunciata solo se l' imputato risulti colpevole "oltre ogni ragionevole dubbio", non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva una ricostruzione alternativa del fatto emersa in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale differente prospettazione sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice, il quale abbia individuato gli elementi di conferma dell' ipotesi ricostruttiva accolta posti a base della condanna, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un' ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile.
Nella fattispecie, la ricorrente lamentava, come detto, la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, del fatto che il quadro clinico del paziente, così come si presentava al pronto soccorso, non era chiaro ed era peraltro privo di dati allarmanti.
In realtà - hanno osservato i giudici di legittimità - la sentenza della Corte d'Appello, in ottemperanza ai principi costantemente affermati dalla Suprema Corte, aveva rilevato come, secondo le conclusioni delle consulenze tecniche del PM e delle parti civili, fosse non solo il valore della Proteina C reattiva, di per sè platealmente indicativo di uno stato infettivo, ma anche il valore del D dimero, elevatissimo (dieci volte oltre il normale) che avrebbe dovuto indurre al sospetto della sepsi. Le conclusioni del consulente di parte, secondo cui il valore alterato del D dimero corrispondeva a situazioni fisiologiche, erano riferite, a mente della stessa consulenza, che riportava una tabella relativa alle "situazioni fisiologiche", a situazioni quali età avanzata o gravidanza, tra cui certamente non rientrava la situazione del paziente nel caso di specie. Pertanto, dette conclusioni non erano idonee a scardinare le argomentazioni e le valutazioni della consulenza tecnica del Pubblico Ministero e della parte civile, che avevano attribuito ai citati valori il segnale di un importante e non sottovalutabile allarme. I giudici di merito avevano, dunque, congruamente dato conto delle motivazioni per cui la consulenza di parte fosse stata disattesa, sulla base della verifica critica della affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto.
La Suprema Corte ha quindi confermato la responsabilità colposa del sanitario, ribadendo il principio per cui è senz'altro configurabile la colpa per imperizia, nell'accertamento della malattia, e per negligenza, per l'omissione delle indagini necessarie, del medico che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benchè posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente.(Sez. 4 - n. 26906 del 15/05/2019, Hjiazi; Sez. 5, n. 52411 del 04/07/2014, imputato C.). Tale fattispecie, hanno rilevato i giudici di legittimità, ricorreva nel caso in esame, avendo l'imputata a disposizione dati che non le avrebbero ragionevolmente consentito di rinviare il paziente presso il proprio domicilio, stante l'accertata ed allarmante gravità del quadro clinico del medesimo.
Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso.