La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 5119, pronunciata all'udienza del 20 dicembre 2023 (deposito motivazioni in data 5 febbraio 2024), ha preso in esame il tema relativo all'individuazione degli elementi dai quali desumere il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Il fatto.
Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Milano ne aveva confermato la penale responsabilità in ordine al delitto di cui agli artt. 223, comma 2, n. 2, legge fall., per avere, in qualità di consigliere e socio unico di una Srl, concorso a cagionare il fallimento della società tramite operazioni dolose consistite: nell'avere sottratto somme di pertinenza dei condomini amministrati, accumulando così un debito nei confronti di un supercondominio e degli altri condomini, ammessi quali creditori al passivo del fallimento, per un importo totale di 287.223,00 euro; nonché per avere, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, sottratto, distrutto e falsificato, in tutto o in parte, i libri o le altre scritture contabili o, comunque, per averli tenuti in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
Tramite i propri motivi di ricorso, l'imputato denunciava, in primo luogo, un vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta per operazioni dolose. La Corte d'Appello di Milano, infatti, si era limitata ad evidenziare il comportamento inerte dell'imputato, che avrebbe determinato un aggravamento del dissesto societario, senza svolgere, tuttavia, alcuna considerazione in relazione al principio di diritto secondo cui, al cospetto di operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la realizzazione delle stesse deve accompagnarsi alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa. Ciò che, a sua volta, presupporrebbe che le operazioni dolose non siano troppo "anticipate nel tempo", essendo necessaria una "prevedibilità del dissesto nel medio periodo", secondo quanto affermato da Cass. pen., Sez. 1, n. 14783 del 9/03/2018, Ostè. La Corte di appello aveva esclusivamente evidenziato l'efficacia causale della (supposta) inerzia dell'imputato in relazione all'aggravamento del dissesto societario, senza nulla dire in merito alla prevedibilità del dissesto della società. Tanto più che, nel caso di specie, era trascorso un lungo tempo tra le condotte di appropriazione indebita e l'effettivo dissesto della società, avvenuto solo 3-4 anni più tardi.
Inoltre, l'imputato lamentava un vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale. La sentenza d'appello, secondo cui dall'istruttoria dibattimentale era emerso che l'imputato aveva irregolarmente tenuto le scritture contabili obbligatorie, con la consapevolezza che ciò avrebbe reso impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio della Srl, non indicava, infatti, alcuna circostanza ulteriore, rispetto alla semplice mancanza di una parte dei libri e delle scritture contabili.
La decisione.
La Suprema Corte ha, in primis, osservato come la norma incriminatrice di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, legge fall., la quale punisce il fatto di colui il quale abbia "cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società", preveda due autonome fattispecie criminose.
Sotto l'aspetto oggettivo, esse consistono in condotte, non meglio tipizzate, che devono avere determinato o concorso a determinare, sul piano causale, il fallimento. Con riferimento alla seconda fattispecie, le operazioni dolose possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa (Sez.5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, dep. 2014, Beretta; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti Spa). Esse postulano, inoltre, una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini; Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Mora).
Per quanto concerne il nesso di causalità tra l'operazione dolosa e il fallimento, si è ribadito come esso non possa dirsi interrotto né dalla preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all'art. 41 c.p., né dal fatto che l'operazione dolosa abbia cagionato anche solo l'aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica e implica un fenomeno in sé reversibile (Sez 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu; Sez. 5, 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti Spa).
Con riferimento, invece, all'aspetto soggettivo, i giudici di legittimità hanno rilevato che, mentre nell'ipotesi di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, sicché la fattispecie è a dolo specifico, nel fallimento conseguente a operazioni dolose, esso è solo l'effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il fallimento, sicché tale delitto è a dolo generico (Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, dep. 1999, Carrino G; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti Spa); rispetto al fallimento è, inoltre, necessario che ricorra la prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina).
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Con riguardo al caso di specie, la Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso inerente al vizio di motivazione circa l'elemento soggettivo della fattispecie, ed in particolare in ordine alla mancata dimostrazione che il dissesto fosse prevedibile al momento del compimento delle operazioni dolose. Sul punto, la Corte d'Appello di Milano aveva, infatti, evidenziato come l'imputato dovesse ritenersi consapevole che il suo comportamento inerte avrebbe determinato un aggravamento del dissesto societario, ma non aveva svolto alcuna considerazione in relazione alla prevedibilità che le operazioni dolose contestate, tra le quali non vi era la predetta condotta inerte, avrebbero determinato il dissesto della società. Tale apprezzamento, si è osservato, sarebbe stato tanto più opportuno, alla luce del non breve arco temporale intercorso tra le condotte appropriative ed il fallimento della società, avvenuto tre/quattro anni dopo.
Il Collegio ha, inoltre, accolto l'ulteriore motivo di ricorso proposto dall'imputato, osservando come gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con il mero dato della scomparsa dei libri contabili (o con la tenuta degli stessi in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari), essendo essi semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato.
Al contrario, ha affermato la Corte, è necessario che ricorrano circostanze di fatto ulteriori, o quantomeno elementi di natura logica, in grado di farne emergere gli scopi che, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica, devono identificarsi nella finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica, di recare pregiudizio ai creditori, nella consapevolezza che l'irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio.
Nel caso di specie, la sentenza di primo grado aveva affermato la sussistenza del dolo generico a partire dall'entità dell'omissione delle scritture contabili, ritenuta incompatibile con una mera trascuratezza colposa. Con l'atto di appello la difesa aveva rilevato che le omissioni precedenti all'epoca in cui l'imputato era subentrato nel ruolo di amministratore non gli erano attribuibili, e che egli aveva consegnato ciò che era stato messo a sua disposizione al momento dell'assunzione della qualità di amministratore. La sentenza d'appello, dopo avere ricordato l'obbligo di tenuta delle stesse derivante dal subentrare dell'imputato al padre nel ruolo di amministratore, si era limitata ad affermare come dall'istruttoria dibattimentale fosse emerso il dolo generico del reato nella condotta del predetto, il quale, con coscienza e volontà, aveva irregolarmente tenuto le scritture contabili obbligatorie, con la consapevolezza che ciò avrebbe reso impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio della società.
In tal modo, tuttavia, hanno rilevato i giudici di legittimità, la Corte territoriale non aveva indicato i concreti elementi di fatto, ulteriori rispetto al mero dato della irregolare tenuta delle scritture, che potessero costituire indici dai quali inferire, anche in via logica, l'esistenza dell'elemento soggettivo richiesto.
Sulla base di tali motivazioni, il Collegio ha, pertanto ritenuto necessaria, sul punto, una nuova motivazione da parte dei giudici di merito, annullando con rinvio la sentenza impugnata.