mercoledì 14 febbraio 2024

Notifica del decreto di citazione a giudizio nella casella P.E.C. satura del difensore domiciliatario ed effettiva conoscenza del processo.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 5093, pronunciata all'udienza del 9 gennaio 2024 (deposito motivazioni in data 5 febbraio 2024), ha preso in esame il tema relativo alla legittimità della dichiarazione di assenza dell'imputato, nell'ipotesi di notifica del decreto di citazione a giudizio effettuata nella casella di posta elettronica certificata, satura, del difensore domiciliatario.

Il fatto.

Un imputato proponeva ricorso avverso l'ordinanza con cui la Corte d'Appello di Bari aveva rigettato l'istanza di rescissione del giudicato da egli proposta, in relazione ad una sentenza di condanna per il delitto di cui all'art. 337 c.p.. 

Tramite i propri motivi, egli rilevava di aver avuto conoscenza di tale sentenza di condanna solo a seguito della notifica della cartella volta ad ottenere il pagamento delle spese di giustizia. La Corte d'Appello, tuttavia, aveva rigettato l' istanza di rescissione del giudicato, in quanto l'imputato avrebbe avuto conoscenza del processo per effetto della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione a giudizio, eseguite al difensore domiciliatario a mezzo di posta elettronica certificata.

Ad avviso del ricorrente, la Corte d'Appello aveva violato il principio dell'effettiva conoscenza del processo da parte dell' imputato: la notifica del decreto di citazione a giudizio, eseguita a mezzo posta elettronica, era, infatti, da considerarsi nulla, atteso che la consegna della mail non era avvenuta, a causa della "casella piena", e non vi era, perciò, stata la prova certa della ricezione della notifica.

Sul punto, si segnalava, peraltro, l'evoluzione della giurisprudenza civile sulla questione dell'efficacia della notifica a mezzo posta elettronica non ricevuta per effetto della saturazione della casella di posta elettronica, e l'orientamento secondo il quale tale evenienza non esonera dall'eseguire la notifica in forma cartacea presso il domicilio fisico. Inoltre, il destinatario del messaggio p.e.c non avrebbe alcun onere di mantenere la casella libera; né spetterebbe all' istante dimostrare il malfunzionamento della posta elettronica, spettando invece all'autorità giudiziaria provare di aver informato l'accusato, ex art. 6 comma 3 CEDU, e che il medesimo sia stato a conoscenza dell'accusa rivolta nei suoi confronti.

La Corte d'Appello di Bari aveva, dunque, invertito l'onere probatorio, essendo stata raggiunta solo la prova dell' invio del decreto di citazione a giudizio mediante posta elettronica certificata, senza alcuna certezza della sua avvenuta consegna. Il principio dell'effettiva consegna (e, dunque, della certezza della conoscenza dell'atto) sarebbe, invece, da ritenersi inviolabile, stante la necessità di tutelare i diritti di difesa ed al contraddittorio.

La decisione.

La Suprema Corte ha, in primis, rilevato l'impossibilità di affermare che, nel caso di specie, la ricezione del decreto di citazione a giudizio fosse stata impedita dalla saturazione della casella di posta elettronica del difensore; mancava, infatti, l'attestazione, apposta in calce all'atto dal cancelliere trasmittente, dell'avvenuto invio del testo originale, e che l'atto notificato a mezzo di messaggio di posta elettronica fosse stato restituito al mittente con l'indicazione "casella piena".

I giudici di legittimità hanno, quindi, affermato come, in tale fattispecie, non possa ritenersi integrato il perfezionamento della notifica a mezzo pec, alla luce di quanto previsto dalla relativa disciplina di legge. Sul punto, infatti, l'art. 16 comma 6 D.L. 179/2012 prevede che: "Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario".

Nell'ipotesi, invece, in cui non sia stato possibile effettuare telematicamente la notificazione, per causa non imputabile al destinatario, ai sensi del comma 8 dello stesso art. 16, si applica l'art. 148 del codice di procedura penale e la notificazione deve essere eseguita nelle forme ordinarie previste dal codice di rito (Sez. 5, n. 41697 del 13 maggio 2019, Carbone; Sez. 5, n. 45384 del 13 settembre 2018, M.; Sez. 3, n. 54141 del 24 novembre 2017, Mariani).

Nell'ipotesi, dunque, di saturazione della casella di posta elettronica, imputabile al destinatario, la notifica al difensore deve considerarsi regolarmente perfezionata con la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, D.L. 16 ottobre 2012, n. 179.

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Ciò posto, la Corte ha ricordato come la verifica del valido perfezionamento della notifica all'imputato non esaurisca i profili che la Corte di appello deve verificare, nel giudizio di fondatezza dell'istanza di rescissione del giudicato.

Le Sezioni Unite Penali "Innaro", infatti, chiamate a pronunciarsi sulla nozione di "effettiva conoscenza del procedimento" - alla quale l'art. 175, comma 2, c.p.p., nella previgente formulazione (introdotta dal D.L. 17/2005, conv. dalla l. 60/2005, e poi modificata dalla l. 67/2014), ricollegava effetti preclusivi alla restituzione in termini per l' impugnazione - hanno stabilito che, ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2 c.p.p., nella formulazione antecedente alla modifica operata con l. 67/2014, l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l' imputato non deve avere rinunciato a comparire, ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza (Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro).

Le Sezioni Unite hanno dunque, innanzitutto, affermato - ha rilevato la Corte - la necessità che l'accusato abbia conoscenza del processo, e non soltanto dell'esistenza di un' indagine penale a suo carico, e perciò che egli sia destinatario di un provvedimento formale di vocatio in iudicium, contenente l' indicazione dell'accusa formulatagli, nonché della data e del luogo di svolgimento del giudizio. Esse hanno, inoltre, statuito che tale conoscenza dev'essere effettiva, e non soltanto presunta né, tantomeno, meramente legale. Il processo può, dunque, ritenersi legittimamente celebrato in assenza dell'imputato soltanto nel caso in cui egli, consapevolmente informato in tali, dettagliati termini, abbia rinunciato a comparire, oppure qualora si sia deliberatamente sottratto alla conoscenza di esso.

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Nel caso di specie, hanno rilevato i giudici di legittimità, la Corte d'Appello di Bari non aveva fatto buon governo di tali principi, essendosi limitata a ritenere (peraltro erroneamente) validamente eseguita la notifica nei confronti del difensore domiciliatario, e rigettando la richiesta di rescissione del giudicato, senza effettuare alcuna verifica della conoscenza effettiva dell'accusa e della pendenza del processo da parte dell'imputato.

Sulla base di tali rilievi, la Suprema Corte ha, pertanto, annullato con rinvio l'ordinanza impugnata, invitando la Corte d'Appello di Bari a verificare la valida esecuzione della notifica nei confronti del difensore domiciliatario e se la stessa abbia determinato l'effettiva conoscenza della pendenza del processo per l' imputato, o se lo stesso si sia deliberatamente sottratto alla conoscenza dello stesso.