In materia di reati tributari, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 8643, pronunciata all'udienza del 14 novembre 2023 (deposito motivazioni in data 28 febbraio 2024) ha preso in esame la questione concernente l'individuazione delle ipotesi in cui, in tema di sottrazione al pagamento delle imposte, abbiano natura fraudolenta gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato che determinino il trasferimento effettivo del bene.
Il fatto.
Un imputato, legale rappresentante e socio di una Srl, proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano ne aveva confermato la penale responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000. In particolare, veniva al medesimo contestato di avere venduto, nella predetta qualità, in favore proprio e della di lui consorte, un capannone ed un lastrico solare di proprietà della società, atto ritenuto, stante la sua natura fraudolenta, idoneo a rendere in tutto od in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva delle imposte dirette o sul valore aggiunto da parte dell'Amministrazione finanziaria.
Tramite i propri motivi di ricorso, l'imputato lamentava la violazione dell'art. 11 D.Lgs. n. 74/00, con riferimento alla sussistenza dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato in questione.
Sotto il primo profilo, il ricorrente osservava come la Corte d'Appello avesse desunto il carattere fraudolento dell'atto negoziale contestato dall'idoneità dello stesso a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva delle imposte da parte dell'amministrazione finanziaria, sulla base di un illegittimo ragionamento di carattere meramente presuntivo. Al contrario, la compravendita doveva essere ritenuta priva di carattere simulatorio, in quanto gli acquirenti avevano effettivamente pagato il corrispettivo dell'avvenuto acquisto alla Società alienante, e tale somma corrispondeva al valore di mercato dell'immobile; inoltre, il carattere fraudolento dell'atto negoziale doveva essere escluso anche sulla base della circostanza che i soci della Srl non si erano appropriati del denaro proveniente dalla compravendita.
Quanto, invece, all'elemento soggettivo del reato, la difesa sosteneva l'insussistenza del medesimo, in quanto il dolo specifico di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/00 non sarebbe riscontrabile quando l'agente abbia impiegato il ricavato dell'alienazione per estinguere i debiti tributari. Nel caso di specie, dall'istruttoria dibattimentale era emersa l'avvenuta destinazione del ricavato della vendita all'estinzione del mutuo bancario, garantito da un'ipoteca riguardante lo stesso immobile, con utilizzo della somma residua, da un lato, per il parziale pagamento del debito tributario, dall'altro per il pagamento dei dipendenti e di altri debiti della Società, tra i quali un canone di locazione immobiliare.
La decisione.
La Suprema Corte ha, in primo luogo, disatteso quanto affermato dalla Procura generale, la quale rilevava una nozione di "atto fraudolento" ricavabile (anche in presenza di un atto dispositivo di un diritto, da parte del soggetto obbligato nei confronti del Fisco, non caratterizzato da intenti simulatori) in funzione della mera sottrazione, conseguente all'avvenuta sua cessione, del bene oggetto del diritto ceduto, "alle ragioni del creditore pubblico"; dunque, una nozione di "atto fraudolento" tanto ampia da ricomprendere in sé ogni ipotesi di cessione di beni realizzata da un soggetto che sia debitore del Fisco. Essa, ha tuttavia osservato la Corte, dilaterebbe in termini inaccettabili i confini della rilevanza penale degli atti abdicativi di diritti, sino a ricomprendervi ogni transazione commerciale che determini la cessione di un diritto da parte di un soggetto che sia anche contribuente, potendo, infatti, in via astratta, in ciascuno dei casi indicati, realizzarsi la sottrazione del bene ceduto "alle ragioni del creditore pubblico".
Tale tesi, hanno rilevato i giudici di legittimità, risulta non conforme a quanto affermato, sul punto, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di sottrazione al pagamento delle imposte hanno natura fraudolenta gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato che, diversamente da quelli simulati, determinino il trasferimento effettivo del bene, solamente nel caso in cui essi risultino connotati da elementi di inganno o di artificio e, quindi, da stratagemmi finalizzati a sottrarre all'esecuzione fiscale le garanzie patrimoniali genericamente assicurate dal contribuente (Cass. Pen., Sez. III, 2 agosto 2023, n. 33988; nello stesso senso, pur in assenza dell'esplicita distinzione fra atti fraudolenti già in quanto solo simulati - nei quali, pertanto, l'inganno è implicito nella stessa simulazione - ed atti i cui effetti sono voluti e, ciononostante, debbono essere egualmente ritenuti fraudolenti: Cass. pen., Sezione III, 16 dicembre 2020, n. 35983).
Ciò premesso, il Collegio ha osservato come la Corte d'Appello abbia ricavato la natura fraudolenta dell'atto in questione - del quale era indiscussa l'effettività e non la connotazione simulatoria - dal fatto che la cessione fosse intervenuta fra la società della quale l'imputato era il legale rappresentante da una parte e lui stesso e la di lui moglie dall'altra; che il prezzo pattuito fosse inferiore a quello oggetto di perizia e che il bene fosse gravato "con iscrizione di un'ipoteca di importo irrisorio rispetto alla ben maggior somma di spettanza erariale".
Tali argomenti non sono stati, tuttavia, condivisi dai giudici di legittimità.
In primis, quanto al fatto che il soggetto acquirente fosse lo stesso legale rappresentante della srl, unitamente alla di lui moglie, ciò può costituire elemento idoneo ad ingenerare un "sospetto" in relazione alla piena legittimità del contratto in questione, alla luce della disciplina civilistica (art. 1395 c.c.), nella quale l'ipotesi in cui il rappresentante di un soggetto concluda il contratto, essendo egli stesso l'altra parte del rapporto in tal modo instauratosi, costituisce un caso di scuola di possibile annullabilità del negozio, suscettibile, peraltro, di essere fatta valere solo dal soggetto rappresentato e non da terzi, per potenziale conflitto di interessi, a meno che o l'atto non sia stato espressamente autorizzato dal rappresentato ovvero siffatta potenziale situazione sia esclusa in ragione del contenuto del medesimo. Tuttavia, si è osservato come l'astratta validità di tale tipo di contratto non consenta di ritenere il medesimo, solo per tale ragione, realizzato in frode delle ragioni dei creditori - nel caso di specie l'Amministrazione tributaria - del cedente.
Con riguardo, invece, al tema concernente la determinazione del prezzo in misura minore rispetto al valore indicato in perizia, la Corte ha osservato come, avendo l'imputato fatto presente il fatto che il valore del bene, in tale modo determinato, doveva essere abbattuto, in ragione dell'esistenza di un diritto di superficie gravante su parte del bene in questione, sarebbe stato onere dei giudici di merito chiarire se l'abbattimento del 30% del valore, operato in occasione della conclusione del contratto di compravendita, a cagione del peso gravante sul bene compravenduto, doveva intendersi eccessivo rispetto all'effettivo deprezzamento del valore del bene determinato dall'esistenza del diritto reale in questione.
Ancora, hanno aggiunto i giudici di legittimità, la Corte d'Appello avrebbe dovuto spiegare in quali termini poteva desumersi la natura fraudolenta dell'atto in funzione del fatto che una parte del prezzo dovuto per l'acquisto del bene fosse stata versata dagli acquirenti direttamente ad un istituto di credito per estinguere un mutuo a suo tempo da questo concesso alla Srl, assistito da ipoteca gravante sull'immobile oggetto della compravendita.
Infine, il Collegio ha censurato la motivazione della Corte meneghina per non aver preso in considerazione il tema (rilevante in ordine alla qualificazione di "fraudolento" da essa attribuita all'atto dismissivo compiuto dall'imputato) connesso alla destinazione che la Srl aveva impresso ai proventi finanziari derivanti dall'avvenuta cessione del capannone; solo in caso di dispersione per indebita utilizzazione degli stessi, infatti - data, in questo caso, per acquisita la natura reale e non simulata della compravendita - anche laddove tali proventi fossero stati congrui rispetto al valore del bene ceduto, sarebbe stato lecito dedurre la natura fraudolenta dell'avvenuta vendita del capannone, attesa la maggiore facilità di volatilizzazione delle somme di denaro rispetto a quella di altri beni materiali.
La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto come la motivazione fornita dai giudici d'appello, con riguardo alla natura fraudolenta del negozio di vendita posto in essere dall'imputato nella qualità di legale rappresentante della Srl sia stata fondata su elementi privi di un'adeguata valenza dimostrativa con riguardo alla natura fraudolenta dell'atto; essi sono stati, infatti, giudicati quali fattori o irrilevanti per come considerati (la qualifica dell'imputato di soggetto venditore e di soggetto acquirente, di per sé non espressiva di alcun artificio, inganno o menzogna) ovvero non adeguatamente illustrati quanto alla loro rilevanza (la determinazione del prezzo non rispondente all'effettivo valore del bene) o, infine, del tutto trascurati (la destinazione attribuita al provento monetario conseguito dalla Società cedente per effetto della vendita).
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto annullato con rinvio la sentenza impugnata.