La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 14348, pronunciata all'udienza del 18 gennaio 2024 (deposito motivazioni in data 8 aprile 2024), ha preso in esame il tema concernente la posizione di garanzia dell'ostetrica, nell'ambito del lavoro in équipe con il medico ginecologo.
Il fatto.
Un'imputata, esercente la professione di ostetrica, proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'appello di Salerno aveva dichiarato non doversi procedere, agli effetti penali, nei suoi confronti per il reato di omicidio colposo, in quanto estinto per intervenuta prescrizione, confermando però la condanna della stessa agli effetti civili, in solido con una Casa di cura, responsabile civile.
Nella fattispecie, nel corso del parto di una paziente ricoverata presso la clinica, era occorsa la morte di un feto. La paziente era stata assistita, durante il travaglio, dall'imputata e dal medico ginecologo in servizio e di turno presso la struttura sanitaria. La Corte d'Appello aveva ritenuto la sola ostetrica responsabile del fatto, per avere la stessa erroneamente ritenuto normale la cardiotocografia fetale eseguita al momento del ricovero della paziente, omettendo, conseguentemente, di attivarsi per la predisposizione di un urgente parto precoce con taglio cesareo, che, qualora tempestivamente realizzato, avrebbe evitato la morte del feto. I giudici di merito avevano, invece, ritenuto del tutto priva di rilevanza causale la condotta del medico, il quale, pur avendo errato nella lettura dell'esame diagnostico, non avrebbe comunque potuto impedire l'evento, essendo intervenuto poco prima del momento in cui il parto era stato effettivamente eseguito.
Tramite i propri motivi di ricorso, l'imputata lamentava violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo di aver correttamente adempiuto agli obblighi impeditivi derivanti dalla propria posizione di ostetrica. Essi consistevano, infatti, a suo dire, nel dovere di allertare, a fronte di un tracciato CGT anomalo, il medico di turno, e si erano esauriti una volta intervenuto il ginecologo, che, attestando l'assenza di complicazioni, non le aveva consentito - stante la propria posizione gerarchica - di prendere decisioni diverse.
La decisione.
La Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi di ricorso proposti dall'imputata. Gli Ermellini hanno, infatti, osservato come i medesimi abbiano illogicamente presupposto che la presenza del medico ginecologo sul luogo del delitto, sin dal momento dell'entrata in clinica della partoriente, avrebbe comportato il venir meno degli obblighi impeditivi posti in capo all'ostetrica e, con essi, della posizione di garanzia dalla stessa ricoperta. Tale asserzione non tiene conto, infatti, dello specifico contesto entro cui aveva avuto luogo la condotta dell'imputata, ossia quello del lavoro in équipe, rispetto al quale si configurano particolari obblighi di intervento da parte dei componenti, anche a prescindere dalla posizione gerarchica rivestita dal singolo.
Sul punto, i giudici di legittimità hanno, infatti, ricordato come, secondo la costante giurisprudenza di legittimità sul punto, l'obbligo di diligenza che grava su ciascun membro dell'équipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. Di conseguenza, nel caso di specie, a fronte della palese natura patologica del tracciato CTG, non poteva affatto ritenersi esente da colpa l'ostetrica che, presente in sede di travaglio congiuntamente al ginecologo, avesse del tutto trascurato e non segnalato l'anomalia, così non impedendo il verificarsi dell'evento infausto.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso proposto dall'imputata.