mercoledì 12 giugno 2024

Trattamento sanitario plurisoggettivo e principio di affidamento nell'assistenza della paziente partoriente.

La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 21025, pronunciata all'udienza del 28 febbraio 2024 (deposito motivazioni in data 29 maggio 2024), ha preso in esame il tema relativo al trattamento sanitario plurisoggettivo, con specifico riferimento all'assistenza della paziente partoriente.

Il fatto.  

Un imputato proponeva ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d'appello di Reggio Calabria ne aveva confermato la penale responsabilità per il reato di omicidio colposo, commesso nella qualità di medico ginecologo di fiducia della paziente deceduta, ed in cooperazione con il ginecologo di turno presso una struttura ospedaliera. Agli imputati - chiamati ad operare in coordinamento tra loro al fine di verificare le condizioni di salute della paziente in gravidanza gemellare - era stato contestato di aver cagionato la morte del feto partorito dalla persona offesa, in seguito alla violazione delle linee guida in tema di cardiotocografia e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Nella fattispecie, la paziente - ricoverata in vista del parto cesareo, programmato, d'accordo con il ginecologo presso il quale la donna era in cura, come primo della mattinata per il giorno successivo, trattandosi di parto gemellare - era stata informata, la mattina del parto, che esso era stato posticipato, e diventava quindi il secondo, atteso che il parto gemellare prevedeva la presenza di due pediatri in sala operatoria, in quel momento non disponibili. All'esito del parto, tuttavia, uno dei due feti partoriti dalla paziente era nato morto.

I consulenti del Pubblico Ministero, sulla base dell'autopsia e dell'esame delle placente e dei cordoni ombelicali, avevano quindi indicato, come causa del decesso del nato, una vasculopatia trombotica fetale, che aveva avuto esito in una trombosi della vena ombelicale. I consulenti avevano, altresì, spiegato come i sanitari intervenuti, nel condurre il monitoraggio, non avessero adeguatamente apprezzato la sofferenza del feto, malgrado tale misura persegua proprio lo scopo di prendere decisioni, ed in ultimo quella di eseguire un cesareo, nelle condizioni di sofferenza acuta o iperacuta del feto che deve nascere, al fine di escluderlo da un ambiente che appare come sfavorevole.

A tal riguardo, era stato rilevato come su entrambi i feti, con l'ultima registrazione cardiotocografica,  fosse stato riscontrato un segnale di registrazione della frequenza cardiaca cosiddetto silente; in tali casi, nei quali si pone l'alternativa tra l'ipotesi che il feto potrebbe essere sofferente e quella in cui potrebbe invece risultare dormiente, nel dubbio é raccomandata una registrazione continua del tracciato cardiotocografico, proprio a verifica che il feto non sia, in realtà, in sofferenza. Nella specie, tuttavia, questo non era stato fatto, per cui, interrotta la registrazione cardiotocografica, erano trascorse due ore e quarantotto minuti fino all'espletamento del parto, avvenuto con la sofferenza di tutti e due i feti, ma con la morte di uno. In sintesi, i consulenti avevano definito il tracciato precedente il parto di tipo silente, elemento atipico della valutazione che consente, in base alle linee-guida, di definire il tracciato come una registrazione non rassicurante. In tale evenienza, si era osservato, la raccomandazione è quella di continuare la registrazione, allo scopo di verificare la diagnosi differenziale tra benessere o vera e propria sofferenza, per di più in caso di gravidanza multipla, da annoverarsi tra i fattori di rischio.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto come si registrasse, dal confronto tra tutte le posizioni espresse dagli esperti,  un punto di convergenza nel definire il tracciato "non rassicurante", o comunque fuori dal range di normalità, cosicché nella specie era necessario continuare il monitoraggio fino al momento del parto, non essendo possibile ricorrere a metodi alternativi per accertarsi che quell'andamento fosse imputabile ad una fase di sonno profondo piuttosto che ad una sofferenza fetale. 

I periti, dal canto proprio, avevano affermato come la formazione del trombo non fosse stata istantanea, essendo iniziata ed avendo avuto conclusione nella stessa giornata del parto, e come la situazione di ipossia avesse interessato entrambi i feti. Essi avevano, altresì, evidenziato come l'accertamento cardiotocografico avrebbe consentito di cogliere l'instaurazione del fenomeno trombotico nella sua fase evolutiva; nella specie, a fronte di una variabilità inferiore a cinque battiti al minuto, l'aver lasciato la paziente sprovvista di un controllo diagnostico per due ore e quarantotto minuti aveva inciso, in tema di alta probabilità, sulla morte del feto.

Il Tribunale aveva, pertanto, ravvisato una condotta omissiva colposa di entrambi gli imputati, ed escluso qualsiasi fatto interruttivo del nesso di causalità tra le condotte dei sanitari e l'evento occorso. In particolare, l'omessa segnalazione, da parte del ginecologo di turno, in ordine al tracciato della paziente, al medico che aveva assistito la paziente durante il parto, aveva largamente influenzato la scelta del medesimo di posticipare il cesareo, che era stato in origine previsto come il primo della mattinata.

Quanto invece al coimputato, la sua posizione di garanzia era da ritenersi ancor più accentuata dal fatto che egli era il ginecologo di fiducia della partoriente. In riferimento al primo, quindi, la condotta era stata ritenuta connotata da imperizia, mentre per il secondo da grave negligenza.

La Corte d'Appello, nel confermare la condanna, aveva, a sua volta, rilevato, con riguardo alla posizione del ginecologo di turno, come egli avesse colto la criticità del tracciato, non avvertendo tuttavia il medico subentrante, e così omettendo di fare tutto ciò che poteva per elidere il rischio. Con riferimento alla posizione del coimputato, aveva invece ritenuto come questi, non avendo preso visione della cartella clinica e non avendo espresso alcun sindacato sulla scelta di posticipare l'intervento, si fosse discostato ampiamente dalla regola cautelare dell'ars medica, ignorando l'esistenza di un tracciato poco rassicurante che, se correttamente analizzato, avrebbe sconsigliato di adottare tale decisione, configurandosi, pertanto, la sua condotta in termini di macroscopica negligenza. 

Tramite i propri motivi di ricorso, l'imputato, ginecologo di fiducia della paziente, lamentava un'erronea valutazione della relazione causale penalmente rilevante ex artt. 40 e 41 c.p.. In particolare, egli censurava la sentenza d'appello, laddove si individuava come condotta negligente l'acquiescenza del medico rispetto alle decisioni assunte dai colleghi, in merito allo slittamento dell'intervento come secondo della mattinata. L'imputato contestava, inoltre, l'affermazione secondo cui egli fosse tenuto a controllare l'operato del collega che aveva firmato il tracciato considerandolo normale e di quello che aveva deciso di posticipare l'intervento. Con riguardo alla successione nelle posizioni di garanzia, nella specie verificatasi, egli, intervenendo in un momento successivo, aveva solo preso atto di una situazione già formatasi. 

La decisione.

La Corte di Cassazione ha, in primis, rilevato come la censura proposta dall'imputato riguardi il tema del trattamento sanitario diacronicamente plurisoggettivo, ossia le cui fasi sono gestite da medici diversi. In tale fattispecie, hanno osservato i giudici di legittimità, la pluralità di persone coinvolte nella gestione del paziente può essere intesa sia come fonte di sicurezza, in quanto il paziente può beneficiare di più professionisti che si dedicano anche con diverse competenze specifiche al suo trattamento. Tuttavia, essa può anche concepirsi come fonte di rischio, venendo a mancare quel tipo di dominio del trattamento nel suo complesso che solo un sanitario unico può avere, beneficiando di una prospettiva "accentrata". Sul punto, si è evidenziato come vi siano, infatti, dinamiche, per lo più di comunicazione, che possono creare pericoli di incomprensione, nonché altre insidie tipiche dell'attività plurisoggettiva.

Sul punto, si è inoltre posta in rilievo la distinzione tra trattamento medico plurisoggettivo diacronico e trattamento sanitario plurisoggettivo sincronico. La cooperazione sincronica tra medici, ha osservato la Corte, si realizza allorché una pluralità di medici agiscono, in un unico contesto spazio-temporale, prestando i loro specifici apporti scientifico-professionali per la cura di un paziente, mentre il trattamento diacronico plurisoggettivo prevede la cura di un paziente prescindendo dall'unità di contesto spazio-temporale, procedendosi, così, per fasi successive, attraverso le quali i sanitari compiono atti medici successivi in un contesto spaziale e cronologico non unitario. In tal caso, perciò, l'unitario percorso diagnostico o terapeutico si sviluppa attraverso una serie di attività tecnico-scientifiche di competenza di sanitari diversi, funzionalmente o temporalmente successive. 

Ciò posto, hanno rilevato i giudici di legittimità, in entrambi i casi opera il principio di affidamento, quale limite in concreto all'obbligo di diligenza gravante su ogni titolare della posizione di garanzia, essendo opportuno che ogni compartecipe abbia la possibilità di concentrarsi sui compiti affidatigli, confidando sulla professionalità degli altri, della cui condotta colposa, poi, non può essere chiamato, almeno di norma, a rispondere. Sia nel caso di cooperazione diacronica che sincronica, in base ai tradizionali principi in tema di posizione di garanzia e di colpa, si é, tuttavia, ritenuto come il sanitario non possa invocare il principio di affidamento, per violazione del dovere di controllo, quando la condotta colposa del collega si concretizzi nella inosservanza delle leges artis, che costituiscono il bagaglio professionale di ciascun medico (e, a fortiori, qualora l'inosservanza riguardi proprio le leges artis del settore specialistico in cui anche l'agente e specializzato), con la conseguente prevedibilità e rilevabilità dell'errore altrui anche da parte di un medico non specialista nel settore, in condizione per tale motivo, di controllare la correttezza. 

Secondo, infatti, la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario, ­ compreso il personale paramedico - è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (Sez. 4, n.30991 del 06/02/2015). Parimenti, non può invocare il principio di affidamento l'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché, allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l'abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata (Sez. 4, n. 46824 del 26/10/2011, Castellano e altro). 

Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno osservato come correttamente la Corte territoriale abbia ritenuto che la sussistenza di altre posizioni di garanzia in capo agli altri medici intervenuti non abbia eliso la responsabilità del sanitario che con la sua condotta ha concorso nella verificazione dell'evento. Con specifico riguardo all'imputato ricorrente, la cui posizione di garanzia è stata giudicata più evidente rispetto a quello degli altri medici intervenuti, essendo egli il ginecologo di fiducia della paziente, si è ritenuto come egli abbia, effettivamente, posto in essere una condotta gravemente negligente e non rispettosa dei dettami dell'arte medica. Egli, infatti, la mattina in cui si svolsero i fatti, nel giungere in reparto, non aveva preso visione della cartella clinica della paziente, accontentandosi del fatto di averla visitata il giorno prima, e tantomeno aveva preso visione del tracciato firmato dal collega coimputato, limitandosi a ratificare la scelta effettuata dai colleghi di posticipare il cesareo, che era stato in precedenza fissato come il primo della mattinata, attesa la condizione di rischio propria di un parto gemellare. In tal modo, hanno rilevato gli Ermellini, il medico, senza in alcun modo vagliare la condizione clinica della partoriente e le risultanze del tracciato, che invece avrebbe dovuto esaminare, non si era in alcun modo opposto alla modifica del programma degli interventi della mattinata che ab origine prevedeva come prima la persona offesa, la quale comunque, a prescindere dalle evenienze successive, doveva affrontare un parto gemellare di per sé connotato da rischi maggiori. Come tuttavia affermato dai periti, la non posticipazione del parto avrebbe con alta probabilità scongiurato l'evento letale: pertanto correttamente la sentenza impugnata aveva ritenuto violate in maniera assai grave dal sanitario, nella propria qualità di ginecologo, proprio le leges artis del suo settore specialistico: pertanto, infondato è stato giudicato l'argomento difensivo volto ad attribuire ad altri sanitari, specializzati nella stessa disciplina, la esclusiva responsabilità per la causazione dell'evento.

Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte ha pertanto rigettato, agli effetti civili, il ricorso proposto dall'imputato.