venerdì 26 luglio 2024

Il rapporto tra la responsabilità amministrativa dell'Ente derivante da reato e quella della persona fisica imputata per il reato presupposto.

  La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 24058, pronunciata all'udienza del 14 febbraio 2024 (deposito motivazioni in data 18 giugno 2024), ha preso in esame il tema concernente il rapporto tra la responsabilità amministrativa dell'Ente derivante da reato e quella della persona fisica imputata per il reato presupposto.

Il fatto.

Una Società proponeva ricorso avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Salerno aveva rigettato la richiesta di riesame del decreto del G.I.P. di Nocera che, nell'ambito del procedimento iscritto a carico della predetta per l'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, lett. a), 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001, aveva ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta (o per equivalente) di una somma di denaro considerata vantaggio economico ottenuto in conseguenza del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000. Tale delitto era stato contestato alla legale rappresentante della Società, in concorso con altre persone, ed in esecuzione del provvedimento erano stati sequestrati beni immobili, nonché una somma in contanti giacente sul conto corrente della società.

Tramite i propri motivi di ricorso, la Società lamentava la violazione del principio della libera iniziativa del pubblico ministero, avendo il Giudice per le indagini preliminari ed il Tribunale del riesame deciso oltre la domanda cautelare di sequestro preventivo. Atteso, infatti, che il Giudice della cautela aveva escluso il concorso della legale rappresentante della Società con l'autore del reato presupposto, e non avendo il Pubblico ministero mai contestato il concorso della Società con questi, il provvedimento cautelare non poteva fondarsi sul fatto (mai contestato) che l'autore del reato presupposto fosse amministratore di fatto dell'Ente.

La decisione.

La Suprema Corte ha dapprima rilevato come si contestasse alla Società l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. n. 231/2001, per il fatto di non aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione idonei a prevenire la commissione del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, incamerandone il profitto.

La violazione del suddetto art. 11 era stata contestata al legale rappresentante di altra Srl - società destinataria di cartelle di pagamento del complessivo importo di euro 1.477.092,32 - il quale, secondo l'ipotesi accusatoria, aveva successivamente distratto la somma di euro 1.500.000,00, bonificandola in favore della Società ricorrente, le cui quote erano detenute da una precedente amministratrice e convivente more uxorio del legale rappresentante della seconda Srl. Nella rubrica si imputava, pertanto, la violazione dell'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000 anche alla legale rappresentante della ricorrente ed alla precedente amministratrice, a titolo concorsuale; il G.I.P., tuttavia, pur ritenendo la oggettiva sussistenza del reato, aveva escluso il concorso di entrambi, non avendo ravvisato la sussistenza, a loro carico, di gravi indizi di colpevolezza. Il Tribunale aveva, comunque, ritenuto sussistente l'illecito amministrativo, sul rilievo che la società non avesse impedito il concorso nel reato tributario del suo gestore e amministratore di fatto, legale rappresentante della seconda Srl.

La Corte ha, quindi, osservato come l'art. 5 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 231/2001 imputi all'ente i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dalle persone indicate dalle lettere a) e b) del primo comma, tra le quali quelle che esercitano, anche di fatto, la gestione o il controllo dell'ente stesso. Da ciò, la Società ricorrente aveva tratto la conclusione che, sul piano della contestazione (provvisoria o definitiva), il reato presupposto dovesse essere, quantomeno, formalmente attribuito (anche) al legale rappresentante (o al gestore di fatto) dell'ente, non potendo l'ente rispondere di reati che non sono contestati a nessuna delle persone indicate dall'art. 5 cit.. Nel caso di specie, da un lato, la rubrica del reato presupposto non attribuiva al legale rappresentante della seconda Srl la qualità di gestore di fatto della Società ricorrente, nemmeno a titolo di imputazione del reato stesso (attribuito al predetto nell'esclusiva qualità di legale rappresentante della seconda Società, erogante i bonifici); dall'altro, gli stessi Giudici della cautela avevano escluso qualsiasi coinvolgimento psicologico della legale rappresentante della ricorrente nel reato presupposto, in quanto ignara delle pendenze tributarie della seconda Srl. Dunque, aveva sostenuto la società ricorrente, il Tribunale del riesame non avrebbe potuto porre a fondamento della propria decisione una condotta (la gestione di fatto della società ricorrente) che nemmeno la rubrica ipotizzava.

Ciò posto, la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso, pur escludendo che il Tribunale del riesame necessitasse di ipotizzare una responsabilità gestoria della Società ricorrente da parte del legale rappresentante della seconda Srl, ai fini della conferma del decreto di sequestro.

In virtù, infatti, del principio di autonomia della responsabilità dell'ente, sancito dall'art. 8 D.Lgs. n. 231/2001, che si limita soltanto a prevedere l'insensibilità del processo contra societatem alla mancata identificazione o alla non imputabilità della persona fisica e all'estinzione del reato presupposto per causa diversa dall'amnistia, l'importante - hanno rilevato i giudici di legittimità - è che un reato tra quelli compresi nel catalogo dei reati presupposto sia stato accertato e sia riferibile ad uno dei soggetti indicati dall'art. 5 D.Lgs. n. 231/2001, anche se poi manchi o sia insufficiente la prova della responsabilità individuale di uno di tali soggetti (sul punto, in motivazione, Sez. Un., n. 11170 del 25/09/2014, Uniland). Solo l'insussistenza del fatto (formalmente) attribuito al legale rappresentante della società comporta, infatti, il venir meno della responsabilità amministrativa di quest'ultima, non quando il fatto sia accertato nella sua dimensione storica.

Sulla scorta di tali premesse, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che:

a) all'assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest'ultimo, non consegue automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente per la sua commissione, poiché tale responsabilità, ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. n. 231/2001, deve essere affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato (Sez. 5, n. 20060 del 04/04/2013, Citybank N.A.; Sez. 4, n. 31548 del 05/07/2023, Italstage Company Srl);

b) l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dall'art. 8 D.Lgs. 231/2001 deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell'ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 del medesimo decreto, tale autonomia operando anche nel campo processuale (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda S.c.a.);

c) non sussiste contrasto tra giudicati ex art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. tra la sentenza dichiarativa della responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e la sentenza di assoluzione dell'imputato del reato presupposto, pronunciata in un diverso procedimento, nel caso in cui, in quest'ultimo, sia stata accertata la ricorrenza del fatto illecito, discendendo l'inconciliabilità dei giudicati solo dalla negazione del fatto storico su cui essi si fondano, e non anche dalla mancata individuazione del suo autore, posto che la responsabilità dell'ente ex art. 8 del citato D.Lgs. sussiste pur se l'autore del reato non risulta identificato (Sez. 4, n. 10143 del 10/02/2023, Fassa Srl).

Tanto premesso, nel caso di specie la Suprema Corte ha osservato come correttamente fosse stata ritenuta la responsabilità della Società ricorrente per l'illecito amministrativo attribuitole, tenuto conto dell'oggettiva, e non contestata, sussistenza del reato presupposto e della sua formale imputazione a uno dei soggetti indicati dall'art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 231/2001 (nel caso di specie, la legale rappresentante p.t.), a prescindere dalle vicende relative all'accertamento della effettiva responsabilità di quest'ultima per il reato presupposto stesso. Sulla base di tali motivazioni, il Collegio ha pertanto rigettato il ricorso.