In materia di procedimento a carico dell'ente per responsabilità amministrativa da reato, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 30604, pronunciata all'udienza del 20 giugno 2024 (deposito motivazioni in data 25 luglio 2024) ha stabilito il principio per cui, in caso di patteggiamento dell'ente, l'accordo deve riguardare tutte le sanzioni conseguenti all'illecito, compresa quella della confisca.
Il fatto.
Una società proponeva ricorso avverso una sentenza di applicazione della pena, in relazione all'illecito amministrativo previsto dall'art. 24 D.Lgs. 231/2001, conseguente al reato di cui all'art. 316-ter c.p.. Il reato era stato contestato al legale rappresentante, il quale aveva ottenuto un finanziamento, accedendo dal Fondo di garanzia per le PMI, finalizzato ad avere liquidità per il pagamento di fornitori e dipendenti, così come previsto dalla normativa emergenziale introdotta dal D.L. n. 23 del 2020. Il finanziamento dell'importo di Euro 30.000, erogato da un istituto di credito e assistito dalla predetta garanzia, era stato tuttavia utilizzato dall'amministratore per l'acquisto di un immobile. Il Giudice dell'Udienza preliminare, oltre a recepire l'accordo sulla pena, aveva disposto anche la confisca del profitto del reato ex art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, quantificato in Euro 30.000, somma corrispondente all'importo del finanziamento.
Tramite i propri motivi di ricorso, la società lamentava la violazione dell'art. 19 D.Lgs. n. 231/2001. Essa sosteneva come il giudice dell'udienza preliminare avesse erroneamente quantificato il profitto dell'illecito in una somma pari all'ammontare del finanziamento, omettendo di considerare che tale importo costituiva un debito per il beneficiario e, quindi, non poteva essere individuato come un indebito arricchimento. Per effetto della confisca, veniva, pertanto, a determinarsi una duplicazione di pagamento, posto che, da un lato, la società veniva privata dell'importo finanziato e, al contempo, permaneva l'obbligo di restituzione nei confronti dell'istituto mutuante. Si sottolineava, inoltre, come il giudice avesse disposto la confisca senza motivare sulle ragioni per cui il profitto del reato fosse da individuarsi nell'intero ammontare del finanziamento.
La decisione.
In via preliminare, la Suprema Corte ha rilevato l'ammissibilità del ricorso, atteso che la confisca non era stata concordata dalle parti, ma disposta unilateralmente dal giudice, con conseguente inapplicabilità delle limitazioni previste dall'art. 448, comma 2 bis c.p.p..
Ciò rilevato, i giudici di legittimità hanno osservato come il ricorso, sindacando il potere di quantificazione del profitto confiscato, e la corretta determinazione dello stesso da parte del giudice, implichi la risoluzione di una questione preliminare e assorbente, concernente, cioè, la struttura dell'istituto dell'applicazione della pena nell'ambito del procedimento a carico degli enti ex D.Lgs. n. 231 del 2001.
Nel caso di specie, infatti, l'accordo raggiunto tra il pubblico ministero e l'ente aveva avuto ad oggetto la sola sanzione pecuniaria, che era stata determinata nel quantum, e successivamente ridotta nella misura di 1/3 ai sensi dell'art. 63 D.Lgs. n. 231/2001. Le parti avevano, invece, omesso di stabilire l'an e il quantum della confisca del profitto del reato, senza che dagli atti emergesse se si fosse trattato di una scelta consapevole, ovvero dell'implicita e condivisa tesi che tale misura sanzionatoria non fosse rimessa all'accordo delle parti.
Sul punto, la Corte ha quindi rilevato come il problema in ordine alla necessità che la confisca del profitto dell'illecito debba rientrare nell'accordo sulla "sanzione" rappresenti un elemento dirimente.
Il sistema sanzionatorio delineato dal D.Lgs. n. 231/2001 qualifica espressamente la confisca come una delle sanzioni principali, così come previsto dall'art. 9 comma 1 lett. c). Tale natura di sanzione principale, si è osservato, che la differenzia dalla confisca prevista nel codice penale, è ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza, essendosi affermato che, in tema di responsabilità da reato degli enti, la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 D.Lgs. n. 231/2001 si configura come sanzione "principale, obbligatoria ed autonoma", anche rispetto alle altre previste a carico dell'ente, come ad esempio quella configurata dall'art. 6 quinto comma, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente. (Sez. Un., n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Impianti Spa; Sez. Un., n. 11170 del 25/9/2014, dep. 2015, Uniland Spa; Sez. 6, n. 19052 del 10/1/2013, Fall. Tecno Hospital Srl).
Pur ferma restando l'incontroversa natura di sanzione principale della confisca, il tema relativo alla necessità che l'accordo delle parti si estenda o meno anche a tale peculiare sanzione non risulta, invece, adeguatamente approfondito, registrandosi, in dottrina tre diverse soluzioni.
Secondo la tesi più restrittiva, ha rilevato il Collegio, la confisca non potrebbe, in alcun caso, trovare applicazione a seguito del patteggiamento ex art. 63 D.Lgs. n. 231/2001, posto che tale norma indica, quale oggetto dell'accordo, esclusivamente le sanzioni pecuniarie e quelle interdittive; inoltre, l'art. 19 consentirebbe la confisca solo in caso di sentenza di condanna, alla quale non potrebbe equipararsi la sentenza di applicazione della pena.
Un'opinione opposta valorizza, invece, l'obbligatorietà della confisca e l'equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna, facendone derivare che la confisca deve essere sempre ordinata nel caso di accordo sulla pena, e la sua determinazione sarebbe rimessa al giudice, trattandosi di una componente non negoziabile attraverso l'accordo.
Infine, è stata proposta una soluzione intermedia, per la quale la natura di sanzione principale della confisca ne comporterebbe la necessaria inclusione nell'accordo tra le parti, idoneo a vincolare il giudice, salva restando la possibilità per quest'ultimo di rigettare in toto l'accordo, ove ritenga l'incongruità del trattamento sanzionatorio.
Sul punto, ha osservato ancora la Corte, la giurisprudenza si è pronunciata solamente con un'isolata e risalente sentenza secondo cui, con la sentenza di patteggiamento emessa nel procedimento a carico degli enti, il giudice deve sempre applicare anche la sanzione della confisca, eventualmente nella forma per equivalente, del profitto del reato presupposto, rimanendo irrilevante che la stessa non sia stata oggetto dell'accordo intervenuto tra le parti (Sez. 2, n. 20046 del 4/2/2011, Marone). Tale soluzione richiama l'analogo principio valevole con riguardo alla confisca obbligatoria prevista nei confronti dell'imputato persona fisica, in relazione alla quale si erano, tuttavia, originate soluzioni difformi. In particolare, una sentenza, anch'essa risalente, riferita alla diversa ipotesi della confisca ex art. 322 ter c.p. (avente natura obbligatoria e per equivalente al pari di quella prevista dall'art. 19 D.Lgs. n. 231/2001), afferma come il giudice non possa accogliere la richiesta di applicazione della pena, qualora l'accordo intervenuto tra le parti non comprenda anche l'oggetto della confisca prevista per il reato cui il patteggiamento si riferisce, ovvero non consenta la determinazione certa dei beni destinati all'ablazione (Sez. 6, n. 12508 dell'11/3/2010, Valente).
Tale soluzione, tuttavia, non ha trovato successive conferme in relazione al procedimento a carico della persona fisica, nel quale si ritiene che la confisca per equivalente del profitto del reato debba essere obbligatoriamente disposta, anche con la sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., pur laddove essa non abbia formato oggetto dell'accordo tra le parti (Sez.3, n. 44446 del 9/10/2013, Cruciani; Sez.3, n. 6047 del 27/9/2016, dep.2017, Zaini).
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Tanto premesso, la Corte ha osservato come i suddetti principi non siano esportabili nel procedimento a carico degli enti, senza verificarne la compatibilità con la specificità del sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 231/2001. L'espressa qualificazione normativa della confisca -diretta e per equivalente - quale sanzione principale, infatti, impone di estendere ad essa l'accordo sulla "pena".
A livello sistematico, si è rilevato come l'applicazione della "sanzione" su richiesta debba necessariamente aver riguardo a tutte le tipologie di pena in concreto irrogabili in relazione all'illecito oggetto di patteggiamento, non ravvisandosi ragioni di ordine giuridico per escludere la sola confisca dall'accordo tra le parti. L'evoluzione verso forme di concordato volte a determinare l'an e il quantum della confisca, infatti, emerge anche dalla recente modifica che, in relazione al patteggiamento a carico della persona fisica, è stata introdotta all'art. 444, comma 1, c.p.p., laddove si è previsto come l'imputato e il pubblico ministero possano concordare l'esclusione della confisca facoltativa, o ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato.
Nel caso, in particolare, della confisca ex artt. 9 e 19 D.Lgs. n. 231/2001, in considerazione della natura obbligatoria, le parti non potranno concordarne l'esclusione, se non nei casi in cui si ritenga che l'illecito non abbia prodotto alcun profitto per l'ente, mentre dovrà sempre rientrare nell'oggetto dell'accordo la quantificazione della misura ablatoria, sia essa diretta o per equivalente. In buona sostanza, dunque, hanno affermato i giudici di legittimità, l'accordo sulla "sanzione" e, quindi, anche su quella particolare figura costituita dalla confisca, consente alle parti di sottoporre al giudice una proposta che copra l'intero trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 9 cit.. Qualora il giudice ritenga che le parti siano addivenute all'erronea esclusione della confisca, individuando l'esistenza di un profitto derivante dall'illecito, ovvero nel caso in cui ritenga incongrua la quantificazione della confisca, dovrà rigettare l'accordo sulla pena.
Viceversa, si è rilevato, deve escludersi la possibilità che le parti non si accordino sulla confisca, rimettendone la determinazione al giudice, proprio perché, in tal modo, il patteggiamento risulterebbe parziale, non comprendendo tutte le sanzioni normativamente previste per l'illecito dell'ente.
Sotto il profilo normativo, tale soluzione, oltre a trovare fondamento nella ratio sottesa al sistema punitivo dettato per gli illeciti dell'ente, risulta conforme all'interpretazione letterale dell'art. 63 D.Lgs. n. 231/2001 che, fin dalla rubrica, richiama in maniera omnicomprensiva l'applicazione della "sanzione" su richiesta, non introducendo alcuna distinzione tra le diverse tipologie di sanzioni applicabili. In senso contrario non può, inoltre, deporre quanto disposto al secondo comma, ove si prevede che la riduzione prevista dall'art. 444 c.p.p. si applica sulla durata della sanzione interdittiva e sull'ammontare della sanzione pecuniaria. Tale precisazione, escludendo la confisca dalla riduzione premiale per il rito, dipende, infatti, dalla particolarità della confisca-sanzione che, in quanto diretta a privare l'ente del profitto del reato, non può subire riduzioni per effetto della scelta del rito.
Tuttavia, la delimitazione della riduzione alle sole sanzioni pecuniarie e interdittive non è incompatibile, ha aggiunto il Collegio, con l'inserimento della confisca nell'accordo raggiunto dalle parti, che deve necessariamente coprire tutte le sanzioni irrogabili in relazione al tipo di illecito oggetto della definizione con rito alternativo; al contrario, essa dà la misura del diverso trattamento riservato a ciascuna delle sanzioni contemplate, a seconda della loro natura e funzione, nell'ambito del complessivo patteggiamento sulla "pena".
Ciò posto, la principale obiezione mossa alla tesi della necessaria inclusione della confisca nell'accordo sulla pena è desunta dall'obbligatorietà di tale sanzione, che la renderebbe un atto dovuto per il giudice, sottratto alla disponibilità delle parti, e della cui applicabilità l'ente dovrebbe comunque tenere conto, nell'operare la scelta del patteggiamento. L'obbligatorietà della confisca, quale effetto destinato a conseguire per legge alla richiesta di patteggiamento, comporterebbe, pertanto, che essa sarebbe sempre sottratta all'accordo, sicché, ove pure il patto fosse esteso a tale aspetto, sia relativamente al quantum che all'an, dovrebbe considerarsi non vincolante per il giudice, e non suscettibile di condizionare l'accoglimento della richiesta di patteggiamento.
La Suprema Corte ha ritenuto come si tratti di una soluzione non condivisibile, nella misura in cui tende a sovrapporre l'aspetto relativo alla obbligatorietà della confisca, con quello della sua negoziabilità. A ben vedere, si è infatti osservato, tutte le sanzioni principali previste in relazione a un determinato illecito sono, per loro stessa natura, obbligatorie, ma ciò non impedisce la possibilità della determinazione sulla base di un patto tra imputato e pubblico ministero, sottoposto al controllo del giudice. La confisca, pertanto, pur essendo obbligatoria al pari delle sanzioni pecuniarie e di quelle interdittive, non presenta alcun carattere intrinsecamente incompatibile con l'accordo tra le parti.
L'unico elemento differenziale, si è rilevato, è rappresentato dal criterio di determinazione che, nel caso delle sanzioni pecuniarie e interdittive è basato sui parametri di commisurazione dettati dall'art. 11 D.Lgs. n. 231/2001, mentre la confisca è parametrata sull'entità del prezzo o del profitto derivante dall'illecito. Da ciò consegue come, nel caso della confisca, il criterio di determinazione non presenti aspetti di discrezionalità; ciò, tuttavia, non esclude affatto la necessità della valutazione di una molteplicità di elementi al fine di stabilire, in primo luogo, se l'illecito è stato produttivo di un profitto e, successivamente, l'entità dello stesso. Inoltre, il giudice deve modulare la misura ablatoria in ragione del profitto attuale al momento della sua applicazione e, dunque, al netto delle restituzioni frattanto poste in essere dal reo in favore della vittima e da questa accettate, scorporando quella parte di utilità non più costituente illecito accrescimento patrimoniale (Sez. 6, n. 34290 del 17/5/2023, Calvaresi). Ulteriore elemento, emblematico della complessità del giudizio sotteso alla determinazione del profitto confiscabile è desumibile dall'elaborazione giurisprudenziale che ha condotto alla individuazione della nozione stessa di profitto (Sez. U, n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Impianti s.p.a), anche in relazione alle utilità indirette (Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn).
Alla luce di tali osservazioni, pertanto, si è ritenuto possibile affermare come i profili dell'obbligatorietà della confisca-sanzione non vadano confusi con quelli relativi al necessario accertamento in concreto dell'esistenza di un profitto confiscabile e della sua quantificazione. Ne consegue che, nel caso di definizione del giudizio con l'applicazione della pena, le parti dovranno ricomprendere nell'accordo non solo la sanzione pecuniaria e, se prevista, quella interdittiva, in relazione alle quali dovrà anche applicarsi la riduzione premiale per il rito, ma anche la determinazione, nell'an e nel quantum, della confisca, trattandosi di sanzione principale, in relazione alla quale non è prevista alcuna espressa esclusione dall'accordo sulla base dell'art. 63 D.Lgs. n. 231/2001.
Una volta raggiunto l'accordo, però, spetterà al giudice verificare non solo l'adeguatezza delle sanzioni pecuniarie e interdittive, ma anche la corrispondenza della confisca concordata al profitto dell'illecito effettivamente conseguito, al netto delle eventuali restituzioni in favore del danneggiato, come previsto dall'art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 231/2001. Qualora il giudice ritenga non corretto l'accordo in ordine alla confisca, dovrà rigettare in toto la richiesta di patteggiamento (in senso analogo, con riferimento al patteggiamento ordinario, Sez. U, n. 21368 del 26/9/2019, dep. 2020, Savin).
In conclusione, pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto come la specificità del sistema punitivo dettato dal D.Lgs. 231/2001, nonché l'espressa qualificazione della confisca quale sanzione principale, e la necessità di favorire il ricorso a riti deflattivi, consentano di affermare che, in caso di patteggiamento, l'accordo deve riguardare tutte le sanzioni conseguenti all'illecito, in tal modo evitando che l'ente - dopo aver concordato le sanzioni pecuniarie e interdittive - si veda esposto all'applicazione di una confisca avente connotati particolarmente afflittivi, ed in relazione alla quale non ha avuto alcuna possibilità concreta di interlocuzione.
I giudici di legittimità hanno, inoltre, aggiunto che il patteggiamento, per le finalità dell'istituto, e per come strutturato nella previsione di cui all'art. 63 cit., deve essere idoneo a coprire l'intero trattamento sanzionatorio, non essendo consentita un'applicazione parziale e limitata solo ad alcune delle sanzioni principali previste per l'ente.
Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte, in relazione al caso in esame, ha ritenuto come l'accordo sulla pena, concluso senza la determinazione - nell'an e nel quantum - della confisca del profitto dell'illecito commesso dall'ente, non possa essere recepito dal giudice mediante l'unilaterale determinazione della confisca. Il Collegio ha, pertanto, annullato senza rinvio la sentenza, con trasmissione al giudice procedente, dinanzi al quale le parti potranno optare per un nuovo accordo sulla pena, ovvero per la prosecuzione con il rito ordinario.