La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 26552, pronunciata all'udienza del 12 giugno 2024 (deposito motivazioni in data 5 luglio 2024), ha preso in esame il tema concernente la responsabilità del Direttore di un istituto di riposo, nonché RUP e Direttore dell'esecuzione del contratto di servizi, in relazione alla morte di un ospite della struttura conseguente ad incidente, nell'ipotesi di appalto dei servizi dell'istituto a società esterna.
Il fatto.
Un imputato, Direttore di un istituto di riposo, proponeva ricorso avverso la Sentenza con cui la Corte d'Appello di Torino ne aveva confermato la penale responsabilità in ordine al reato di cui agli artt. 40, secondo comma, e 589 c.p., in quanto, in concorso con il presidente del consiglio di amministrazione ed il consigliere delegato di una società cooperativa sociale, appaltatrice dei servizi socio assistenziali sanitari ed alberghieri complementari dell'Istituto di riposo, aveva cagionato la morte di un ospite della struttura, persona anziana non autosufficiente con sindrome di Parkinson e deterioramento cognitivo. Il decesso era stato conseguenza di una caduta da bassa altezza.
Agli imputati era stato contestato di aver omesso di predisporre misure idonee ad evitare che la persona offesa potesse accedere autonomamente alle scale antincendio della struttura (misure quali un sistema di blocco e/o di allarme sonoro, e/o di sorveglianza attiva sulla porta di accesso alle scale stesse), e quindi di non aver impedito la caduta accidentale del paziente, per colpa sia generica sia specifica, stante la violazione delle norme per la progettazione e gestione di strutture con funzione di RSA; in particolare, si contestava la violazione della legge n. 328 del 2000, del D.P.C.M. 14 Febbraio 2021, della L. Reg. Piemonte n. 45-4248, degli artt. 4, 9, 2 D. Lgs. 81/2008 e del decreto del Ministero dell'Interno del 18 settembre 2002, che prescrivono, in caso di necessità connesse a particolari patologie dei ricoverati, la predisposizione di misure cautelative per evitare un uso improprio delle uscite, sicuri sistemi di controllo ed apertura delle porte. Tali sistemi di controllo, secondo l'accusa, non erano stati previsti e/o richiesti dal Direttore della struttura, né dai coimputati, ai quali era stata appaltata la gestione dei servizi socioassistenziali sanitari ed alberghieri complementari dell'Istituto di riposo.
Nella fattispecie, la vittima, di anni 83, era stata ritrovata nel cortile della struttura ove era ospitata. L'anziano era uscito dal piano secondo fuori terra, ove era ubicata la sua stanza. Attraverso la porta di sicurezza, era sceso lungo la relativa scala, quando, giunto al pianerottolo del primo piano fuori terra, aveva tentato di scavalcare un cancelletto ivi presente, che era scalabile, in quanto aveva un'asse saldato a metà altezza. Durante la manovra, aveva perso l'equilibrio, ed era caduto nel sottostante cortile da un'altezza di poco meno di due metri.
Notata la sua assenza dalla stanza, le operatrici della struttura lo avevano cercato e, notando che la porta della scala antincendio era socchiusa, erano scese lungo la stessa, scorgendo l'uomo nel cortile. L'uomo era stato soccorso e portato in ospedale, ma il decesso si era verificato pochi giorni dopo, a seguito di complicanze. Dalla relazione del medico anatomopatologo, seguita all'autopsia, era emersa la sussistenza, oltre ogni ragionevole dubbio, del nesso causale tra la caduta ed il decesso.
Nel corso del giudizio era emerso come la caduta del paziente sarebbe stata evitata dall'adozione di un sistema di blocco e/o allarme sonoro e/o di sorveglianza visiva sulla porta di accesso alle scale stesse. Parimenti, la maggiore altezza del parapetto, conformemente alla normativa vigente, avrebbe avuto efficacia salvifica.
Per quanto concerne la gestione della struttura, di proprietà del Comune, e concessa in comodato d'uso all'Istituto di Riposo, era emerso che, tra gli obblighi delle parti oggetto della convenzione accessoria al comodato, figuravano a carico del Comune comodante tutte le spese necessarie all'esecuzione dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione dell'immobile, al fine di renderlo idoneo alle esigenze dell'attività svolta dal comodatario. L'imputato era dipendente dell'Istituto, assunto per concorso con inquadramento di direttore, ma dipendente con funzioni di segretario, contabile ed economo. A seguito della concessione dell'accreditamento come presidio socioassistenziale, l'Istituto aveva stipulato un contratto con l'ASL locale ed il Consorzio intercomunale dei servizi sociali, mediante il quale era stata prevista l'erogazione dei servizi di assistenza sociosanitaria integrata in favore di anziani non autosufficienti. Successivamente, l'accreditamento era stato aggiornato, a seguito anche di una verifica della struttura effettuata con l'ausilio della Commissione di vigilanza; nel verbale relativo, l'imputato figurava presente come Direttore della struttura. L'Istituto, a seguito dell'espletamento di gara ad evidenza pubblica, aveva in seguito affidato in appalto i servizi socioassistenziali sanitari ed alberghieri, resi alle persone ospitate nella struttura, ad una cooperativa sociale.
Il relativo capitolato speciale di appalto prevedeva che la società appaltatrice dovesse consegnare al Direttore della stazione appaltante il Documento di Valutazione dei Rischi, oltre che l'obbligo di adottare tutte le misure di protezione e prevenzione necessarie ad eliminare i rischi, impegnando l'appaltatore ad offrire adeguati DPI e a predisporre disposizioni e procedure di sicurezza capaci di garantire l'incolumità del personale, degli utenti e di eventuali terzi. Veniva, inoltre, fatta salva la possibilità di verifica, per l'appaltante, del rispetto degli obblighi gravanti sull'appaltatrice in materia di sicurezza.
Le contestazioni mosse all'imputato erano riferite alle norme previste per gli ambienti di lavoro, alla luce dei consolidati orientamenti giurisprudenziali che avevano affermato l'estensione delle protezioni a tutti coloro i quali si trovano esposti ai medesimi fattori di rischio, quali gli utenti della struttura, nel caso di specie; il relativo rischio era stato anche contemplato nel DVR adottato dalla struttura, ma non si era predisposta alcuna effettiva cautela per scongiurarne l'avveramento. Il Tribunale aveva ritenuto misura non idonea ad impedire l'evento il blocco della porta di uscita sulle scale, posto che la stessa avrebbe potuto ostacolare una eventuale necessità di fuga improvvisa e che le condizioni del paziente, ricoverato al secondo piano, si caratterizzavano per un livello medio basso di assistenza sociosanitaria necessaria. L'imputato, quale Direttore dell'Istituto, era stato indicato nel contratto di appalto come Responsabile unico del procedimento e si era previsto che fosse il medesimo Direttore a seguire l'esecuzione del contratto di appalto.
Ai sensi dell'art. 101 comma 1 D.Lgs. n. 50 del 2016, aveva osservato il Tribunale, al RUP è attribuito il compito anche di controllare i livelli di qualità delle prestazioni, anche avvalendosi dell'opera del direttore e di altre figure individuate dal D.Lgs. n. 81/2008. Dunque, seppure non soggetto all'obbligo di verifica giornaliera del rispetto delle misure di protezione e sicurezza, non poteva dubitarsi che il Direttore avrebbe dovuto controllare se il DVR della appaltatrice fosse adeguato al fine di fronteggiare il rischio di cadute, e se le misure strutturali fossero state in effetti apprestate.
Inoltre, l'imputato non aveva effettivamente verificato l'attività di vigilanza eventualmente prestata. Peraltro, la disposizione contenuta all'art. 63 comma 1 D.Lgs. n. 81 del 2008, aveva aggiunto il Giudice di prime cure, contiene specifiche indicazioni sull'altezza dei parapetti nei luoghi di lavoro, altezza di almeno un metro, e tale fonte di rischio rientrava nella gestione della struttura attribuita all'imputato, quale soggetto che aveva sottoscritto il contratto di appalto in nome e per conto del committente, in quanto investito del ruolo di RUP e di Direttore dell'esecuzione del contratto di servizi, con compiti di vigilanza in materia di sicurezza. Il direttore dell'Istituto, dunque, doveva considerarsi committente sostanziale, senza che assumesse rilievo, se non civilistico, la circostanza che onerato delle spese straordinarie fosse il Comune, proprietario dell'immobile. L'imputato, inoltre, non si era nemmeno preoccupato di richiedere al Comune l'adeguamento del parapetto. Tale condotta era dunque sufficiente ad integrare il reato contestato, essendo chiara e percepibile, anche da soggetti non esperti dal punto di vista della tecnica di costruzione.
La Corte di appello aveva condiviso la motivazione resa dal Tribunale, eccezion fatta per il profilo concernente l'efficacia causale del mancato adeguamento dell'altezza del parapetto, posto che, se anche lo stesso fosse stato di un metro, l'evento si sarebbe verificato ugualmente. La misura di gestione del rischio derivante dalla presenza delle scale, previsto anche dal DVR, non potendo essere individuata nella apposizione di una porta bloccata, di ostacolo ad una eventuale fuga, doveva, invece, essere individuata nella dotazione di un allarme al sistema di apertura della porta di accesso alle scale. Tale misura, peraltro, successivamente all'evento, era stata adottata.
----------------------------------
Tramite uno dei propri motivi di ricorso, l'imputato lamentava carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al travisamento della prova documentale costituita da una Determinazione dell'Area tecnica lavori pubblici del Comune. Si rilevava, infatti, come il ricorrente fosse stato ritenuto responsabile per la sua trascuratezza, nel non aver segnalato le carenze sulla prevenzione del rischio agli organi comunali, con ciò riconoscendosi che il medesimo non avrebbe potuto provvedere autonomamente. Ma era stato trascurato il dato dirimente costituito da tale delibera comunale, che, pur essendo successiva al fatto, nella premessa, rivelava che l'iter amministrativo che avrebbe dovuto condurre all'adeguamento complessivo della struttura, proprio in relazione ai profili della prevenzione incendi, e quindi uscite di emergenza, era già in atto all'epoca dei fatti, in quanto avviato sin da anni prima dall'Ente proprietario, e nulla avrebbe potuto fare l'imputato per accelerare l'iter amministrativo. Del resto, l'installazione di un sistema sonoro di allarme, in caso di apertura delle porte antincendio, avrebbe costituito atto di manutenzione straordinaria, spettante all'Ente proprietario. Né l'appaltatore aveva segnalato criticità tali da motivare l'attivarsi del ricorrente presso l'Ente comunale e lo stesso stato di salute della vittima non giustificava una attività di verifica continua.
La decisione.
La Suprema Corte ha, in primis, evidenziato come entrambe le sentenze di merito abbiano messo in evidenza che la posizione di garanzia, in concreto generatrice degli obblighi disattesi, fosse stata assunta dall'imputato nel momento in cui lo stesso, in qualità di direttore responsabile e RUP, era stato ex lege, e per contratto, incaricato di vigilare sull'esecuzione corretta dell'appalto, e quindi anche sulla gestione del rischio scala. Pertanto, i giudici di legittimità hanno escluso che potesse essere ritenuta circostanza decisiva al fine di escludere la responsabilità penale - a fronte di tale presupposto fattuale concretizzatosi con la stipula del contratto di appalto - il fatto che l'Area Tecnica dei lavori pubblici del Comune avesse iniziato un iter amministrativo finalizzato alla realizzazione di opere di prevenzione degli incendi, rischio diverso da quello relativo alla caduta dalle scale. Analoga valutazione è stata effettuata dalla Corte con riferimento ad altro profilo del motivo proposto, dall'imputato, secondo il quale si sarebbe erroneamente attribuito il valore di conferma dell'inosservanza dell'obbligo di vigilanza sull'esecuzione dell'appalto ad una comunicazione che l'imputato aveva diretto alla Commissione di vigilanza dell'ASL, con cui si era comunicato che era stata realizzata l'attività prescritta dall'Autorità di vigilanza.
Sul punto, la Corte ha rilevato come l'intera impalcatura difensiva si sia fondata sul presupposto che i giudici di merito avrebbero travisato il contenuto degli obblighi gravanti sull'imputato, quale soggetto certamente titolare di una posizione di garanzia, intesa come posizione di chi ha il compito di gestire un determinato rischio.
I giudici di legittimità hanno, invece, ritenuto come la sentenza impugnata sia stata pienamente rispettosa dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità. Si è, infatti, ribadita (Sez. 4, 17 novembre 2022, n. 42032) la necessità, prima di valutare gli obblighi incombenti sull'imputato e la situazione di rischio che egli era tenuto a gestire, procedere alla valutazione della natura del rapporto esistente tra lo stesso e la vittima e della situazione fattuale sottostante (accertamento la cui necessità è richiamata anche in sez. 4, n. 27305 del 4/4/2017, Massetti), posto che la posizione di garanzia - che può essere generata da investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante - deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (sez. 4, n. 57937 del 9/10/2018, Ferrari; n. 38624 del 19/6/2019, B.; n. 37224 del 5/6/2019, Piccioni; n. 19558 del 14/1/2021, Mussano).
Nella fattispecie, l'imputato non si era confrontato - ha osservato il Collegio - con il ruolo che sin dalla sentenza di primo grado gli era stato riconosciuto di soggetto titolare, quale RUP del procedimento relativo al conferimento del servizio in appalto, dell'obbligo di vigilare attentamente sulla corretta esecuzione del contratto medesimo, sotto il peculiare profilo della gestione del rischio relativo all'accesso alla scala. La fattispecie penale contestata si connota, infatti, per una sua specifica autonomia, derivata dalle esplicite previsioni di legge in materia di appalti di pubblici servizi e dalla concreta assunzione del rischio in parola, rispetto a quella contestata alla società appaltatrice del servizio medesimo, per cui l'obbligo di protezione gravante sul ricorrente non può escludersi rinviando semplicemente alla concorrente responsabilità degli organi di tale società.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte ha confermato la penale responsabilità dell'imputato.