La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 1420, pronunciata all'udienza del 10 luglio 2019 (deposito motivazioni in data 15 gennaio 2020), ha preso in esame la questione relativa all'applicabilità all'ente della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis c.p., nell'ambito dei procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità amministrativa della persona giuridica, ai sensi del D. Lgs. 231/01.
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Trento avverso la sentenza con cui il Tribunale locale aveva assolto per particolare tenuità del fatto una società dall'illecito amministrativo di cui all'art. 25 undecies D. Lgs. 231/01, in relazione al reato di cui all'art. 256 D. Lgs. 152/06. Il giudice aveva infatti ritenuto che la società (cui era stato contestato di aver posto in essere, per mezzo del proprio legale rappresentante, che aveva agito nell'interesse dell'ente, un'attività di recupero di rifiuti speciali) avesse cagionato, mediante tale illecito, un'offesa di particolare tenuità, alla luce del vantaggio molto limitato ottenuto dall'ente, della successiva riparazione dal medesimo posta in essere e del comportamento non abituale.
Il Procuratore Generale contestava, mediante il proprio ricorso, tale decisione, affermando come la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. sia applicabile solamente ai reati, e non anche agli illeciti amministrativi, posti in essere dagli enti e fondanti la loro responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/01. Secondo il Procuratore, il proscioglimento dell'imputato ex art. 131 bis c.p. deve considerarsi assolutamente irrilevante nei confronti dell'ente: la commissione del reato rappresenta infatti un presupposto sufficiente per l'affermazione della responsabilità dell'ente, nel cui interesse il reato è stato posto in essere o che dal reato stesso abbia tratto vantaggio, a prescindere dall'eventuale applicazione della causa di non punibilità nei confronti dell'imputato.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore Generale, affermando come, in effetti, la causa di esclusione della punibilità in discorso non possa essere applicata alla responsabilità amministrativa degli enti per i fatti commessi nel loro interesse o a loro vantaggio dai dirigenti o da altri soggetti sottoposti alla direzione di quest'ultimi. I giudici di legittimità hanno posto alla base di tale affermazione le seguenti considerazioni:
1) la differenza esistente tra la responsabilità penale e quella amministrativa dell'ente: quest'ultima infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale che risale alle Sezioni Unite Espenhahn del 2014 (n. 38343), rappresenta un "tertium genus" di responsabilità, che riunisce in sé i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, costituendo "un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza";
2) dalla differenza intercorrente tra le due forme di responsabilità discende il carattere di autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica, autrice del reato presupposto: tale assunto è espresso dall'art. 8 D. Lgs. 231/01, rubricato "autonomia della responsabilità dell'ente", a mente del quale, proprio in virtù di tale autonomia, "la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile" ovvero quando "il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia"; detto in altri termini (cfr. V Sez., 38363/18): "la colpa di organizzazione fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica";
3) la responsabilità amministrativa prevista, per colpa di organizzazione, dal D. Lgs. 231/01 è addebitata direttamente all'ente, e la commissione di un reato da parte della persona fisica ne è un presupposto, non "l'intera sua concretizzazione";
4) la descritta autonomia tra le due responsabilità conduce ad escludere che l'applicazione all'autore del reato presupposto della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. impedisca di applicare all'ente la sanzione amministrativa: il giudice deve infatti, comunque, procedere all'autonomo accertamento della responsabilità amministrativa dell'ente nel cui interesse o vantaggio è stato commesso il reato (come già affermato dalla sentenza n. 9072/17 della Terza Sezione Penale).
Sulla base di tali considerazioni, i giudici di legittimità hanno quindi concluso che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile alla responsabilità amministrativa dell'ente. Tale responsabilità si caratterizza, infatti, per essere "espressamente ed univocamente riferita alla realizzazione di un reato": la punibilità di quest'ultimo è pertanto esclusa per la particolare tenuità dell'offesa e per la non abitualità del comportamento del soggetto agente. Tale esclusione, tuttavia, non può estendersi alla persona giuridica, la cui punibilità è diretta a sanzionare la colpa di organizzazione della medesima, trovando nel reato commesso dalla persona fisica un mero presupposto.
La Corte ha, infine, respinto l'argomentazione, utilizzata dal Tribunale, relativa all'estensione dell'applicabilità dell'art. 131 bis c.p. alla responsabilità dell'ente, per mancanza di un'espressa previsione, al riguardo, da parte dell'art. 8 D. Lgs. 231/01, concernente le ipotesi di esenzione da responsabilità della persona giuridica. Tale mancanza non può infatti essere colmata in tal modo, stante anche la posteriorità della disposizione contenuta nel codice penale, ove è stata inserita dal D. Lgs. 28/15.
La Sentenza del Tribunale di Trento è stata pertanto annullata con rinvio dalla Suprema Corte.